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Data: 10/05/2020 06:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - Un video "fake" pubblicato da un esponente politico ha l'effetto di incitare all'odio e far piovere una valanga di insulti e minacce sul Museo Egizio di Torino. Una condotta che, secondo il giudice, travalica i confini del diritto di critica (verità, continenza, interesse pubblico) e ben può ritenersi configurare un illecito aquiliano tale da determinare il risarcimento dei danni. È questo, in breve, il contenuto della sentenza n. 1375/2020 (sotto allegata) con cui il Tribunale di Torino, nella persona della giudice dr.ssa Valeria di Donato, si è occupato di una vicenda risalente al gennaio 2018 con protagonista un esponente politico leghista.
Video fake su Facebook[Torna su] Questi aveva pubblicato sul proprio profilo Facebook un video di protesta contro un'iniziativa del museo lanciata per il secondo anno consecutivo e destinata a offrire ai cittadini di lingua araba la possibilità di visitare il museo in due persone al prezzo di un solo biglietto, con lo scopo di avvicinare alle proprie collezioni la comunità araba (superiore alle 33mila unita nella sola provincia di Torino). La campagna si inseriva tra le molte iniziative offerte dal museo per consentire l'accesso a condizioni agevolate di diverse persone, in occasioni diverse e valide per un periodo limitato. Ma il politico non ci sta: nel video pubblicato sui social definisce l'iniziativa "vergognosa" paventando che presunti finanziamenti statali ricevuti dal Museo vengano utilizzati per agevolare soggetti di origine o cultura araba e spinge gli utenti a "condividere questa vergogna" anche tramite il numero di telefono del Museo pubblicato in sovrimpressione. Nel video è presente anche una conversazione telefonica intercorsa tra il convenuto e un operatore del Museo proprio relativa alla contestata campagna ritenuta colpevole di realizzare una discriminazione "a rovescio". Ciò in quanto, secondo il criticante, il Museo fruirebbe di finanziamenti pubblici statali, soldi dei cittadini italiani utilizzati per agevolare gli ingressi di soggetti di origine o cultura araba. In poco tempo il video raggiunge il milione di visualizzazioni, scatenando commenti tramite social di contenuto razzista, polemico e di attacco gratuito contro il Museo Egizio destinatario anche di telefonate piene di insulti e minacce. Diritto di critica e verità dei fatti[Torna su] La perizia espletata dal Tribunale, però, smentisce la "veridicità" della telefonata all'ufficio prenotazioni del Museo presente nel video: per il CTU la chiamata è falsa e oggetto di un montaggio che non è idoneo a garantirne l'autenticità, o meglio la corrispondenza al vero di quanto accaduto. Una conclusione avvalorata anche dall'ascolto di diversi testimoni. Preso atto della condotta del politico, che aveva dolosamente postato un video "fake" sul proprio profilo Facebook, il Tribunale si sofferma sull'aspra critica espressa e rammenta che, in particolare, per il corretto esercizio del diritto di critica è necessario accertare che siano stati rispettati i limiti individuati dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, tra cui quello della della verità, oggettiva o anche soltanto putativa (cfr. Cass. n. 2357/2018). Nel caso di specie, tale requisito non si ritiene rispettato in quanto non corrispondono alla realtà dei fatti né la telefonata inscenata (ma dichiaratamente e inequivocamente presentata come vera), né quanto dichiarato dal "finto" operatore dell'ufficio prenotazioni del Museo, né, infine, il fatto che il Museo sia finanziato dai "cittadini italiani" che pagherebbero lo stipendio degli operatori, da cui, secondo il criticante, scaturirebbe la palese ingiustizia della promozione che avrebbe determinato una forma di discriminazione verso gli italiani. Il giudice, analizzate le prove sul punto, sottolinea come la Fondazione "Museo delle Antichità Egizie di Torino" non riceva alcun finanziamento pubblico dallo Stato per lo svolgimento della propria attività, derivando le proprie entrate dai ricavi delle vendite e delle prestazioni, dai contributi annuali dei soci fondatori o da altri proventi finanziari di natura privata. Ne consegue che il messaggio principale veicolato nel video in esame, ossia il finanziamento del Museo con soldi dei contribuenti cittadini italiani usati per pagare ingressi gratuiti agli arabi, e sul quale viene ripetutamente posto l'accento al fine evidente di scatenare l'indignazione del visualizzatore, non corrisponde al vero. Fake news: false informazioni che attivano "la macchina del fango"[Torna su] Questa "fake news", si legge nel provvedimento, ha l'effetto di travisare e stravolgere la finalità e lo scopo dell'iniziativa allo scopo di gettare discredito sull'immagine del Museo e di attivare la "macchina del fango", esortando e incitando il potenziale pubblico dei social network a cavalcare l'onda d'odio innescata con la finta telefonata e a manifestare in toni sproporzionatamente aggressivi la protesta contro la discriminazione artatamente attribuita al Museo. Ed è quanto effettivamente si è realizzato. Il politico, infatti, non ha solo espresso la propria opinione o il proprio giudizio sulla promozione attivata dal Museo Egizio, ma ha realizzato una "messa in scena" tramite una telefonata fasulla, montando un video e pubblicandolo sul proprio profilo Facebook, con lo scopo di arrecare danno al Museo e gettare fango sull'attività svolta dall'ente, attribuendo al Museo una finalità discriminatoria. Non può, secondo il magistrato, neppure ritenersi rispettato il requisito della continenza che richiede che le opinioni espresse riguardo ai fatti esposti siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un ragionato dissenso dal comportamento preso di mira e non si risolvano in un'aggressione gratuita e distruttiva del soggetto interessato (cfr. Cass. n. 1434/2015; n. 4545/2012; n. 12420/2008). Incitamento all'odio: scatta il risarcimento del danno[Torna su] Il Tribunale contesta sia l'incitamento all'odio ("hate speech") presente nel video, sia l'aver messo in atto una vera e propria fake news ai danni del Museo Egizio, tali da giustificare il risarcimento del danno: la condotta, si legge in sentenza, ha ecceduto i confini della legittima manifestazione del pensiero e del diritto di critica per concretarsi in vero e proprio attacco mediatico, in toni ingiustificatamente denigratori e aggressivi, dolosamente preordinato a innescare un'onda d'odio. Tale condotta istigatoria si è, altresì, dimostrata effettivamente lesiva anche della regolare funzionalità della gestione del Museo. Pertanto, il Tribunale ordina la rimozione del video da ogni profilo a riconducibile al convenuto presente su Facebook o su altri social network e inibisce la sua ulteriore diffusione. In aggiunta, ricorrendo a un criterio equitativo, ritiene di liquidare la somma complessiva di 15mila euro a titolo di risarcimento del danno. |
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