Data: 24/09/2020 09:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Istigazione pubblica alla coltivazione di marijuana

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La Cassazione con la sentenza n. 26157/2020 (sotto allegata) condividendo pienamente le conclusioni a cui è giunto il Tribunale, precisa che chi fornisce un manuale ai propri clienti con tutte le informazioni di dettaglio su come si coltiva e di produce marijuana commette reato di istigazione a delinquere.

La vicenda processuale che fa concludere la Cassazione nei termini suddetti ha inizio quando il Tribunale respinge il ricorso contro il decreto che convalida la perquisizione e il sequestro probatorio del P.M ritenendo sussistenti i requisiti richiesti per l'emissione delle misure adottate, relativamente al procedimento penale per i seguenti reati:

  • di cui agli artt. 81, 110 e 414 c.p. comma 1 per istigazione pubblica alla commissione del reato di coltivazione di marijuna, tramite commercializzazione accompagnata dalle istruzioni precise e specifiche e consegna di appositi manuali per sottrarsi ai controlli;
  • di cui agli artt. 1, 81 e 10 c.p e 73 comma 5 del dpr n. 309/1990 in relazione ai quali sono stati sequestrati numerosi semi di cannabis e stecche di sigarette contenenti marijuana.

Dall'ordinanza emerge che la Polizia giudiziaria ha scoperto in 4 diverse occasioni, concluse con altrettanti arresti in flagranza, coltivazioni consistenti di marijuana, realizzate con forniture e prodotti dei negozi dei due accusati e migliaia di semi di cannabis importati dall'estero, messi in commercio con indicazioni relative ai tempi di fioritura, alla percentuale di Thc ricavabile e della quantità di marijuana che si può ottenere da una pianta. Nei due negozi sono stati inoltre rinvenuti diversi manuali, tra cui "La bibbia del coltivatore medico indoor e outdoor" con tanto di istruzioni e fotografie illustrative, trovati anche nell'abitazione dei due arrestati nel corso di un'operazione che si è conclusa con l'arresto di un boliviano e di un italiano.

Non c'è reato se si informa il cliente sul commercio di semi non certificati

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Gli indagati a mezzo difensore hanno presentato ricorso in Cassazione per i seguenti motivi.

  1. Con il primo il difensore rileva l'omesso accertamento sulla natura dei semi di canapa messi in vendita; l'omessa considerazione della prova documentale a difesa. La difesa fa poi presente che nei documenti finalizzati alla commercializzazione c'erano anche avvertenze che informavano gli acquirenti sulla circostanza che la coltivazione di sementi non certificate in Italia è sanzionata, per cui la vendita era finalizzata alla coltivazione nel rispetto di quanto sancito dalla SU n. 47604/2012 che ha stabilito limiti precisi alla realizzazione del reato di istigazione a delinquere di cui all'art 414 c.p. Contesta quindi il nesso eziologico tra l'attività di commercializzazione dei semi e il messaggio indirizzato agli acquirenti per istigarli a commettere un illecito.
  2. Con il secondo contesta le conclusioni del Tribunale in merito al reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, frutto della svalutazione degli elementi probatori offerti dalla difesa e della dichiarazione prodotta che attesta il rispetto del limite di Thc contenuto nel prodotto commercializzato e il difetto dell'elemento psicologico del commerciante. La difesa contesta inoltre, sotto diverso profilo, il doppio binario valutativo delle prove: assai duro verso le prove offerte dalla difesa e indulgente nei confronti del materiale probatorio dell'accusa.
  3. Con il terzo infine contesta le ragioni addotte per la finalità probatoria del sequestro, ossia verifica della tipologia dei semi, del principio drogante presente nelle sigarette e "grado di efficacia e l'eventuale eccedenza rispetto alle soglie stabilite dalla legge n. 242/2016".

Fornire le istruzioni su coltivazione e produzione di cannabis è reato

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La Cassazione si pronuncia sui ricorsi con sentenza n. 26157/2020 dichiarandoli inammissibili per le seguenti ragioni.

Il Tribunale ha confermato il fumus commissi delicti valorizzando il rinvenimento del manuale in entrambi i negozi dei pervenuti, in due copie ciascuno, ritenendo questa pratica come preordinata, non risultando credibile che queste copie venissero utilizzate per formare e istruire il personale.

Il Tribunale ha svalutato il fatto che i manuali fossero conservati in alcuni cassetti dietro il banco e quindi inaccessibili ai clienti. Tale modalità di conservazione e custodia sembra più ispirata alla volontà di nascondere i manuali per la consapevolezza dell'attività istigatoria posta in essere nei confronti dei clienti.

Il giudicante ha valorizzato le indicazioni presenti sulle confezioni dei semi per ottenere le sostanze stupefacenti, inoltre tra le varie evidenze fattuali c'è anche il rinvenimento di sostanza stupefacente presso le abitazioni dei quattro dipendenti e il fatto che le direttive relative ai prodotti da mettere in vendita provenissero solo dagli indagati.

Per il Tribunale i commercianti hanno posto in essere una condotta positiva "di supporto cioè agli acquirenti mediante dettagliate indicazioni sulle modalità di coltivazione dei semi di cannabis per ottenere piante idonee a produrre sostanze stupefacenti e persino evitare controlli."

Il giudice inoltre non ha accolto la tesi difensiva relativa al materiale promozionale di sigarette non in vendita perché non è coerente con la quantità di merce rinvenuta, ossia 360 sigarette suddivise in due stecche di circa 2 kg l'una e contenenti marijuana.

Il Tribunale ha poi chiarito, che ai fini del sequestro probatorio, sono sufficienti elementi concreti conferenti, non essendo necessaria la sussistenza di indizi gravi di colpevolezza, ritenendo la rilevanza probatoria del sequestro opportunamente evidenziata, stante la necessità di effettuare accertamenti peritali su semi e sigarette per rilevare la tipologia di seme, per verificare la capacità ed efficacia a produrre sostanza stupefacente e verificare l'effettivo potere drogante delle sigarette e l'eventuale eccedenza di THC rispetto ai limiti stabiliti dalla legge n. 242/2016.

Dopo aver dichiarato anche l'infondatezza dei ricorsi e aver illustrato l'ammissibilità del ricorso in Cassazione contro le ordinanza emesse in materia di sequestro preventivo e probatorio, gli Ermellini precisano infine che: "in tema di stupefacenti - la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all'art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall'art. 4, commi 5 e 7, legge 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività (Sez. U. n. 30475 del 30/5/2019, Pmt c/Castignani Lorenzo, in cui, in motivazione, la Corte ha precisato che la legge 2 dicembre 2016, n.242, qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, per le finalità tassativamente indicate dall'art. 2 della predetta legge).

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