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Data: 15/05/2020 09:00:00 - Autore: Lucia Izzo di Lucia Izzo - La falsità o l'incompletezza della dichiarazione sostitutiva di certificazione prevista dall'art. 79, comma 1, lett. c) d.P.R. n. 115 del 2002, qualora i redditi effettivi non superino il limite di legge, non comporta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che può essere disposta solo nelle ipotesi espressamente disciplinate dagli artt. 95 e 112 d.P.R, n. 115 del 2002. È il principio di diritto espressa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 14723/2020 (sotto allegata) componendo un contrasto giurisprudenziale sorto in materia di gratuito patrocinio. La pronuncia origina dal ricorso dell'imputato contro la revoca della sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito del procedimento penale cui era stato sottoposto.
Falsità o incompletezza dell'autocertificazione[Torna su] Al Supremo Consesso viene chiesto "se la falsità o incompletezza dell'autocertificazione allegata all'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ne comporti l'inammissibilità e, dunque, la revoca, in caso di intervenuta ammissione, anche nell'ipotesi in cui i redditi effettivi non superino il limite di legge, ovvero, in tale ultima ipotesi, non incidendo la falsità sull'ammissibilità dell'istanza, la revoca possa invece essere disposta solo nei casi espressamente previsti dalla legge". I giudici delle Sezioni Unite Penali, richiamato il quadro normativo di riferimento costituito dal d.P.R. n. 115 del 2002, evidenziano come all'interno di tale provvedimento non sia rintracciabile alcuna norma che preveda espressamente che la non esatta o, addirittura, falsa dichiarazione sulle condizioni di reddito determini l'inammissibilità della domanda o la revoca del decreto di ammissione al beneficio del patrocinio. Per questo, le Sezioni Unite ritengono che le falsità o le omissioni possono comportare la revoca del beneficio solo nei casi di cui all'art. 112 d.P.R. n. 115 del 2002, se risulti provata (o comunque deducibile) la mancanza originaria delle condizioni reddituali e in caso di condanna per il reato previsto dall'art. 95 del medesimo d.P.R. (falsità od omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione). Omessa comunicazione e revoca gratuito patrocinio[Torna su] Viene comunque confermato l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'omessa comunicazione, anche parziale, delle variazioni reddituali comporta la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nonostante tali variazioni siano occasionali e non comportino il venir meno delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. La soluzione adottata viene ritenuta coerente con la ratio dell'istituto del gratuito patrocinio il cui fondamento è costituito dalla tutela del diritto inviolabile alla difesa per la persona sprovvista di mezzi economici: all'indagato, all'imputato o al condannato ammessi al gratuito patrocinio è così attribuita la facoltà di scelta di un proprio difensore di fiducia (iscritto all'albo specifico), senza alcun onere economico, con la possibilità di nominare ed utilizzare la prestazione di consulenti tecnici di parte ed investigatori. Reato escluso se il falso deriva da semplice leggerezza o negligenza[Torna su] Le Sezioni Unite, dunque, ritengono che l'opzione prescelta sia coerente con il sistema dell'istituto, volto a tempestivamente esonerare dalle spese di difesa colui che sia titolare di redditi posti al di sotto della soglia prevista. Invece, l'esigenza di recuperare le somme corrisposte dallo Stato, a fronte di comportamenti non del tutto trasparenti ed affidabili da parte dell'istante, è soddisfatta dalla previsione della revoca dell'ammissione con effetto retroattivo, in conseguenza dell'intervenuta condanna in sede penale, che non può prescindere dall'accertamento dell'elemento soggettivo. Pertanto, la previsione della revoca ex lege, a seguito di condanna penale (che può intervenire anche in ipotesi di omissioni o falsità non rilevanti), non appare in contrasto con il quadro sopra delineato, in considerazione della circostanza che detta revoca consegue all'accertamento del fatto reato in tutte le sue componenti oggettive e soggettive. Sul punto, la Corte ribadisce che "se è vero che il reato del quale ci si occupa richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà della falsità, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete, è pur sempre da tener presente che il dolo generico non può essere considerato in re ipsa ma deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (cfr. Cass. n. 7192/2018). |
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