Data: 07/06/2020 12:00:00 - Autore: Marta De Leucio

di Marta De Leucio - L'art. 1225 c.c. prevede la responsabilità illimitata del contraente inadempiente per i danni cagionati al creditore qualora l'inadempimento dipenda da dolo. Nelle altre ipotesi è, invece, vincolato al solo danno "che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione".

Definizione di dolo ex art. 1225 c.c.

La norma non specifica cosa debba intendersi per dolo ma, dall'esame della disposizione, sembra che il legislatore non abbia voluto riferirsi alla mera consapevolezza del debitore di non adempiere ad un'obbligazione anche perché, considerata l'estensione che comporterebbe il suddetto orientamento, si potrebbe in tal caso ritenere qualsiasi inadempimento doloso.

L'interpretazione più coerente con il dato normativo è, pertanto, quella condivisa da dottrina e giurisprudenza maggioritaria secondo cui il dolo ai sensi dell'art. 1225 c.c. consiste nella consapevolezza del contraente di non adempiere ad un'obbligazione contrattuale unita, però, alla volontà di perseverare nell'inadempimento.

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Il limite della prevedibilità del danno

Dunque, qualora nell'ambito di un rapporto obbligatorio il creditore non sia in grado di provare che l'inadempimento sia derivato da dolo del debitore - da intendersi nel duplice senso di consapevolezza di non adempiere ad un'obbligazione assunta e di volontà di restare inadempiente - il risarcimento a carico di quest'ultimo non potrà eccedere il danno prevedibile secondo il c.d. criterio della diligenza del buon padre di famiglia.

La prevedibilità del danno, pertanto, risponderebbe all'esigenza di proporzionare la sanzione da comminare con la lesione subita dalla parte creditrice che avrà l'onere di provare la conoscenza, o comunque la concreta prevedibilità, dei fatti lesivi in capo al debitore.

Sarà, dunque, sufficiente in tal caso dimostrare che il debitore era consapevole di dovere adempiere a una determinata prestazione e che, lo stesso, ne ha omesso l'esecuzione.

L'inadempimento doloso

Nell'ipotesi di inadempimento doloso, invece, l'obbligo del risarcimento non incontra il limite della prevedibilità del danno considerato che il dolo esclude la necessità di una proporzione tra il risarcimento e la normale utilità della prestazione richiedendo solo la determinazione psicologica in capo al debitore.

La responsabilità extracontrattuale e l'art. 1225 c.c.

Il limite della prevedibilità dei danni risarcibili, secondo un orientamento dottrinale prevalente, non sussisterebbe anche nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale.

L'art. 2056 c.c. infatti, nel disciplinare la valutazione dei danni risarcibili, rinvia agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c, escludendo espressamente l'art. 1225 c.c.

Apparirebbe, pertanto, del tutto plausibile l'opzione secondo cui il risarcimento ex art. 1225 c.c. non sarebbe riscontrabile nel caso di responsabilità extracontrattuale poiché, lo stesso, non mirerebbe al ristoro di un danno consequenziale alla violazione di un obbligo specifico, ma alla soddisfazione diretta di un danno ingiusto.

La suddetta limitazione, pertanto, apparterrebbe esclusivamente all'area della responsabilità contrattuale da cui emergerebbero dei rischi legati alla particolare relazione obbligatoria intercorrente tra le parti e da cui, quest'ultime, devono essere tutelate.

A tale interpretazione si è contrapposta un'impostazione dottrinale ad oggi minoritaria che, ritenendo la lettera della norma insufficiente per la suddetta conclusione, estende l'art. 1225 c.c. anche alla materia aquiliana.

Il legislatore pertanto, in tema di valutazione del danno, avrebbe applicato all'illecito extracontrattuale la medesima disciplina dettata per quello contrattuale ma in modo più blando e ciò, in quanto, mentre per il primo prevede l'assenza di un precedente contratto tra le parti; con il secondo, presupponendo necessariamente un'interazione tra le stesse renderebbe rilevanti, in tali ipotesi, anche i danni colposi non prevedibili.

Risarcibilità dei danni non patrimoniali

Nell'ambito della responsabilità contrattuale preme evidenziare, invece, che in passato non era ammissibile una risarcibilità per i danni non patrimoniali considerato che la giurisprudenza rilevava la mancanza di un'espressa norma di riferimento.

La Suprema Corte con le sentenze gemelle n. 8827 e 8828 del 2003, ribaltando il precedente orientamento, ha affermato che il risarcimento per danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. è ammissibile nei soli casi espressamente tipizzati dalle singole leggi di settore e qualora sussistano tutti gli elementi dell'illecito civile di cui all'art. 2043 c.c.

Secondo l'innovativa visione giurisprudenziale, pertanto, il risarcimento del danno non patrimoniale sarebbe subordinato alla verifica della configurabilità di tutti gli elementi dell'illecito civile; e cioè la condotta, il nesso causale tra quest'ultima e l'evento che, a sua volta, deve essere connotato dall'ingiustizia quale lesione non giustificata di interessi meritevoli di tutela, nonché dal danno che ne consegue.

L'art. 2059 c.c, quindi, sarebbe una norma di rinvio alle singole leggi di settore considerato che l'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricaverebbe dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela come, ad esempio, l'art. 185 c.p. che statuisce l'obbligo del risarcimento dei danni derivanti da reato in capo al colpevole e alle persone che, a norma delle leggi civili, rispondono per il fatto di lui.

Il ristoro dei danni non patrimoniali sarebbe previsto, altresì, anche in caso di lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla nostra Carta costituzionale.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il risarcimento del danno per inadempimento, o per ritardo, ex art. 1223 c.c. deve ricomprendere tra le perdite e le mancate utilità subite dal creditore anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla violazione dei menzionati diritti.

Il ristoro dei danni non patrimoniali non sarebbe, però, soggetto al limite risarcitorio di cui all'art. 1225 c.c. poiché,secondo l'interpretazione tradizionale dell'art. 2056 c.c., la norma in questione non richiamandolo espressamente, intende necessariamente escluderlo.


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