Data: 28/09/2020 07:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Sospensione dall'insegnamento per il docente che toglie il crocifisso dall'aula

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L'ordinanza interlocutoria n. 19618/2020 della Cassazione (sotto allegata) non si pronuncia sulla questione del crocifisso in aula sollevata da un docente che, contravvenendo a quanto deliberato dall'assemblea, ha rimosso il simbolo dalla parete dell'aula prima di fare lezione, andando incontro così alla sanzione disciplinare della sospensione dall'insegnamento per 30 giorni. Stante la delicatezza e la rilevanza della questione la Corte ha ritenuto opportuno rimettere gli atti al Presidente per l'eventuale assegnazione alle SU.

La Cassazione è stata costretta ad occuparsi ancora una volta del tema del crocifisso in aula, anche se nel caso di specie è stato sollevato da un insegnante che, per il Tribunale è stato sottoposto legittimamente alla sanzione disciplinare della sospensione dall'attività di insegnamento per 30 giorni perché, in violazione di quanto deciso dall'assemblea degli studenti di un istituto superiore, ha rimosso il crocifisso appeso alla parete dell'aula in cui ha poi tenuto lezione, prima dell'inizio della stessa, proferendo frasi ingiuriose nei confronti del dirigente che aveva invitato gli insegnanti al rispetto delle decisioni assunte dall'assemblea di classe.

Decisione a cui il docente si è opposto, anche se la Corte d'Appello l'ha confermata, respingendo le doglianze sollevate dall'appellante.Per il giudice di secondo grado infatti la condotta del dirigente non è discriminatoria perché l'ordine di servizio è stato diramato a tutti gli insegnanti. L'insegnante non ha titolo per contestare la violazione dei principi di laicità dello Stato e del buon andamento della Pubblica Amministrazione perché questi danno origine a interessi diffusi e non a diritti soggettivi e poiché in autotutela il docente può solo far valere diritti soggettivi inviolabili, in questo caso non poteva disobbedire all'ordine ritenendolo illegittimo.

L'esposizione del crocifisso inoltre, anche in base a quanto sancito dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 18 marzo 2011, non è lesiva dei diritti inviolabili della persona, non crea discriminazione, non comprime la libertà di soggetti adulti, né ostacola l'insegnamento. Del resto il dirigente ha solo chiesto di tenere appeso il crocifisso in aula, non di prestare ossequi ai valori del simbolo, per cui il comportamento del docente non è giustificabile.

Negli istituti secondari non valgono i regolamenti che prevedono l'affissione del crocifisso come nelle aule delle scuole medie ed elementari, questo però non significa che è vietato apporlo nelle classi degli istituti superiori, per cui il provvedimento del dirigente non è illegittimo.

Il crocifisso in aula è discriminatorio?

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Il docente affida il suo ricorso in Cassazione a otto motivi, con cui contesta vari punti della sentenza d'Appello.

  1. Con il primo rileva la mancata pronuncia della Corte sulla lamentata violazione di alcune norme costituzionali e civilistiche e contesta l'esclusione del carattere discriminatorio dell'ordine di servizio per il solo fatto che era rivolto a tutti gli insegnanti.
  2. Con il secondo lamenta la violazione degli artt. 19 e 33 Costituzione perché la presenza del crocifisso viola la libertà religiosa e d'insegnamento.
  3. Con il terzo lamenta la violazione e falsa applicazione di diverse norme della Costituzione e ritiene errata la lettura della SU 5924/2011 da cui la Corte d'Appello ha desunto che nel caso di specie non sarebbe ravvisabile la violazione di diritti soggettivi.
  4. Con il quarto denuncia la violazione del principio di laicità dello Stato, di altri principi costituzionali e contesta il richiamo alla sentenza della Cedu, stante l'assenza della previa verifica delle garanzie presenti nell'ordinamento interno e trascurando che in quel caso ad agire erano stati i genitori di un alunno e non un docente.
  5. Con il quinto, nel contestare la violazione di diverse norme costituzionali, rileva l'erroneità della conclusione delle Corte che ha ritenuto l'ordine di affissione legittimo perché non vietato.
  6. Con il sesto contesta che la sua condotta sia stata ritenuta egoistica, in quanto finalizzata a tutelare chi, come lui, non era d'accordo sull'apposizione del crocifisso in aula.
  7. Con il settimo si lamenta come la Corte abbia "omesso di considerare che il convincimento del docente in merito alla sussistenza di un suo diritto soggettivo integra una causa di giustificazione putativa che esclude la sanzionabilità disciplinare."
  8. Con l'ottavo infine si duole del mancato risarcimento del danno, domanda assorbita dal mancato riconoscimento della discriminazione.

Su crocifisso in aula sarebbe opportuno l'intervento delle Sezioni Unite

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La Corte di cassazione con l'ordinanza interlocutoria n. 19618/2020 non fornisce una risposta e una soluzione al ricorrente, ritenendo opportuno a questo punto (stante le diverse interpretazioni del problema fornite dal giudice amministrativo, di legittimità e dalla Corte Europea), l'intervento delle Sezioni Unite, per dipanare una questione che da tempo attende una risposta chiara. Occorre infatti bilanciare la libertà di insegnamento e il rispetto della coscienza morale degli alunni.

Pare opportuno precisare però, prima di tutto, che la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche è prevista non da leggi, ma da regolamenti. Il Consiglio di Stato ha precisato che il crocifisso in aula può svolgere una funzione educativa nei confronti di tutti gli alunni perché richiama anche valori laici come la tolleranza, il rispetto e la valorizzazione della persona.

Dette conclusioni però non sono condivise dalla Cassazione, per la quale il crocifisso è espressione di valori esclusivamente religiosi, per cui non si può giustificare una scelta che lede il principio di uguaglianza rispetto ad altre discipline. Quando le SU hanno affrontato la questione del magistrato che aveva opposto il rifiuto di esercitare la giurisdizione nelle aule in cui fosse presente il crocifisso la Cassazione aveva escluso la lesione della libertà religiosa del magistrato, poiché allo stesso era stata prospettata la possibilità di tenere le udienze in un'aula senza crocifisso alle pareti. Dette conclusioni però, richiamate dalla Corte d'Appello, non sono applicabili al caso di specie in quanto il docente non si è rifiutato di fare lezione, ma credendo di agire in autotutela, si è limitato a rimuovere il crocifisso dalla parete.

Anche la Cedu si è espressa sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, escludendo che tale prassi violi la libertà di religione, coscienza e di pensiero prevista dall'art. 9 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo. Per la Cedu la croce è un simbolo passivo, che non è paragonabile a un discorso agli studenti o alla partecipazione ad attività religiose. Pensiero che la Corte territoriale ha fatto proprio anche se in questo caso non si parla di utenti, ossia di studenti, ma di docenti, chiamati a svolgere un preciso ruolo educativo.

In effetti il docente di una scuola pubblica ben potrebbe ritenere violato il principio di laicità dello Stato, nell'ottica della violazione del principi del pluralismo a tutela di tutti e vedere, nell'esposizione del crocifisso, la violazione delle libertà di coscienza e di religione.

La discriminazione sollevata dal docente, che la Corte d'Appello ha ritenuto non integrata, non affronta però il tema della discriminazione indiretta, che si realizza, come chiarito dalla Corte di giustizia, quando si determina "un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia", rispetto a coloro che invece non vi aderiscono, precisando che la restrizione della libertà religiosa è giustificata solo se la finalità da perseguire è legittima e se i mezzi impiegati sono "appropriati e necessari".

Ora, sebbene il caso trattato dal giudice Europeo sia diverso da quello specifico trattato, gli Ermellini ritengono che si potrebbe sostenere che l'apposizione del crocifisso mette il docente credente in un altro credo o non credente, in una posizione di svantaggio rispetto al docente che a quel credo aderisce, in quanto "costretto a svolgere attività di insegnamento in nome di valori non condivisi."Discriminazione indiretta su cui la Corte d'Appello non si è interrogata e pronunciata.

La giustizia amministrativa in alcuni casi, aderendo alle conclusione del giudice di seconde cure, ha parimenti dato la prevalenza alla volontà espressa dalla maggioranza degli studenti, anche se la Corte Costituzionale è stata chiara nell'escludere che, quando si controverte di questioni religiose, il dato quantitativo non ha alcun rilievo. Il conflitto potrebbe essere risolto in questi casi attribuendo prevalenza al valore di laicità dello Stato, in virtù del quale non si possono operare discriminazioni tra religioni diverse.

La Corte si domanda infine se le esigenze dell'insegnante e quelle degli alunni, nel caso de quo, non fossero temperabili, permettendo, nel rispetto del principio del pluralismo, la rimozione del crocifisso quale esercizio legittimo del potere di autotutela.

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