Data: 31/01/2021 11:00:00 - Autore: Valeria Zeppilli

Prova della sofferenza patita

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La questione della risarcibilità del danno non patrimoniale subito dal padrone a seguito dell'errata diagnosi del medico-veterinario che ha portato al decesso dell'animale d'affezione è stata di recente affrontata dal Tribunale della Spezia nella sentenza numero 660/2020 qui sotto allegata.

Per il giudice, in particolare, tale danno non può ritenersi sussistente in re ipsa, ma il danneggiato che ne chieda il risarcimento è tenuto a dimostrare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di sofferenza patita in dipendenza della perdita dell'animale.

Le presunzioni bastano ma il solo decesso no

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Tale prova può essere data anche attraverso presunzioni, che siano gravi, precise e concordanti. Tuttavia, gli elementi indiziari posti a sostegno della prova devono essere diversi dal fatto in sé del decesso dell'animale.

Il rapporto tra animale e padrone

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In ogni caso, ciò che è certo è che il rapporto tra padrone e animale deve ormai considerarsi pacificamente come "espressione di una relazione che costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale e, quindi, come vero e proprio bene della persona, tutelato dall'art. 2 della Costituzione".

Come già chiarito in passato dalla giurisprudenza, in altre parole, una lettura contemporanea delle abitudini sociali e dei relativi valori non permette più di considerare "futile" la perdita dell'animale d'affezione, che invece è un evento tale da integrare una lesione dell'interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva (v. Trib. Pavia n. 1266/2016 e Trib. Vicenza n. 24/2017).


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