Data: 04/06/2020 16:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

di Annamaria Villafrate - Per la Corte di Cassazione, come motivato nella sentenza n. 15835/2020 (sotto allegata) è palese la responsabilità dell'imputato per il reato di molestie. La persona offesa è stata infatti oggetto di pedinamenti, continue telefonate, contatti su Facebook e messaggi su WhatsApp, tutto da palese contenuto sessuale, al solo fine di spingerlo ad avere una relazione o qualche incontro di natura erotica.

Reato di molestia o disturbo alle persone

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Il giudice di primo grado, all'esito di un rito abbreviato, dichiara l'imputato responsabile del reato di molestia e disturbo di cui all'art. 660 c.p., dopo la modifica dell'imputazione originaria dell'illecito penale di atti persecutori previsto dall'art. 612 bis c.p. e lo condanna alla pena dell'ammenda di 200 euro e al risarcimento dei danni nella misura di 800 euro.L'imputato è stato accusato di aver molestato la persona offesa contattandolo ripetutamente su Facebook e Whatsapp, per organizzare incontri e avviare conversazione dal contenuto a sfondo palesemente sessuale.

Come appurato dal Tribunale, l'uomo è stato oggetto delle assillanti attenzioni dell'imputato dall'estate del 2015, momento a partire dal quale è stato tartassato di telefonate, pedinato, sorvegliato nei suoi spostamenti e destinatario di messaggi dal contenuto sessuale. Situazione che gli ha creato un tale disagio e imbarazzo da costringerlo a ricorrere al supporto di uno specialista.

Trascorso un periodo di apparente calma, l'imputato ha ripreso a molestare la persona offesa con ripetute e sempre più pressanti avances, come dichiarato da un testimone, che ha anche cercato di dissuadere il corteggiatore a lasciar perdere, avvertendolo del fatto che prima o poi la vittima avrebbe potuto rivolgersi alle forze di polizia.

L'istruttoria, se da un lato ha dimostrato la completa attendibilità della persona offesa, ha rivelato al contrario la responsabilità dell'imputato, dal cui comportamento è emersa chiaramente la volontà di molestare e coinvolgere la vittima in una relazione non voluta da quest'ultimo.

Rigetto della domanda di oblazione

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L'imputato ricorre alla Corte di legittimità a mezzo difensore contestando, dopo la modifica dell'imputazione, il rigetto della domanda di oblazione per il mancato deposito degli importi previsti, senza fornire motivazione sulla gravità del reato.

Con il secondo motivo rileva invece che il Tribunale ha trascurato l'aspetto della reciprocità dei contatti, visto che anche la parte lesa ha contattato in diverse occasioni l'imputato, chiamandolo o inviandogli messaggi, manifestando così un comportamento ambiguo, che ha indotto lo spasimante a pensare che l'uomo fosse interessato alle attenzioni manifestate nei suoi confronti.

Commette il reato di molestie il corteggiatore assillante e volgare

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La Cassazione con la sentenza n. 15835/2020 dichiara il ricorso inammissibile e infondato ritenendo i motivi sollevati dall'imputato non pertinenti per assenza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell' impugnazione.

Come rilevato dalla Cassazione il Tribunale non ha solo ben motivato e argomentato, ma ha altresì valorizzato la gravità della condotta dell'imputato, la durata delle avances, la portata delle espressioni moleste, la natura dolosa dei comportamenti insistenti e protratti, la sua personalità negativa, emersa anche da precedenti penali a suo carico, nonché l'atteggiamento ostile tenuta dopo l'apertura del procedimento nei confronti della persona offesa, manifestatasi attraverso insulti e dimostrazioni di disprezzo. Condotta che ha offerto al Tribunale tutta una serie di elementi che fanno ritenere giustificato l'esercizio del potere di rigettare il ricorso avanzato e i motivi in cui lo stesso è stato articolato.

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