Data: 24/07/2020 23:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Congedo parentale fruito in modo frazionato

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La Cassazione con l'ordinanza n. 15633/2020 (sotto allegata) fornisce alcune importanti precisazioni sul congedo parentale, ossia una forma di astensione facoltativa dal lavoro prevista dal legislatore per i genitori lavoratori nei primi anni di vita del figlio. Il provvedimento chiarisce infatti che è sufficiente la ripresa di una giornata di lavoro tra due periodi di congedo per escludere i festivi dal calcolo dei giorni del congedo stesso e che costituisce esercizio abusivo di questo diritto, tale da condurre al licenziamento, utilizzare l'astensione dal lavoro per fare attività diverse dalla cura dei figli per cui è stata prevista dal legislatore.

Due coniugi alle dipendenza della stessa S.p.a la convengono in giudizio lamentando il fatto che, per quanto riguarda il congedo parentale (art. 32 legge n. 151/2001) fruito da entrambi, la datrice in relazione al godimento frazionato dello stesso ha considerato come giorni di fruizione, anziché considerarli giorni di riposo o festività, i sabati e le domeniche e i giorni festivi che seguivano quelli di congedo, ovvero i sabati e le domeniche comprese tra due periodi di congedo, quando al primo seguiva la ripresa dell'attività lavorativa. Da qui la richiesta di procedere al ricalcolo della giornate di congedo parentale fruite in modalità frazionata.

Il giudice di primo grado accoglie in parte la domanda della moglie, finalizzata ad accertare come non computabili come congedo le giornate non lavorative/domenicali e festive precedute da un giorno almeno di ripresa del lavoro, ma rigetta per intero quella avanzata dal marito. La sentenza viene impugnata dalla datrice per ottenere la parziale riforma della sentenza nella parte in cui accoglie le richieste della donna, ma il gravame viene respinto dalla Corte d'Appello.

Frazionamento abusivo del congedo parentale

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La società datrice ricorre quindi in Cassazione denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 32 della legge n. 151/2001, degli artt. 1175 e 1375 c.c., di ogni altra norma sui congedi parentali, anche frazionati e dei principi di correttezza e buona fede nell'adempimento del contratto di lavoro, ritenendo che la lavoratrice abbia esercitato abusivamente un loro diritto, in violazione anche del principio di solidarietà previsto dalla Costituzione.

Per la società la Corte d'appello non ha infatti tenuto conto del fatto che la lavoratrice ha esercitato il suo diritto al congedo parentale violando le regole solidaristiche che vengono richieste al lavoratore subordinato nei confronti del proprio datore. Per la datrice la donna ha adottato un frazionamento abusivo del suo congedo, assentandosi per più giorni successivi a quelli festivi, presentandosi al lavoro per un giorno ed evitare che i giorni festivi venissero computati come congedo.

In questo modo la lavoratrice, per un mese, ha accumulato tra sabato 8 ottobre 2011 e giovedì 1 novembre 2011 ben 14 giorni di congedo in più rispetto al dovuto, prestando una prestazione lavorativa frazionata e inutilizzabile dalla datrice.

La ricorrente inoltre richiama alcuni precedenti della Cassazione, che hanno ricondotto all'abuso del diritto le condotte di alcuni dipendenti che, durante il tempo del congedo parentale, si erano dedicati ad attività che nulla avevano a che fare con la cura dei figli.

Un giorno di lavoro fra due periodi di congedo "spezza" ed esclude i festivi

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La Cassazione con l'ordinanza n. 15633/2020 rigetta il ricorso, rilevando come in effetti, nel momento in cui il legislatore ha previsto i congedi parentali, ha fatto una scelta ben precisa, ossia di "attribuire al lavoratore un diritto di carattere potestativo, facendo così prevalere l'interesse de/lavoratore ad assentarsi per l'assistenza e la cura dei figli. Di conseguenza, risultava evidente che l'esercizio del congedo parentale, pacificamente fruibile in qualsiasi momento, anche in forma frazionata e subordinato unicamente al breve preavviso di cui all'art. 33, comma 2, comportava necessariamente un'incidenza negativa sull'organizzazione aziendale, però fisiologicamente connessa alla costruzione dell'istituto da parte del legislatore."

Per gli Ermellini "Quindi, non erano state completamente disattese le ragioni della società appellante, ritenendo che quando i sabati e le domeniche o i giorni festivi si collocassero tra un periodo di congedo parentale ed uno successivo di ripresa dell'attività lavorativa, ovvero tra un periodo e l'altro di congedo parentale, vi fosse presunzione di continuità di quest'ultimo, di modo che anche detti giorni festivi o non lavorati dovessero rientrare nel computo delle giornate fruite a titolo di congedo parentale. Viceversa, correttamente si era ritenuto che non potessero computarsi a titolo di congedo parentale i giorni festivi e/o non lavorativi quando gli stessi fossero preceduti da un periodo di congedo parentale e anche da un solo giorno di ripresa dell'attività lavorativa, non valendo in tal caso la presunzione di continuità, con conseguente riaffermazione del principio secondo cui il diritto potestativo di astenersi da una prestazione lavorativa che sarebbe altrimenti dovuta non può riferirsi a giornate in cui tale prestazione non è comunque dovuta."

In sostanza "la ripresa effettiva dell'attività lavorativa, anche di una sola giornata, spezza la continuità del congedo parentale, con la conseguente esclusione dell'attribuzione di tale titolo alle successive giornate."

Abuso congedo parentale per finalità diverse

Per la Corte il ragionamento del giudice dell'impugnazione è in linea con il principio secondo cui il congedo parentale è un diritto potestativo che viene esercitato per soddisfare i bisogni affettivi del minore e del suo inserimento nel nucleo familiare. Esso è suscettibile di abuso solo quando utilizzato per finalità diverse, come ad esempio, per aiutare il coniuge nella propria attività commerciale, senza che rilevi il fatto che la stessa contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia. Condotta che può giustificare persino il licenziamento per giusta causa, che deve essere valutata dal giudice di merito per accertare in che misura viola il rapporto di fiducia tra datore e lavoratore.

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