Data: 11/01/2021 11:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Status di rifugiata alla straniera vittima di persecuzioni

[Torna su]

La tratta delle donne per avviarle alla prostituzione è una forma di discriminazione che, alla luce della normativa internazionale, comunitaria e interna giustifica il riconoscimento dello status di rifugiata alla cittadina nigeriana che richiede protezione. Questa in sostanza la motivazione dell'ordinanza della Cassazione n. 10/2021 (sotto allegata) con cui ha accolto il ricorso di una nigeriana contro la sentenza di appello che le ha negato la protezione richiesta, ma vediamo cosa è successo fin dall'inizio.

Una donna di cittadinanza straniera presenta domanda di protezione internazionale, che il Tribunale di primo grado accoglie, riconoscendo alla stessa lo status di rifugiata, stante la sussistenza dei requisiti contemplati dall'art 2, comma 1 lettera e) del dlgs n. 251/2007 ai sensi del quale, per rifugiato deve intendersi il "cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10."

Il Tribunale accoglie infatti i timori della donna di essere vittima di persecuzioni dirette e personali perché arrivata in Italia per fuggire alla tratta delle donne per avviarle alla prostituzione. Sussiste quindi un grave pregiudizio in caso di ritorno nel suo paese di origine, stante l'assenza di legami familiari.

Protezione negata: racconto contraddittorio e provenienza incerta della donna

[Torna su]

La Corte d'Appello però ribalta la decisione e nega la protezione internazionale perché la donna è priva di documenti, pertanto è incerta la sua provenienza. La donna inoltre non appare credibile perché la vicenda narrata appare contraddittoria. Non è verosimile per la Corte che la stessa si sia sottratta così agevolmente dai trafficanti libici e non abbia pagato nulla per arrivare in Italia. La donna non chiarisce l'effettiva costrizione a prostituirsi o una sua scelta in tal senso al solo fine di sopravvivere economicamente. La condizione di prostituta straniera inoltre non legittima il rilascio del permesso di soggiorno umanitario, condizionato invece a un contributo nel contrastare i responsabili di tali reati. La Corte non ritiene infine idonea alla protezione la situazione generale del Paese di provenienza, poiché la donna non è vittima di una persecuzione grave e diretta né appare così vulnerabile da giustificare la concessione di protezioni sussidiaria e umanitaria.

Violate le norme sul riconoscimento dello status di rifugiata

[Torna su]

La donna a questo punto ricorre in Cassazione facendo valere i seguenti motivi di ricorso.

  • Con il primo deduce l'omesso esame del fatto decisivo relativo alla sottrazione dei suoi documenti e al viaggio gratuito.
  • Con il secondo deduce la violazione di diverse norme di diritto internazionale ed europeo che hanno condotto la Corte a ritenere la stessa priva dello status di rifugiata.
  • Con il terzo evidenzia la sussistenza dei requisiti necessari alla concessione della protezione internazionale.
  • Con il quarto la violazione della norma che prevede la concessione del permesso di soggiorno alle donne vittime di violenza di genere.
  • Con il quinto infine la violazione delle norme che prevedono la concessione della protezione umanitaria ai soggetti vulnerabili che, un volta rientrati nel loro Paese, subiscono la compromissione dei loro diritti fondamentali.

Tratta delle donne per prostituzione: discriminazione che giustifica lo status di "rifugiata"

[Torna su]

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso della donna con l'ordinanza n. 10/2021 ritenendo fondati i primo due motivi e assorbiti di conseguenza gli altri tre, per le seguenti ragioni.

Gli Ermellini ritengono il primo motivo fondato in quanto la Corte ha omesso di esaminare il fatto storico che si riferisce all'assenza dei documenti e alla gratuità del viaggio della donna, che sono stati allegati dalla donna nella comparsa e che, se fossero stati esaminati, avrebbero condotto la Corte a una decisione diversa "in riferimento alla giustificazione della mancanza di conoscenza delle generalità della straniera richiedente e pertanto della sua effettiva cittadinanza e provenienza nigeriana (...) e della sua credibilità in merito alla vicenda di tratta raccontata."

Fondato anche il secondo motivo in quanto lo status di rifugiata può essere riconosciuto dallo Stato a un cittadino straniero quando costui ha il timore fondato di essere perseguitato con atti sufficientemente gravi di violenza fisica o psichica, compresa quella sessuale, per il solo fatto di appartenere a un determinato gruppo sociale.

La Cassazione precisa inoltre che "deve essere riconosciuta la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, per tale dovendosi intendere qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisca le donne in modo sproporzionato (Convenzione di Instanbul)." L'Italia aderendo questa Convenzione si è assunta l'impegno di adottare tutte le misure legislative o di altro genere necessarie a garantire che la violenza sulle donne possa essere riconosciuta come una vera e propria forma di persecuzione che, come tale, da luogo a una forma di protezione complementare o sussidiaria.

La Corte ricorda inoltre di aver già chiarito che "requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato è il fondato timore di persecuzione personale e diretta nel Paese di origine del richiedente" e che è onere dell'istante provare anche in via indiziaria, la credibilità dei fatti allegati che devono essere precisi, gravi e concordanti.

Dopo aver precisato i doveri istruttori dell'autorità amministrativa e giudiziaria, fa presente poi che "nel caso in questione, di "vendita" della richiedente, di per sé integrante un trattamento di tipo schiavistico" si esige "l'assunzione di specifiche informazioni sulla situazione delle donne nigeriane, anche considerato che spesso le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni." Criteri che, nella valutazione della credibilità della richiedente in un caso così delicato, la Corte di Appello ha disatteso.

Per quanto riguarda gli altri tre motivi, comunque fondati, la Corte li dichiara assorbiti in conseguenza dell'accoglimento dei primi due.


Tutte le notizie