Data: 05/11/2020 10:30:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Sospensione dall'attività professionale per l'avvocato

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La Cassazione con la sentenza a SU n. 23593/2020 (sotto allegata) respinge il ricorso di un avvocato, sospeso per due mesi dall'esercizio della professione per avere mentito a una sua assistita. Alla donna infatti ha fatto credere, tra l'altro, che le somme di denaro richieste dopo una causa intrapresa con la promessa di richiedere il compenso solo in caso di vittoria, non erano altro che "spese" proporzionate al valore della causa. Ma vediamo come si sono svolti i fatti fin dall'inizio.

Una donna presenta un esposto al Consiglio dell'Ordine contestato all'avvocato che l'ha assistita le seguenti condotte:

  • averla indotto a intraprendere un giudizio con la promessa che la stessa avrebbe dovuto pagare i suoi onorari solo a causa vinta e che le sarebbero state chieste solo le spese processuali, in violazione degli artt. 5, 6 e 19 del Codice Deontologico;
  • aver giustificato le richieste di denaro successive come "spese" di causa proporzionate al valore della stessa;
  • averla indotta a non revocargli il mandato facendole credere che non poteva visto che la causa era sua e doveva condurla lui;
  • averle infine offerto, dopo l'esito negativo del primo grado di giudizio, di promuovere gratuitamente il giudizio di appello.

Il Consiglio distrettuale di disciplina, conclusa l'istruttoria, punisce l'avvocato con la sospensione dall'attività professionale per tre mesi. Decisione contro la quale il legale propone ricorso al Consiglio Nazionale Forense, che con la sentenza n. 148/2019 riduce la sanzione a due mesi di sospensione dell'attività professionale:

  • dichiarando l'intervenuta prescrizione delle condotte riportate nel capo a) dell'incolpazione;
  • osservando come l'organo disciplinare non fosse incorso nel travisamento delle prove né che la motivazione poteva ritenersi omessa o incompleta;
  • e come l'avvocato con la sua condotta fosse incorso nell'illecito disciplinare dell'accaparramento della clientela.

Violazioni procedurali

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Il legale ricorre in Cassazione contro la decisione del CNF.

  1. Con il primo motivo fa valere la nullità della sentenza e del procedimento poiché il CNF, in violazione dell'art 61 della legge n. 247/2012, ha deciso nella sua integrale composizione mentre avrebbe dovuto farlo nell'ambito di un'apposita sezione disciplinare, esercitando contestualmente funzioni giurisdizionali e amministrative.
  2. Con il secondo lamenta la violazione dell'art. 97 della Costituzione e di diverse norme del Regolamento in materia disciplinare, contestando al CDD di non aver istruito il fascicolo nelle prime due udienze, salvo poi ascoltare i testi, esercitando in modo illegittimo il potere istruttorio.
  3. Con il terzo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per assenza di motivazione dell'impugnata sentenza del CNF, che a suo dire non ha motivato adeguatamente le ragioni dell'incolpazione "omettendo di dar conto di tutte le acquisizioni istruttorie."
  4. Con il quarto infine rileva la nullità della sentenza impugnata per motivazione carente e contraddittoria e per la violazione dell'art. 111 della Costituzione e di alcune norme del c.p.c

Sospensione per l'avvocato che fa passare per "spese" richieste di denaro

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La Corte di Cassazione con la sentenza a SU n. 23593/2020 rigetta il ricorso ritenendo infondati i primi tre motivi di ricorso e inammissibile il quarto.

In relazione al primo motivo di ricorso gli Ermellini chiariscono che "la mancata costituzione di un'apposita sezione disciplinare all'interno del CNF non incide sulla natura giurisdizionale dei suoi poteri, né sull'imparzialità e sull'autonomia dell'organo giudicante, le quali sono comunque assicurate dalla sua composizione collegiale e dalla natura elettiva dei suoi componenti."

Sul secondo motivo di ricorso la Cassazione rileva la mancata configurazione della violazione del principio del buon andamento contemplato dall'art. 97 della Costituzione, considerato che l'avvocato ha partecipato al contraddittorio e ha compiuto attività istruttoria, senza lesione alcuna del suo diritto alla controprova. Il procedimento disciplinare di primo grado inoltre non prevede termini perentori per lo svolgimento e la conclusione dello stesso, per cui non può ritenersi violato il principio di ragionevole durata del processo "giacché la mancata previsione di un termine finale del procedimento disciplinare è coessenziale al fatto che esso debba avere una durata sufficiente per consentire all'incolpato di sviluppare compiutamente la sua difesa."

Infondato anche il terzo motivo in quanto il CNF ha adeguatamente motivato le prove e la loro attendibilità, coma la testimonianza del terzo e la deposizione credibile e dettagliata della cliente, da cui è emersa la scorrettezza del comportamento dell'avvocato "nel promettere, contrariamente al vero, di non chiedere onorari per l'eventuale difesa della sua assistita nei gradi successivi."

Inammissibile infine l'ultimo motivo in quanto le doglianze del legale sono finalizzate a rimettere in discussione le risultanze di merito e perché, ricordano gli Ermellini "in cassazione è denunciabile solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in una violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente alla motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali."


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