Data: 25/05/2020 17:00:00 - Autore: Daniele Paolanti

Rifiuto di uffici legalmente dovuti: l'art. 366 c.p.

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Il reato di cui all'art. 366 c.p., rubricato rifiuto di uffici legalmente dovuti, sanziona la condotta di colui il quale, nominato dall'Autorità Giudiziaria come perito, interprete o custode di cose che siano sottoposte a sequestro, ottenga, mediante l'impiego di mezzi fraudolenti, l'esenzione dall'obbligo di svolgere le mentovate funzioni o il proprio ufficio. La rilevanza penale è estesa anche a quelle condotte di coloro i quali, sempre su convocazione dell'Autorità Giudiziaria al fine di assolvere le predette funzioni (ovvero di interprete, perito o custode di cose sottoposte a sequestro), si rifiuti di dare le proprie generalità, di prestare giuramento (abrogato dal nuovo Codice di Procedura Penale e sostituito con una dichiarazione di responsabilità ed impegno a dire la verità ai sensi degli articoli 497 e 226 c.p.p.) o di assumere ed adempiere le funzioni citate. La disciplina di cui all'art. 366 c.p. si estende anche a coloro i quali sono chiamati a rendere testimonianza dinanzi all'Autorità Giudiziaria oppure ad esercitare una funzione giudiziaria. Ai sensi dell'art. 34 della Legge 10 aprile 1951 n° 287, la norma in esame si estende anche ai giudici popolari.

Reato proprio e di condotta

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Il reato di cui all'art. 366 c.p. è un reato proprio, dal momento che può essere compiuto da chiunque venga convocato dall'Autorità Giudiziaria per l'assolvimento di determinati uffici. Di particolare interesse si rivela, al riguardo, proprio la formulazione della norma: l'impiego del termine "chiunque" lascerebbe intendere che il reato in questione non sia qualificato, eppure in realtà esso può essere commesso unicamente dai soggetti indicati nel prosieguo del dispositivo. Il delitto de quo è inserito nel Codice Penale nel novero dei delitti contro l'amministrazione della Giustizia, è un reato a consumazione istantanea, mentre per quanto pertiene la sua natura di reato omissivo o commissivo, vi sono dei dubbi interpretativi evidenti: da un lato si può ritenere che si tratti di un reato omissivo nella misura in cui il soggetto nominato dall'Autorità Giudiziaria si sottragga ai propri uffici per i quali è incaricato; d'altro canto non può nascondersi come il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti richieda, al primo comma, l'impiego di mezzi fraudolenti atti ad eludere l'obbligo scaturente dal provvedimento dell'Autorità Giudiziaria conferente una nomina. Pare ragionevole quindi ritenere che si tratti di un reato di condotta, dacché è tramite l'impiego di mezzi fraudolenti (non specificamente individuati dal legislatore) che il soggetto agente si sottrae alle funzioni di perito, interprete o custode di cose sottoposte a sequestro.

La condotta sanzionata dall'art. 366 c.p.

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La condotta censurata dalla norma è quella del rifiuto, a seguito della nomina da parte dell'Autorità Giudiziaria, a comparire o prestare gli uffici richiamati nel dispositivo o nelle leggi speciali (perito, interprete, custode di cose a sequestro, testimone etc.). il rifiuto non deve necessariamente essere "espresso", ben potendo lo stesso desumersi da comportamenti concludenti e da circostanze dal carattere inequivoco. Diverso dal rifiuto è il caso della mancata comparizione, non ricompresa nella portata della norma in ragione del fatto che, ai sensi dell'art. 133 c.p.p., il Giudice in questo caso potrebbe disporre l'accompagnamento coattivo.

La pena

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L'autore del reato di cui all'art. 366 c.p. è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 30 a euro 516.

Elemento soggettivo

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Il reato è punito a titolo di dolo generico, quindi, per quanto pertiene il coefficiente soggettivo, esso consiste nella volontà cosciente di rifiutare, impiegando mezzi fraudolenti, una nomina o un incarico conferito dall'Autorità Giudiziaria (perito, interprete, custode di cose sottoposte a sequestro, testimone, etc.).


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