Data: 29/06/2020 16:00:00 - Autore: Alice Cometto

Discrimen tra furto consumato e furto tentato

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 141/2020 è intervenuta sulla questione particolarmente delicata concernente il discrimen tra furto consumato e tentato, al fine di stabilire se, nel caso in cui il reo venga trovato ancora nel luogo in cui ha commesso il furto, pur avendo già occultato la refurtiva, possa essere ritenuto responsabile di furto consumato o tentato.

I precedenti

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Analogo problema circa l'individuazione del momento della consumazione si era già posto con riferimento al furto all'interno del supermercato. In tal caso, nonostante un orientamento giurisprudenziale avesse sostenuto che nel momento stesso in cui l'agente prende un bene dagli scaffali e se lo occulta addosso con l'intento di rubarlo, il furto sia consumato (in ragione della presunta sovrapposizione tra il momento della sottrazione e quello dell'impossessamento), tuttavia, la tesi prevalente ha ritenuto che non si possa parlare di furto consumato finché il bene non esce dalla sfera di controllo dell'offeso.

Fino a quando, dunque, coloro che si occupano della sorveglianza all'interno del supermercato hanno la possibilità di intervenire per sventare il furto, senza che il bene esca dal supermercato stesso (e, quindi, entri nell'automa disponibilità del ladro), il reato è solo tentato, in quando non si sarebbero realizzati tutti gli elementi costitutivi dello stesso: in particolare, non sarebbe rilevabile l'impossessamento (cfr. Cass. n. 1152/2010).

Sentenza n. 141/2020: il caso

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Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione nel 2020, analogamente alla vicenda del furto nel supermercato, il reo veniva fermato dalle forze dell'ordine nel momento in cui si trovava ancora sul luogo del delitto (in particolare, un magazzino ferroviario). Tuttavia, in senso contrario rispetto al furto nel supermercato, in cui il reo occultava su di sé il bene sottratto -con la conseguenza che lo stesso non usciva mai dalla sfera di controllo dello spogliato-, nel caso in esame, il reo aveva provveduto, insieme ai propri complici, a portare fuori dal luogo del reato il bene sottratto (nello specifico, matasse di rame), poi ritrovato nei pressi di un'autovettura al di fuori del magazzino ferroviario.

In definitiva, il ladro veniva sì ritrovato ancora sul luogo del delitto, ma senza il bene sottratto, il quale usciva, così, dal controllo dello spogliato, con la conseguenza che, come hanno evidenziato i giudici di legittimità "una frazione della condotta di sottrazione e impossessamento si era già perfezionata, a nulla rilevando che l'agente non avesse ottenuto la sicurezza del conseguimento dello scopo del proprio agire criminoso" (considerazioni in diritto, n. 3.1.).

Le ragioni della decisione

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La Corte ha considerato che, con riferimento al caso in esame, a nulla rileverebbe il fatto che il reo sia stato ritrovato ancora sul luogo del delitto, evidenziando come egli non solo si fosse liberato di parte della refurtiva, ma l'avesse addirittura occultata per poi impossessarsene, ponendo in essere tanto lo spossessamento (ossia la sottrazione della stessa ai legittimi proprietari) che l'acquisizione, seppure temporanea, della disponibilità.

In tal caso, dunque, l'intervento delle forze dell'ordine che ha costretto l'agente all'abbandono della merce non ha impedito la consumazione del reato ma lo ha costretto ad abbandonare la refurtiva subito dopo il fatto.

Su tal punto, i Giudici di Piazza Cavour hanno voluto approfondire la distinzione intercorrente tra perfezionamento e consumazione del reato, costituenti gli estremi, rispettivamente iniziale e finale, del tempus commissi delicti. Quando il reato è completo in tutti i suoi elementi costitutivi si dice perfetto, mentre, nel momento in cui la sua soglia di offensività raggiunge l'apice è consumato; prima del perfezionamento non si può parlare di una fattispecie già integrata, mentre dopo la consumazione la stessa si è definitivamente esaurita.

Dal rapporto tra perfezionamento e consumazione, si comprende la fattispecie del tentativo, disciplinata dalla fattispecie generale di cui all'art. 56 c.p.. Infatti, vi sono casi in cui il legislatore anticipa la tutela, punendo già il tentativo di commissione, ossia intervenendo in un momento in cui ancora non si è avuta la consumazione del reato, ma si possono ravvisare atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere un delitto.

Con la sentenza in parola, i Supremi Giudici hanno individuato il confine tra la fattispecie tentata e quella consumata del furto nel conseguimento o meno in capo all'agente dell'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva -anche se non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e controllo del soggetto passivo-, essendo privo di rilevanza il criterio spaziale.

Si può concludere, unendo i diversi interventi giurisprudenziali in materia, che, alla luce del prevalente orientamento giurisprudenziale, non rileva la possibilità di controllare l'autore del reato, al fine di distinguere tra fattispecie tentata e consumata (sia nel caso del supermercato che nel caso in esame, l'autore del reato si trovava ancora sul luogo), ma è rilevante il fatto che il soggetto spogliato non perda mai del tutto il controllo della merce che gli appartiene. Nel momento in cui la merce fuoriesce dal luogo in cui si trovava, uscendo dalla disponibilità e dal controllo del legittimo proprietario (così come quando, nel caso di furto nel supermercato, il ladro porti i beni rubati al di là delle casse, sottraendoli al luogo soggetto alla sorveglianza) il furto deve ritenersi consumato, risultando integrati tutti gli elementi costitutivi dello stesso.


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