Data: 06/06/2020 14:00:00 - Autore: Gabriella Lax

di Gabriella Lax – Avvocati e cancellieri fanno tutti parte, insieme ai magistrati, dell'ingranaggio che consente alla giustizia di funzionare. Eppure, in questo meccanismo, con l'emergenza coronavirus, qualcosa si è inceppato. E, a tal proposito: «Non è una guerra di classe». Questa la precisazione del Comitato Giustizia Sospesa: "la lotta – chiariscono- è per salvaguardare la tutela dei diritti dei cittadini che in questo momento sono stati completamente abbandonati".

Si è messo in modo da qualche tempo il Comitato Giustizia sospesa, costituito dagli avvocati Germana Ascarelli, Domenico Dodaro, Isabella Darra, Melina Martelli, Maria Carmela Nicoletti, Isabella Maria Rinaldi e Stefania Spadoni che tanto seguito ha avuto in tutto il Paese. E infatti, dopo il flashmob dello scorso 29 maggio, nell'immobilità della giustizia ferma da mesi, qualcosa si è mosso (leggi Fase 2: giustizia sospesa, gli avvocati si ribellano).

La protesta dei cancellieri

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«Si sono cominciate a levare voci sulla ripresa della giustizia». Ma tra le voci, a non gradire ci sono stati i cancellieri di Venezia, in protesta contro gli avvocati, rei, a loro avviso, di voler riaprire i Tribunali a tutti i costi, solo per interessi economici, sprezzati del contagio possibile. Da qui una presa di posizione dei COA del Veneto e, in varie parti d'Italia. Il Comitato giustizia sospesa decide di intervenire ed esporre il suo pensiero: «Non si tratta di una lotta di classe – spiegano gli avvocati - ma un grido volto a salvaguardare la tutela dei diritti dei cittadini che in questo momento sono stati completamente abbandonati».

Le ragioni degli avvocati

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La lentezza della giustizia italiana è risaputa. Come anche è risaputo che tra le riforme per ottenere gli aiuti europei post pandemia debba esserci un'accelerazione del settore. Ma, tra il gap iniziale e la sosta forzata (con rinvii di udienze nemmeno fissato o fissati tra un anno) come si può migliorare? Oltretutto uno stop quello della giustizia che pesa non solo sugli avvocati ma anche nei contesti ad esempio delle consulenze tecniche (coinvolge quindi ingegneri, architetti, medici e così via). Per questo evidenzia il Comitato «Tornare a lavorare è un diritto e un dovere. Un diritto perché la nostra Repubblica è "fondata sul lavoro". È dal lavoro - privato, pubblico, autonomo o subordinato - che traiamo sostentamento; è nel lavoro che mette radici la nostra dignità di cittadini. È un dovere, perché è così che contribuiamo al prodotto interno lordo del Paese, alla crescita economica, al futuro, nostro e delle prossime generazioni. Lo spirito con cui l'avvocatura si è mossa, non per manifestare una sofferenza "di classe" ma per porre in evidenza che la sospensione della giustizia è un problema che riguarda la generalità dei cittadini, è stato coeso e unitario, chiaramente ed espressamente diretto a cercare forme di consultazione e di collaborazione, per una ripartenza del settore che non metta a repentaglio i diritti fondamentali alla salute e alla vita».

Tribunali, nessuna riapertura a tutti i costi

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«Nessuno ha mai inteso affermare che i Tribunali debbano essere aperti indiscriminatamente – affermano gli avvocati - o invitare all'abdicazione totale ai presidi di sicurezza: al contrario. Si è ventilato e si propone un mix di misure che integrino lavoro in presenza e lavoro da remoto, attraverso turnazioni del personale in sede, per garantire prima di tutto la sicurezza dei lavoratori e degli utenti e, allo stesso tempo, per chiedere che il lavoro agile sia concretamente efficace, anche e soprattutto con riferimento alle attività processuali. Per tornare a lavorare, per tornare a difendere i diritti dei cittadini. Questo non è un privilegio di pochi, è un interesse di tutti».

Comitato giustizia sospesa, gli obiettivi

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Sono due le direzione che si potrebbero prendere per poter migliorare la situazione "giustizia". Linea guida certe e generali per il Paese, da un lato, evitando che ogni presidente di tribunale possa scegliere percorsi diversi. Alcuni tribunali hanno ripreso il lavoro, almeno in parte: come nei casi di Crotone e di Siracusa.

E poi c'è il lavoro agile, così come è successo per alcuni settori della pubblica amministrazione, nel pieno rispetto della privacy (che era stato messo in dubbio). Come chiarisce il Comitato: «Sappiamo che le forme di lavoro agile costituiscono la prima e migliore forma di prevenzione dalla diffusione del contagio, che le norme di contenimento anti-contagio hanno ripetutamente invitato i datori di lavoro pubblici e privati ad adottarle, e le abbiamo in concreto applicate, direttamente su noi stessi e nei nostri studi, a tutela dei nostri collaboratori e dipendenti. Ma sappiamo anche – per non fare che un esempio – che i registri telematici processuali sono inaccessibili da remoto al personale degli uffici giudiziari. E di questa abnorme falla nel sistema giustizia nessuna istituzione si è preoccupata di cercare una soluzione in tempi rapidi».


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