Data: 14/04/2020 12:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani
di Paolo M. Storani - Eravamo rimasti alla storia pasquale del poeta dimenticato Biagio Marin, vicinissimo alla sensibilità di Sergio Endrigo, che realizzò due dischi di poesie (!), uno con Marin e l'altro con Ignazio Buttitta di Bagheria. In questa puntata n. 17 di «Frammenti» riprendiamo il cammino ripartendo da Grado: si parlerà di musica accompagnati dall'inarrivabile talento dell'esule di Pola, di «Miracolo a Milano» di Vittorio De Sica presi per mano dalle fulgide espressioni di Giorgio Terruzzi, con la sorpresa finale di un bambino prodigio belga, Laurent Simons; certamente le nostre sono storie minime, ma sono pur sempre le…

Short stories di Studio Cataldi!

Frammenti: le Short Stories di Studio Cataldi - puntata n. 17

A Bahia con Sergio e Claudia Endrigo

In casa mia si è sempre amata la musica; i miei genitori assistono agli esordi romani di Jimmy Fontana (sì, il cantante de «Il Mondo», al secolo Enrico Sbriccoli) che, mentre è a cena con l'allora fidanzata Leda ed i miei, si alza dal tavolo per esibirsi; magari aveva anche già partecipato a Sanremo, ma tutto si svolgeva in un'atmosfera di semplicità estrema, pochi soldi, tanto talento e un'incrollabile voglia di affermarsi.

Da bimbetto - era il 1968/'69 - apprezzavo Riccardo Del Turco con il suo «Luglio» e «Che cosa hai messo nel caffè»: è quasi perfetto coetaneo di mia madre, essendo nato una settimana prima, 7 settembre 1939.

Ma - in controtendenza per l'epoca - canticchiavo anche qualche motivo di Sergio Endrigo, il c.d. «cantante triste», pessimo luogo comune esasperato dall'imitatore Alighiero Noschese.

Ironia della sorte Riccardo Del Turco diverrà cognato di Sergio Endrigo: infatti, fu il tramite della storia d'amore di Sergio con la moglie Lula, originaria di Terni, nonché sorella della moglie di Del Turco, Donella.

Endrigo e Lula si sposano a Monteluco di Spoleto nel giugno del 1963 (Riccardo Del Turco canta l'Ave Maria di Schubert accompagnato all'organo da Luis Bacalov), epoca in cui Endrigo aveva appena cominciato ad esibirsi dal vivo accompagnato al piano da Enzo Jannacci: pensate che coppia da favola!

Noschese era una sorta di imitatore ufficiale della tv di Stato a canale unico: si trattava di «imitazioni poco divertenti, sempre in chiave funerea o quasi», ricorda la figlia Claudia Endrigo a pag. 125 della biografia del padre che menzionerò in prosieguo.

Noschese, però, se la smise presto di prendere pesantemente in giro Endrigo: il caratterista doveva esibirsi alla Bussola del patron Sergio Bernardini; Sergio Endrigo assiste avanti alla tv insieme all'impresario all'ennesima presa per i fondelli: «Di' da parte mia a Noschese che, se insiste nel dipingermi come il protagonista della 'Patente' di Pirandello, appena lo incontro gli spacco la faccia».

Della serie: con le buone maniere si ottiene tutto.

Le Short Stories si sono da poco occupate del poeta Biagio Marin da Grado.

Proprio tra la laguna gradese e la foce dell'Isonzo troviamo quindicenne Sergio Endrigo, d'estate, in casa d'uno zio, Mario, primario dell'ospedale.

L'istriano si sta formando una sontuosa cultura letteraria sulle pagine di Steinbeck e di Cronin, legge le novelle di Maupassant ed i drammi di Ibsen.

Ma divora anche «I Promessi Sposi», Jorge Amado (da cui forse zampilla il fuoco brasileiro), Philip Roth, Orwell, Calvino, Sciascia, e possiede tutta l'opera di Gabriel Garcia Marquez (destinato a divenire l'autore preferito della figlia Claudia).

La vita del giovane talento musicale, orfano e, poi, esule nel febbraio del 1947 da Pola, insieme alle migliaia di istriani, a causa della dittatura di Tito, è molto dura, come ci aiuta a ricordare Gianni Mura nell'adorabile saggetto «Confesso che ho stonato», edito da Skira nel 2017, da cui ho desunto l'episodio della… persuasiva intimazione rivolta in via indiretta ad Alighiero Noschese.

«Un tavolo da osteria era stato il primo palcoscenico del bambino Endrigo, orfano di padre a sei anni. Romeo Endrigo era figlio di uno scalpellino. A sua volta scultore, pittore e anche tenore. Sul sito ufficiale di Sergio la biografia è scritta da lui, quindi so che posso fidarmi».

Gli Endrigo - la mamma Claudia (stesso nome della figlia di Sergio) lavora in una fabbrica di lucchetti e fa la colf, anche se all'epoca non si diceva certo così - vivono in una soffitta al quarto piano di un edificio che ospitava al piano terra un'osteria, quella di Bepi Mustaccia.

Il Bepi, munito di baffoni tirolesi alla Cecco Peppe, donde il nomignolo, «sollevava di peso Sergio, lo metteva su un tavolo e lui cantava 'La donna è mobile'» dietro compenso di due lire, una cifra considerevole per un'epoca in cui il biglietto del cinema costava 70 centesimi.

Le canzoni di Sergio Endrigo non hanno età.

Sono ricche di… saudade.

A tutti gli effetti è anche un artista brasiliano al livello di Tom Jobim e Caetano Veloso.

Sono canzoni d'amore non zuccherose come purtroppo si usava all'epoca.

Quando Sergio vincerà a sorpresa Sanremo Fabrizio De Andrè, non uno qualsiasi, rilasciò la seguente dichiarazione: «è stata - una volta tanto - la vittoria del buon gusto, dell'autenticità ispirativa, della poesia sulla banalità, sulla mancanza di idee, sulla maniera» rievoca Claudia a pag. 86 del suo bel volumetto.

Il libro di Claudia si intitola «Sergio Endrigo, mio padre», sottotitolo «Artista per caso», edito da Feltrinelli nel 2017, ed è un tuffo delicato ed autentico nella poetica dell'uomo Sergio.

«Io faccio un mestiere come un altro. C'è chi fa l'avvocato, chi l'imbianchino, io canto e questo voglio fare».

Cantautore, musicista e poeta.

Un brutto giorno accade che Giancarlo Dotto, poliedrico personaggio, già assistente alla regia di Carmelo Bene, giornalista sportivo, opinionista televisivo, riferisce ad Endrigo che un fan brasiliano del cantante istriano lo aveva chiamato di ritorno dalla visione del film «Il Postino»; l'ammiratore carioca, ascoltando la colonna sonora del film interpretato da un commovente Massimo Troisi, giunto al passo d'addio con la vita, aveva «percepito qualcosa di molto familiare»: ne racconta sempre Claudia nel suo libro biografico sul padre, a pag. 114.

Va, dunque, dato merito a Claudia di essersi battuta come una leonessa per dare soddisfazione al padre amareggiato: in effetti, la colonna sonora del film «Il Postino», firmata da Luis Bacalov, presenta alcune assonanze, anzi «sembra la stessa di Nelle mie notti, che Endrigo aveva composto nel 1974 con Riccardo Del Turco e Paolo Margheri» riferisce Gianni Mura.

«Fine di un'amicizia, inizio di una vertenza legale per plagio», di cui Endrigo non vedrà la fine dal momento che, purtroppo, muore il 7 settembre 2005 di tumore ai polmoni.

La controversia vede due verdetti di senso opposto, il primo a favore di Bacalov con una CTU di Ennio Morricone, il secondo capovolge le sorti a vantaggio di Sergio, e, poi, una transazione: in sostanza Bacalov riconobbe solo la co-paternità del brano che aveva vinto l'Oscar nel 1996.

Claudia Endrigo, che era una bambina molto bella mentre si aggira per il Brasile (dolcissime le foto a Bahia mentre gioca con gli animaletti del luogo) - era il tempo della collaborazione artistica con il mitico Vinicius de Moraes - ora è una donna senza fronzoli tale e quale alla canzone «asciutta e realistica» (definizione di Mura) endrighiana.

Ama sempre gli animali e ne è letteralmente circondata.

Siamo in contatto sui social.

Ho provato a stuzzicare Claudia: «scrivine un altro, ad esempio un libro sulle reazioni, le manifestazioni di stima ed affetto che ha suscitato il primo».

Mi ha risposto assertiva… all'Endrigo: «non vedo perché mai dovrei scrivere un altro libro su mio padre. Questo basta e avanza. Sai perché è piaciuto tanto il mio libro? Perché è vero, senza fronzoli. Ho letto biografie di una noia mortale. Non mi interessa scrivere il nulla. Su De Andrè ne hanno scritti decine…».

Hai ragione, Claudia: hai ricostruito «tassello dopo tassello la vita di papà» ed il libro è emozionante, senza leziosità, senza birignao. Bravissima!

A Milano - Lambrate con Giorgio Terruzzi

Non appena è cominciato il lockdown ho iniziato a seguire il diario quotidiano sul profilo Facebook di Giorgio Terruzzi. Un inno alla lettura quale vuole essere questa rubrichetta, oltretutto incastonata in un portale del web giuridico.

E così, un bel giorno, all'improvviso, stimolato da un meraviglioso scritto di Giorgio, il giorno di Pasqua, dopo trent'anni e passa, ho rivisto «Miracolo a Milano», capolavoro assoluto di Vittorio De Sica del 1951.

La sceneggiatura ha l'impronta di Cesare Zavattini e prende avvio dal ritrovamento di un bimbo neonato completamente nudo sotto un cavolo, «Totò il buono», interpretato da Francesco Golisano.

Film perfetto per questo periodo di clausura disperante: gli ingredienti sono solidarietà, poesia, fantasia ed ottimismo. Desiderio di uguaglianza anche se sei nato lontano dal cono di sole.

Giorgio Terruzzi, scrittore, accademico e collaboratore di varie testate tra le quali «Il Corriere della Sera», è un abituè del mondo di fantasia e di sogno che ci siamo costruiti noi sopravviventi senza Beppe Viola ed ora, dal 21 marzo 2020, pure senza Gianni Mura: era il puledro di bottega del… marchettificio!

Mi riferisco all'agenzia giornalistica Magazine, altrimenti detta Marchettificio: «La scelta dei collaboratori – scrive Beppe Viola a Franco Carraro, presidente del Coni, con irriverente sardonicità – viene fatta soltanto ed esclusivamente sulla base della mia simpatia personale. In tanti anni di marciapiede sappiamo perfettamente quali sono i giornalisti bravi, quelli modesti, chi becca la stecca e chi lavora seriamente e con competenza».

Ecco, in quella squadra si ritrovano Gianni Mura e, per l'appunto, Giorgio Terruzzi.

Gianni sarebbe ultrafelice nell'apprendere che Giorgio lo ha appena sostituito quale grande firma di Scarp de' tennis, come comunica Stefano Lampertico: è il mensile della strada e annuncia dalla copertina di aprile che "Il virus non ferma la solidarietà".

Il diario dell'isolamento di Giorgio mercoledì 8 aprile 2020 è al giorno 32 ed è una perla rara.

«Ora, a parte il fatto che c'è Milano, la Milano di allora, sgombra, nebbiosa e bellissima; a parte il fatto che il film venne girato in zona Lambrate, quartiere che amo, dove avrebbero costruito un campo da rugby sul quale ci siano saccagnati un po' tutti. La massicciata della ferrovia esiste ancora, con gli orti autarchici mesi su al pari di porzioni di un paradiso povero».

Insomma, ditemi voi come si fa a resistere alla tentazione di rivedere il film, se non altro per rimirare quegli stradoni con lo sguardo - a mo' di navigatore satellitare - di Giorgio che tiene a ricordare che nel cast «recita Erminio Spalla, un personaggio poderoso, storia a parte, perché fu scultore e poi pugile, primo vincitore italiano di un titolo europeo, anno 1923».

Grazie ancora, caro, jannacciano Giorgio Terruzzi!

In Belgio con Laurent, il bambino fenomeno

Frammenti sono anche i ritagli di giornale.

Conservare ritagli dei vari quotidiani che leggo è sempre stato un mio vezzo.

Ho avanti agli occhi la foto di un bel bambino dai lunghi capelli castani e dalla fossetta sul mento che lo rende simpatico e speciale; ama gli animali: è effigiato nell'atto che sto compiendo io ora, digitare su un notebook MacBook Air.

Figlio di un dentista belga, Alexander di lineamenti latini, e di un'assistente di poltrona olandese, Lydia, la tipica bella ragazza bionda dei Paesi Bassi, Laurent Simons è un bambino belga di dieci anni compiuti il giorno dopo Natale 2019.

Sino a qui tutto normale, in una famiglia di religione battista.

Solo che Laurent ha qualcosa di davvero speciale se ha già dato una caterva di esami universitari (a Natale erano trentotto) presso l'ateneo di Eindhoven prima di lasciarlo per un dissidio, dopo che la direzione gli aveva assicurato che avrebbe potuto conseguire il diploma di laurea triennale in dieci mesi, salvo ripensarci quando il baby talento era ad un passo dal traguardo.

Laurent è incredibile: riesce a studiare un'intera materia in un giorno, mentre gli altri studenti (che per giunta hanno vari anni di più) impiegano dalle 8 alle 12 settimane.

Ha ultimato la scuola primaria belga in due anni, poi in 18 mesi ha preso la maturità.

Traggo queste informazioni da un bell'articolo per «La Repubblica» del cronista Fabio Tonacci del 22 dicembre 2019.

Laurent è un fan della Ferrari e non è escluso che prima o poi pianti lo studio per tentare la carriera di pilota del cavallino rosso rampante. A ristorante ordina pizza margherita e forse verrà a studiare in un'università italiana.

La sua memoria ha del portentoso e già lavora perché

fabbrica «prototipi di chip cerebrali».

Ne risentiremo parlare.


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