Data: 07/06/2020 19:00:00 - Autore: Lucia Izzo
di Lucia Izzo - Le associazioni specialistiche forensi si sollevano a seguito dei pareri resi dalle commissioni Giustizia di Camera e Senato sullo schema di decreto ministeriale che modifica il D.M. 144/2015 sul titolo di avvocato specialista che ora passano al vaglio del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (leggi anche Avvocati: più semplice diventare specialisti).

Le condizioni poste dalle Camere

Nei pareri sono presenti due condizioni ora rimesse alla valutazione de Guardasigilli: da un lato, si chiede che il titolo di avvocato specialista possa essere conferito anche a chi consegue il titolo di dottore di ricerca in materia riconducibile a uno dei titoli di specializzazione, nonché a coloro che conseguono un diploma di master di II livello in materia corrispondente a uno dei settori di specializzazione. Dall'altro, le Commissioni chiedono che venga consentito al CNF di stipulare convenzioni anche con associazioni rappresentative non specialistiche.
Agi (Avvocati Giuslavoristi Italia), Aiaf (Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori), Uncat (Unione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi), Camere Civili e Camere Penali, associazioni che da anni dispongono di un'offerta formativa professionale specifica per avvocati, si sono mobilitate attraverso una lettera (sotto allegata) indirizzata direttamente al Ministro Bonafede.
Le scriventi temono "non l'erosione di spazi e vocazioni", bensì "una ulteriore dilatazione dei tempi per l'entrata a regime di questa parte essenziale della riforma". L'intervento sull'assetto complessivo della disciplina, si legge nella lettera, innescherebbe con tutta probabilità nuovi contenziosi, con l'unico effetto di creare incertezza e di rendere necessari nuovi interventi del giudice amministrativo, con possibili ulteriori effetti sospensivi.

Il conferimento del titolo di avvocato specialista

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Come noto, la Legge professionale consente di conseguire il titolo di specialista all'esito positivo di percorsi formativi o per comprovata esperienza nel settore di specializzazione. Per gli avvocati sarebbe del tutto estranea al requisito di esperienza che caratterizza l'avvocato specialista prevedere un'equiparazione "con qualificazioni che (al di là dell'elevato livello scientifico e accademico) appaiono del tutto estranee al requisito di esperienza che caratterizza l'avvocato specialista".
Per le associazioni scriventi, la modalità di conseguimento del titolo suggerita dalle Commissioni potrebbe portare a riconoscerlo a persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, ancorché magari intendano esercitare in futuro la professione forense, potrebbero addirittura non essere neppure abilitate, al momento in cui conseguano il dottorato di ricerca o il diploma di master di II livello.
Sarebbe contraddittoria, inoltre, la contemporanea presenza di un riconoscimento conferito per "comprovata esperienza" a chi eserciti nella materia da molti anni e di un analogo riconoscimento per "elevata cultura" a chi non abbia mai esercitato e, di regola, non ancora possieda neppure l'abilitazione all'esercizio della professione.

Convenzioni per corsi di alta formazione

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Tale "anomalia", una "vera forzatura dei princìpi dell'ordinamento", si sostanzierebbe anche in una violazione di legge: la riforma professionale n. 247/2012, si rammenta nella lettera, dispone che il CNF stipuli "convenzioni per corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista".
E tra i soggetti delle convenzioni possono rientrare certamente le Università, ma non attraverso l'equipollenza con altri titoli conferiti nell'ambito della propria offerta formativa, con molteplici finalità professionali e di ricerca, ma in modo specifico con "corsi di alta formazione".

Convenzioni con associazioni non specialistiche

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Quanto alla facoltà di stipulare convenzioni anche con le associazioni non specialistiche, "oltre alla evidente contraddizione tra il conferimento della specializzazione e il soggetto non specializzato che la
rilascia", tale ipotesi contrasterebbe con l'articolo 7 del D.M. 144/2015 che fa riferimento per due volte alle convenzioni con le "associazioni specialistiche maggiormente rappresentative".
Bisognerebbe, dunque, provvedere a cambiare altri articoli del summenzionato D.M, ma tali modifiche attualmente non sono previste nello schema di decreto presentato da Bonafede che interviene per adeguare il provvedimento a quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5575/2017.
"La riapertura della discussione su un testo approvato cinque anni fa, in attuazione di una legge di quasi otto anni fa" determinerebbe oltretutto, secondo gli avvocati, "uno squilibrio fra i due rami del Parlamento, posto che al Senato - il quale si è espresso limitatamente alle modifiche proposte - sarebbe sottratta la possibilità di esprimersi su modifiche a due articoli fondamentali, non richieste dalla citata sentenza e non dichiarate nello schema sottoposto a parere".

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