Data: 25/05/2020 23:00:00 - Autore: Gabriella Lax

di Gabriella Lax – L'Italia esce dal lockdown ed entra nella "fase 2" ma per la giustizia è ancora tutto fermo. Una situazione di mobilità che non solo nuoce ad un ingranaggio di per sé tra i più lenti d'Europa, ma che lascia i cittadini senza ottenere i diritti che spettano loro come da Costituzione.

Flashmob degli avvocati: «Vogliamo dire la nostra»

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In questa situazione di immobilità a farne le spese sono i diritti costituzionali dei cittadini alla difesa e al giusto processo. Gli avvocati non vogliono essere complici di questo scempio. Per questo, venerdì 29 maggio 2020 alle 12 davanti a tutti i Palazzi di Giustizia d'Italia e a Roma, davanti alla Corte di Cassazione, ci sarà un flashmob, nel corso del quale, gli avvocati consegneranno simbolicamente i loro codici, in segno «di protesta contro l'espropriazione silenziosa di un diritto fondamentale della cittadinanza».

Come ci raccontano gli avvocati del comitato promotore (Avv. Germana Ascarelli; Avv. Isabella Darra; Avv. Domenico Dodaro; Avv. Melina Martelli; Avv. Maria Carmela Nicoletti; Avv. Isabella Maria Rinaldi; Avv. Stefania Spadoni) si tratta di una protesta che si allarga a macchia d'olio coinvolgendo tantissimi fori italiani. «Abbiamo deciso di lanciare questo messaggio e sta arrivando forte e chiaro: considerate le adesioni, confidiamo in un bel movimento.

Da dove nasce l'iniziativa?

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«Partiamo dal concetto di giustizia sospesa, rimasta completamente esclusa dalla riapertura delle attività produttive. Hanno riaperto tutti: dai negozi di abbigliamento agli estetisti. Ma i cittadini sono rimasti privi del diritto al giusto processo, dall'essere tutelati e garantiti perché i tribunali non funzionano. Ci sono duecento protocolli diversi in tutta Italia che creano confusione. E all'interno di ogni tribunale, ogni sezione ha delle linee guida diverse: ci scontriamo davanti ad un problema. Un caos nazionale, con il rinvio di processi ad un anno, un anno e mezzo. Si pensi a situazioni delicate come separazioni o divorzi giudiziari che dovranno aspettare gennaio o febbraio 2021, perché non si sa nulla. Non abbiamo neanche la possibilità di difendere i nostri assistiti. Ci hanno promesso una riapertura a settembre, ma di fatto non succederà considerato che i processi vengono già fissati all'anno prossimo e che così siamo paralizzati. È una vera pandemia della giustizia, come l'abbiamo ribattezzata».

Dopo il flashmob, quale sarà il passo successivo?

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«Il flashmob è un segnale forte che vogliamo dare del fatto che noi avvocati ci siamo, vogliamo essere sentiti, vogliamo contribuire all'adozione di interventi concreti che consentano alla giustizia di ripartire davvero. Nessuno ha consultato gli avvocati, ma la giustizia siamo noi. Siamo noi che portiamo avanti il sistema ed il fatto che la giustizia sia paralizzata è anche un danno economico per lo Stato, se si pensa che il contributo al Pil (40 miliardi di euro circa, nds). Vogliamo contribuire a programmare un sistema di gestione dell'attività giudiziaria che assicuri lo svolgimento dell'attività anche in caso di recrudescenza dell'epidemia».

Quali potrebbero essere dunque le soluzioni da adottare?

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«Vogliamo che le udienze da remoto si svolgano effettivamente. Non ci sono i collegamenti adesso, non c'è un sistema che permetta ai cancellieri ed ai giudici di aggiornare i fascicoli in smart working per esempio. Il cancelliere da casa non può lavorare. Le faccio un esempio: c'erano delle udienze che avrebbero dovuto essere celebrate a marzo, pensi che ancora non abbiamo i rinvii. Nelle piccole realtà le cose vanno meglio perché c'è meno contenzioso, ma cosa potrebbe succedere in realtà come Roma o come Napoli? Sono le più grandi del Paese e accolgono un bacino talmente vasto che se non si organizza il lavoro le conseguenze saranno pesanti. I protocolli ci sono, ci dobbiamo organizzare in modo da poter lavorare. Le udienze possono essere celebrate (alla presenza dei soli avvocati che si sono costituiti) e scaglionate magari anche nel pomeriggio. Se dobbiamo far ripartire il sistema ci deve essere l'impegno di tutti».


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