Data: 27/01/2021 12:00:00 - Autore: MARIATERESA ARCADI

Il processo tributario

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Il processo tributario è annoverabile nello schema rituale dispositivo: infatti l'onere di provare i fatti costitutivi della domanda spetta alle parti, cosi come la delineazione dell'oggetto del contendere. La giustizia tributaria si differenzia da quella civile e amministrativa essendo, regolata da una propria legislazione autonoma, sebbene ispirata ai principi processuali- civili. Infatti il contenzioso tributario è un processo dispositivo nel senso che la materia del contendere è delineata dalle parti e non può essere ampliata dal Giudice e caratterizzato dall'impulso di parte. Ebbene, la giustizia tributaria è speciale e viene in rilievo solo nei limiti in cui la legge le attribuisce la materia oggetto della sua cognizione.

Le commissioni tributarie

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Come indicato dall'art. 1 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, gli organi giurisdizionali tributari si articolano in primo e secondo grado di giudizio.

In primo grado operano le commissioni tributarie provinciali che si pronunciano sui ricorsi introduttivi presentati dal contribuente, hanno sede nel capoluogo di ogni provincia e sono presenti in quasi tutte le provincie. Le commissioni tributarie regionali, invece, sono organi di secondo grado e svolgono la funzione di giudice di appello, hanno sede nel capoluogo di ogni regione, oltre che presenti, nei capoluoghi di provincia, sotto forma di sezioni distaccate. Esse si pronunciano sulle impugnazioni delle sentenze di primo grado, emesse dalle commissioni tributarie provinciali.

Va ricordato che, prima della riforma, il previgente D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 292 del 11/11/1972 "Revisione della disciplina del contenzioso tributario" prevedeva la commissione tributaria centrale con sede a Roma, rappresentando cosi il terzo grado di giudizio prima della Corte di Cassazione.

Il D.lgs n. 545 ha eliminato la commissione tributaria centrale, mantenendo in funzione per i giudizi pendenti fino al 1 gennaio 1996 e successivamente con la legge finanziaria del 2008, per le quali pende il termine per l'impugnativa davanti allo stesso organo, nonché anche alle controversie pendenti dinanzi alle commissioni di secondo grado, per le quali, alla succitata data è stato depositato il dispositivo sulla decisione, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 con successive modificazioni e integrazioni. Successivamente attraverso l'art. 62 del D.lgs. 546/92 per ultimo giudizio viene applicata la Cassazione per espressa previsione legislativa.

Ebbene, gli organi della giustizia tributaria sono cosi articolati.

Oggetto della giurisdizione tributaria

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L'art. 2 D-lgs n. 546 del 1992, specifica che "appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi Ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovraimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio, ivi comprese le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale, nonché le controversie attinenti l'imposta o il anone comunale sulla pubblicità e il diritto delle pubbliche affissioni".

Esecuzione forzata

Per quanto riguarda le controversie riguardanti l'esecuzione forzata, la giurisdizione si divide in giudice tributario e giudice ordinario, pertanto diviene fondamentale individuare la giurisdizione competente al fine di evitare ritardi processuali. In particolare, al giudice tributario vengono devolute le controversie che hanno ad oggetto vizi della cartella di pagamento o dell'intimazione di pagamento, mentre al giudice ordinario vengono devolute tutte le controversie successive alla formazione del titolo esecutivo e ad atti esecutivi stretti. Pertanto, come stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 5 giugno 2017, n. 13913, in mancanza della notifica dell'atto presupposto, il pignoramento presso terzi va impugnato davanti alla commissione tributaria.

Difetto di giurisdizione

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Delineato l'oggetto della giurisdizione tributaria, il legislatore afferma che il difetto di giurisdizione delle commissioni tributarie è rilevato anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo (art. 3 del Dlgs. 536/92).

Il difetto di giurisdizione può essere assoluto o relativo: il difetto di giurisdizione assoluto avviene quando nessun giudice può decidere su una determinata questione riguardante la valutazione della Pubblica Amministrazione; il difetto di giurisdizione relativo riguarda le questioni relative alle liti inerenti i canoni di concessione demaniali: in questo caso è necessario dover stabilire se la giurisdizione appartiene al giudice tributario o al giudice ordinario.

Sul difetto di giurisdizione la parte può sollevare la questione sia nel ricorso, sia in udienza e in appello solo nei limiti di giudicato interno e implicito.

Provvedimenti del giudice

A fronte dell'eccezione di difetto di giurisdizione, il giudice tributario può procedere in tre diversi modi:

  • declinare la propria giurisdizione e dichiarare altro giudice competente;
  • affermare la propria giurisdizione e decidere in tal caso nel merito;
  • dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione

La sentenza che declina la giurisdizione ad altro giudice può essere appellata. Le Sezioni Unite al riguardo ritengono che questo orientamento meriti di essere ripensato, dal momento che l’accertamento della giurisdizione non rappresenta un mero passaggio interno della statuizione di merito, ma costituisce un capo autonomo che è pienamente capace di passare in giudicato, anche se il giudice si sia pronunciato solo implicitamente sullo stesso. Pertanto, di fronte ad una sentenza di rigetto della domanda non è ravvisabile una soccombenza dell’attore sulla questione di giurisdizione; rispetto a questo capo, infatti, va considerato vincitore. Essendo tale, allora, non è legittimato a contestare il capo sulla giurisdizione e a sostenere che la potestas iudicandi spetti ad un giudice diverso, appartenente ad un altro plesso giurisdizionale.

L’inammissibilità dell’appello proposto dall’attore soccombente nel merito non si pone né in contrasto con la garanzia del giudice naturale precostituito per legge, essendo un valore presidiato dall’obbligo del giudice di procedere d’ufficio in primo grado alla verifica della sua potestas iudicandi e che va bilanciato con l’esigenza di speditezza del processo; né con l’art. 41 c.p.c., che consente a ciascuna parte di chiedere alle S.U. il regolamento preventivo di giurisdizione. L’utilizzo di tale istituto non è conferito ad libitum all’attore, ma solo in presenza di un interesse concreto ed immediato ad una risoluzione della quaestio da parte delle S.U. in via definitiva ed immodificabile. L’appello per difetto di giurisdizione è precluso, invece, perché l’ordinamento non consente all’attore di andare contro la sua scelta originaria in ordine alla giurisdizione per una esigenza di razionalità nell’impiego della risorsa giustizia, che è a disposizione della collettività.

Infine qualora il giudice di appello dichiari la giurisdizione negata dal primo giudice rinvia la causa al primo grado (art. 59 co 1 lett. a del Dlgs 546/92).

Giudicato interno e implicito rilevabile d'ufficio

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Va infine rilevato che ogni decisione di merito contiene una decisione implicita sull'esistenza della potestas iudicandi, non potendo la sentenza di merito provenire da un giudice senza potere di giurisdizione (Cass. SS.UU. sentenza n. 24883 del 2008).

Ne consegue, pertanto, che chi ha interesse a negare l'esistenza della giurisdizione, una volta concluso il giudizio di primo grado con pronuncia di sentenza di merito, ha la facoltà di impugnare la sentenza per questo motivo specifico, derivandone, altrimenti, la formazione di un giudicato che comporterà l'impossibilità di riesaminare la questione nei successivi gradi del processo.

Secondo la Corte di Cassazione, l'esistenza di una decisione implicita sulla giurisdizione in caso di sentenza di merito è compatibile con i principi costituzionali del giusto processo, primo fra tutti quello del principio di durata.

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