Data: 10/07/2020 22:00:00 - Autore: Lucia Izzo

Responsabilità danni da animali selvatici

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Chi è tenuto a risarcire i danni cagionati dalla fauna selvatica in caso di incidenti che coinvolgano veicoli e come funziona il regime di imputazione della relativa responsabilità? Un'articolata risposta a tali quesiti è stata recentemente fornita dalla Corte di Cassazione, nell'ordinanza n. 13848/2020 (qui sotto allegata) pubblicata il 6 luglio 2020, con cui la terza sezione civile ha ripercorso i passaggi salienti della disciplina inerente i danni causati da animali selvatici alle vetture e fornito un'interpretazione interessante in una materia ancora dibattuta in giurisprudenza.

Nel caso di specie, la Regione Abruzzo era stata condannata a risarcire il danno provocato a vettura dall'impatto con due cervi. In particolare, il giudice a quo ha riconosciuto tale responsabilità per effetto della mancata attivazione di barriere di protezione o di altri strumenti volti a evitare danni del tipo di quello verificatosi nell'area interessata dal sinistro.

La sentenza impugnata ha anche negato ogni responsabilità in capo alla Provincia poiché, in materia di controllo della fauna selvatica, i compiti, pure a questa attribuiti, vengono considerati espressamente "funzioni amministrative regionali ad esse delegate" e dunque nessuna autonomia decisionale avrebbe potuto riconoscersi alle Province abruzzesi. Una conclusione contestata dalla Regione che, sul punto, richiama alcuni precedenti giurisprudenziali a suo favore.

Chi risponde dei danni cagionati dalla flora selvatica

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In effetti, gli Ermellini danno conto dell'esistenza di orientamenti giurisprudenziali non sempre univoci circa il soggetto tenuto a subire, sul piano risarcitorio, le conseguenze dei danni cagionati dalla fauna selvatica, ovvero la singola Regione o le Province. Per questo l'ordinanza ricostruisce l'intera tematica al fine di contribuire all'esatta osservanza e all'uniforme interpretazione della legge.

In primis, si evidenzia come il legislatore sia intervenuto in materia determinando il superamento di quella tradizionale impostazione che ravvisava nella fauna selvatica una "res nullius", con conseguente impossibilità del ristoro dei pregiudizi dalla stessa cagionati. La Legge n. 968/1977 ha assegnato alle Regioni le funzioni amministrative la tutela della fauna selvatica, dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, pur riconoscendosi la possibilità di delega alle Province. Un assetto confermato dalla successiva L. n. 157/1992.

Tanto premesso, la giurisprudenza è univocamente orientata nell'escludere che il danno cagionato dalla fauna selvatica sia risarcibile in base alla presunzione di cui all'art. 2052 c.c., ritenuta inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici. Disco verde, invece, per i principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., ritenuti applicabili in materia, anche in tema di onere della prova, con la necessità di individuare un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (cfr. Cass. 5722/2019).

Chi è tenuto al risarcimento del danno

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La Cassazione, tuttavia, sottolinea come manchi un indirizzo giurisprudenziale univoco in materia di identificazione del soggetto tenuto a risarcire tali danni (o meglio, a sopportarne la relativa responsabilità).

Le incertezze sul punto deriverebbero proprio dalla scelta iniziale di escludere il regime previsto dall'art. 2052 del codice civile, in quanto basato sulla violazione di un dovere di "custodia" dell'animale ritenuta, per natura, non concepibile per gli animali selvatici, vivendo essi in libertà.

L'ordinanza in oggetto propone dunque un ripensamento, non recando l'art. 2052 c.c. alcuna espressa menzione del fatto che la norma sia limitata agli animali domestici, facendo la stessa riferimento esclusivamente a quelli suscettibili di "proprietà" o di "utilizzazione" da parte dell'uomo.

La norma prescinderebbe anche dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale, in quanto prevede espressamente che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussiste sia che "l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito".

Allocazione della responsabilità

Il riferimento alla proprietà e all'utilizzazione (quale relazione dalla quale si trae una "utilitas" anche non patrimoniale), spiegano i giudici del Palazzaccoi, ha la funzione di individuare un criterio oggettivo di allocazione della responsabilità in forza del quale, dei danni causati dall'animale, deve rispondere il soggetto che dallo stesso trae un beneficio, in sostanziale applicazione del principio "ubi commoda ibi et incommoda", con l'unica salvezza del caso fortuito.

Ancora, il fatto che in tal caso "sussista un diritto di proprietà statale in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente, quelle oggetto della tutela di cui alla citata legge n. 157/1992), è conseguenza che deriva tanto dalla loro appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato, quanto, soprattutto, dall'essere tale regime di proprietà pubblica espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema.

Pertanto, poiché tale funzione si realizza, come visto, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere sostitutivo) sugli altri enti, titolari di più circoscritte funzioni amministrative nello stesso ambito, è in capo alle Regioni che va imputata la responsabilità, ai sensi dell'art. 2052 del codice civile.

Onere della prova

Quanto al regime di imputazione della responsabilità, applicando il criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., la Cassazione ritiene che il preteso danneggiato dovrà allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall'animale selvatico.

In particolare, andrà provata la dinamica del sinistro, nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso a una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157/1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.

In presenza di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano coinvolto veicoli e animali selvatici, non sarà sufficiente la sola dimostrazione della presenza dell'animale sulla carreggiata, e dell'impatto tra lo stesso d il veicolo. Il danneggiato, oltre a provare che la condotta dell'animale sia stata la "causa" dell'evento dannoso, sarà onerato, ex art. 2054, comma 1, c.c. della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida.

La prova liberatoria della Regione

Per la Regione, invece, la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione che il fatto sia avvenuto per "caso fortuito", consisterà nel dimostrare che la condotta dell'animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile del danno.

Occorrerà dunque provare che si sia trattato di una condotta non ragionevolmente prevedibile e/o comunque non evitabile, anche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell'incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purché, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.

Azione di rivalsa

Qualora la Regione, convenuta in giudizio per il risarcimento, reputi che le misure idonee a impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà, anche in quello stesso giudizio, agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all'azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio.

Pertanto, solo limitatamente al rapporto processuale tra Regione ed ente da questa indicato come effettivo responsabile, potranno assumere rilievo tutte le questioni inerenti al trasferimento o alla delega di funzioni alle Province (ovvero eventualmente ad altri enti) e l'effettività della delega stessa (anche sotto il profilo del trasferimento di adeguata provvista economica, laddove ciò possa ritenersi rilevante in tale ottica), così come tutte le questioni relative al soggetto effettivamente competente a porre in essere ciascuna misura di cautela.


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