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Data: 20/05/2020 17:00:00 - Autore: Vittorio Corasaniti Dott. Vittorio Corasaniti - L'art. 3 della Costituzione in tema di uguaglianza formale e sostanziale non si applica ai praticanti avvocato. È quanto emerge dalle ultime disposizioni governative in materia di abilitazione alle professioni in epoca emergenziale. Se, infatti, alle altre categorie professionali è stata concessa una deroga importante per il passaggio diretto all'orale, pare proprio che i praticanti avvocati dovranno attendere la correzione ritardata delle prove sostenute a dicembre 2019 o, addirittura, ripresentarsi in via cautelativa agli esami scritti del 2020, semmai si terranno.
La discriminazione palese negli artt. 237 e 254 del Decreto Rilancio[Torna su]
In merito alla correzione delle prove scritte dell'esame di avvocato, il Sottosegretario alla Giustizia Giorgis dichiarava pubblicamente in data 13 maggio 2020 che il Governo aveva intenzione di "consentire che tale correzione avvenga anche attraverso la partecipazione da remoto di alcuni componenti delle commissioni esaminatrici", e che la disparità di trattamento rispetto agli esami di abilitazione delle altre professioni si giustifica perché nel caso dei praticanti avvocato ci sono delle prove "svolte", motivo per cui non si può pregiudicare "la legittima aspettativa di coloro che hanno sostenuto dette prove e che giustamente attendono di conoscere i risultati dei loro elaborati scritti". L'intenzione del Governo si è effettivamente materializzata nel decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. Decreto Rilancio), il cui art. 254 prevede che per le prove scritte di accesso all'abilitazione forense "è consentita la correzione degli elaborati con modalità di collegamento a distanza".
Tra le misure urgenti previste dal Governo, tuttavia, sembra non sia stata tenuta in considerazione la giustificazione addotta dal Sottosegretario alla Giustizia in merito alla disparità di trattamento dei praticanti avvocato rispetto ad altre categorie di professionisti, le quali, probabilmente, vantano una "legittima aspettativa" ben diversa rispetto alla correzione degli elaborati scritti.
In merito, va ricordato che già in data 29 aprile 2020 era intervenuto con D. M. n. 57 il Ministro dell'università e della ricerca, disponendo il passaggio diretto alla fase orale per un'ampia categoria di professionisti, limitatamente "alla prima sessione dell'anno 2020".
Oggi, l'art. 237 del D.L. Rilancio interviene a ribadire questa deroga importante, precisando che per tutte le abilitazioni delle professioni di cui all'art. 6, c. 1, d. l. 8 aprile 2020, n. 22, "le cui prove siano in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore della presente disposizione", il Ministro dell'università e della ricerca possa disporre modalità di esame diverse da quelle indicate dalle norme vigenti e, persino, "l'eliminazione di una prova intera". Alla luce di questa norma, bisogna allora chiedersi a cosa si riferisca il Governo quando menziona tali "prove in corso di svolgimento". La precisazione contenuta nell'art. 237 D.L. Rilancio potrebbe avere tre interpretazioni, per cui le "prove in corso di svolgimento sarebbero: 1) quelle in fieri alla data di entrata in vigore del provvedimento; 2) quelle ancora da svolgere; 3) quelle costituite dalla somma della fase scritta (già sostenuta e da valutare) e della fase orale da sostenere. La prima interpretazione è quella meno probabile. Va sottolineato, Infatti, che la maggior parte degli esami scritti di abilitazione alle professioni si tiene tra il mese di maggio e quello di luglio di ogni anno. Tuttavia, data la chiusura generalizzata delle attività, non risulta vi siano assembramenti di candidati che in questi giorni stiano sostenendo prove scritte per ottenere una qualche abilitazione professionale. La seconda interpretazione proietta nel tempo la deroga alla prova scritta per tutte le professioni di cui al d.l. 22/2020 (deroga che, invece, non è stata concessa ai praticanti avvocato), mentre la terza paleserebbe il passaggio all'orale di quei candidati che, pur avendo svolto gli scritti, non hanno ancora avuto i risultati delle correzioni. Vi sono casi, infatti, in cui le prove scritte si svolgono a inizio anno, come per esempio quelle per l'abilitazione all'esercizio della professione di revisore legale, tenutesi a Roma tra il 18 e il 20 febbraio 2020. Questi esami non sono ancora stati corretti, ciononostante l'art. 237 del D.L. Rilancio non ha previsto correzioni telematiche, per cui i partecipanti a dette prove potrebbero essere ammessi direttamente alla fase orale.Alla luce di queste considerazioni, il disposto normativo congiunto degli art. 237 e 254 costituisce, quindi, una discriminazione palese nei confronti dei praticanti avvocato, sia perché le correzioni degli scritti potrebbero protrarsi sine die, causando ulteriore incertezza riguardo ai tempi di abilitazione, sia perché la modalità telematica di correzione è stata stabilita esclusivamente per l'abilitazione forense, mentre per le altre categorie si può addirittura prevedere l'eliminazione di una prova.
Stanti le modalità in cui si svolgono le prove scritte per l'abilitazione forense e l'aleatorietà delle correzioni, considerato altresì il contesto di ulteriore preoccupazione che il D.L. Rilancio contribuisce a creare, l'accesso al mondo del lavoro degli aspiranti avvocati viene ulteriormente ritardato e condizionato da un procedimento tortuoso ormai del tutto assimilabile a un trattamento crudele e degradante.
Organizzazioni internazionali sulle tracce dell'esame di avvocato[Torna su]
Le disposizioni discriminatorie del D.L. Rilancio arrivano in un momento particolare per l'Italia sotto un duplice profilo.
Da una parte, infatti, il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali ha appreso dell'aleatorietà dell'esame e del grave conflitto di interessi che si cela dietro le procedure di accesso alla professione forense, chiedendo spiegazioni all'Italia in merito alle misure che intenda adottare per migliorare la trasparenza e l'imparzialità dell'esame (Leggi: Esame avvocato al vaglio della Commissione Europea e Esame avvocati nel mirino delle Nazioni Unite).
Dall'altra, invece, lo Stato italiano dovrebbe recepire entro il 30 luglio 2020 la Direttiva 958/2018 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 giugno 2018, "relativa a un test della proporzionalità prima dell'adozione di una nuova regolamentazione delle professioni".
Tale direttiva stabilisce all'art. 4 che "gli Stati membri procedono a una valutazione della proporzionalità […] prima di introdurre nuove disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che limitano l'accesso a professioni regolamentate o il loro esercizio, o prima di modificare quelle esistenti".
Detta valutazione di proporzionalità deve essere effettuata sulla base dei criteri di cui all'art. 7, tra i quali, per ciò che qui interessa, quello stabilito dalla lettera f), secondo cui gli Stati Membri prendono in considerazione "l'effetto di disposizioni nuove o modificate quando sono combinate con altre disposizioni che limitano l'accesso alla professione o il suo esercizio, e in particolare il modo in cui le disposizioni nuove o modificate, combinate con altri requisiti, contribuiscono al conseguimento, e se siano necessarie al conseguimento, dello stesso obiettivo di interesse pubblico".
Nel caso di specie, pare chiaro che il Governo non abbia preso in considerazione detta proporzionalità in merito alle nuove procedure di accesso alla professione forense di cui all'art. 254 del D.L. Rilancio. Si pensi, ad esempio, al fatto che la possibilità di correzione da remoto di cui alla disposizione in parola, combinata con le norme della vigente legge 247/2012, inficerebbe ulteriormente ogni tipo di controllo sull'operato delle commissioni esaminatrici, su, cui, vale la pena ricordare, non incombe alcun obbligo di motivazione in merito alla valutazione numerica delle prove scritte.
Si potrebbe obiettare che la direttiva in questione non è ancora stata recepita e che essa non sia ancora applicabile per l'Italia. In linea di principio, infatti, le direttive non sono direttamente applicabili. La Corte di giustizia dell'Unione europea, tuttavia, ha stabilito che "alcune disposizioni di una direttiva possono, in via eccezionale, produrre effetti diretti in uno Stato membro, senza che quest'ultimo abbia in precedenza adottato un atto di recepimento, se a) le disposizioni della direttiva sono, da un punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente chiare e precise, e b) se le disposizioni della direttiva conferiscono diritti ai singoli".
Sotto il primo profilo, pare evidente che le disposizioni della direttiva in esame siano incondizionate e sufficientemente chiare e precise. Da questo punto di vista, un eventuale discostamento dai loro precetti costituirebbe lesione del principio di leale cooperazione di cui all'art. 4 par. 3 del Trattato sull'Unione Europea.
Se questo primo profilo non si ritenesse condivisibile, si potrebbe comunque far riferimento al secondo. La stessa direttiva 958/2018, infatti, stabilisce all'art. 9, che "gli Stati membri provvedono affinché sia disponibile un mezzo di ricorso effettivo per quanto riguarda le questioni oggetto della presente [normativa] in conformità delle procedure previste dal diritto nazionale".
Il ricorso effettivo è un diritto umano, e come tale renderebbe la direttiva in questione direttamente applicabile in Italia, almeno per ciò che concerne l'art. 9.
Resta allora da capire se, alla luce della norma europea, l'art. 254 di cui al D.L. Rilancio apporti un miglioramento in merito al ricorso effettivo, dato che, fino ad oggi, tale diritto è inficiato per due motivi: da un lato, la mancata entrata in vigore dell'obbligo di motivazione di cui all'art. 46 par. 5 della legge 247/2012; dall'altro, la pregressa giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 7/2017) e della Corte Costituzionale (sentenza n. 175/2011) i cui collegi giudicanti sono composti da giudici in conflitto di interessi in quanto autori dei codici commentati, coordinatori o professori di scuole private in preparazione all'esame di abilitazione alla professione forense.
Ebbene, l'art. 254 stabilisce che "su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d'appello il presidente della commissione centrale può autorizzare la correzione da remoto degli elaborati scritti, purché siano mantenuti i medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni d'esame. Ove si proceda ai sensi del periodo precedente, i presidenti delle sottocommissioni per l'esame di abilitazione alla professione di avvocato fissano il calendario delle sedute, stabiliscono le modalità telematiche con le quali effettuare il collegamento a distanza e dettano le disposizioni organizzative volte a garantire la trasparenza, la collegialità, la correttezza e la riservatezza delle sedute".
Dalla lettura della norma si evince la mancanza di qualsiasi riferimento alla motivazione della valutazione numerica delle prove scritte o alla possibilità di verificare l'operato delle commissioni esaminatrici, ciascuna delle quali gode di ampia discrezionalità nello stabilire le proprie disposizioni organizzative.
È chiaro, quindi, che la nuova disciplina per la correzione degli esami non solo non riceve alcun miglioramento sotto il profilo del ricorso effettivo (che risulta ancora inficiato a priori), ma, con la possibilità di correzione da remoto, introduce un ulteriore vulnus sul controllo delle commissioni esaminatrici e dei loro membri.
A proposito di membri, va altresì osservato che l'art. 254 del D.L. rilancio introduce un'ulteriore novità al comma 6, e cioè la presenza nelle commissioni d'esame di professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche "anche in pensione". Un aspetto non previsto dalla originaria formulazione dell'art. 47 c. 1 della legge 247/2012 che fa nascere ulteriori dubbi in merito alle scelte del Governo e alla capacità delle commissioni esaminatrici di svolgere correzioni effettive.
Accesso alla professione forense. Qual è lo scopo dello Stato?[Torna su]
Dato l'ultimo intervento normativo in merito all'esame di abilitazione, ci si chiede, ormai retoricamente, se scopo dello Stato sia scegliere i professionisti migliori o limitare (in maniera indiscriminatamente discriminata) l'accesso alla professione di avvocato. Il dato curioso si evince leggendo la relazione illustrativa del D.L. Rilancio: mentre, infatti, le deroghe ex art. 237 per le professioni vigilate dal Ministero dell'Università e della ricerca sono dettate "in ragione del protrarsi dello stato di emergenza e lo stato di avanzamento dello specifico esame di Stato", la continuazione della correzione degli scritti per l'abilitazione forense ex art. 254 è stabilita, invece, "al fine di non pregiudicare il buon andamento delle stesse procedure di esame, né ledere le legittime aspettative e i diritti dei candidati".
Dato altrettanto paradossale è l'atteggiamento del legislatore, che, da una parte, continua a prorogare le modalità aleatorie dell'esame di avvocato (da ultimo legge n. 8 del 28 febbraio 2020) mentre dall'altra, propone di esonerare da responsabilità civile, amministrativa e penale i medici recentemente abilitati senza esame di Stato.
I messaggi del legislatore, tra cui quelli della Commissione Giustizia al Senato, e del Governo, palesatisi con il D.L. Rilancio, paiono univoci sul punto. Nonostante si adducano motivazioni come "la necessità di correggere prove svolte" o la necessità di scegliere i professionisti più preparati, le discriminazioni e l'aleatorietà dei risultati sono ormai del tutto evidenti, così come i conflitti di interessi che non permettono l'esercizio del diritto di un accesso effettivo alla giustizia.
Resta da capire cosa succederà in sede di conversione in legge del D.L. Rilancio e se lo Stato saprà adempiere agli obblighi internazionali per la garanzia di diritti fondamentali, sia in vista dell'esame dell'Italia davanti al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, sia nel rispetto della Direttiva 958/2018 del Parlamento Europeo e del Consiglio. |
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