Data: 02/01/2021 10:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

Attività pericolosa da emotrasfusione

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L'ordinanza numero 29766/2020 della Corte di cassazione (qui sotto allegata) merita di essere segnalata per aver fatto il punto sulla questione della responsabilità extracontrattuale derivante dal danno subito dal paziente sottoposto a un'attività pericolosa di emotrasfusione.

Alla base della pronuncia, vi è la vicenda di una donna che, alla fine degli anni settanta del secolo scorso, aveva contratto il virus dell'epatite C e che pretendeva di essere indennizzata ritenendo che l'infezione derivasse da un'emotrasfusione alla quale si era sottoposta presso un ospedale romano.

Danno medico da emotrasfusione: il ricorso a presunzioni

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Per i giudici, in materia va rilevato che la prova del nesso causale tra la trasfusione e il contagio da virus HCV può basarsi anche su presunzioni, ma solo se risulti dimostrata l'idoneità della condotta a provocare il contagio e la struttura sanitaria non abbia predisposto o non abbia prodotto in giudizio la documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso.

Chiaramente, a tal fine non può prescindersi dalla prova, anch'essa eventualmente presuntiva, dell'effettuazione della trasfusione (cosa che nella specie mancava).

La prova del danno

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Del resto, per la Corte va ribadito l'orientamento, già affermato nel corso degli anni, in forza del quale il paziente che pretenda di ricevere l'indennizzo che l'articolo 1, comma 3, della legge n. 210/1992 riconosce in favore di coloro che presentino danni irreversibili derivanti da epatiti post-trasfusionali deve dimostrare:

  • l'effettuazione della terapia trasfusionale;
  • il verificarsi del danno;
  • il nesso causale tra le due cose, da valutarsi secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica.


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