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Data: 07/03/2021 11:00:00 - Autore: Sabrina Lardieri
Vaccino Covid 19[Torna su]
La campagna vaccinale è iniziata da un pò e ha subito innescato un acceso dibattito circa la legittimità o meno del licenziamento impartito al dipendente che rifiuta di sottoporsi al vaccino anti SARS-COV-2. Prima di cercare di dare una risposta allo spinoso, quanto attuale quesito, è imprescindibile l'esame di alcune norme del nostro ordinamento giuridico. L'art. 32 della Costituzione[Torna su]
Nell'affrontare l'argomento in esame non possiamo non partire dal dettato costituzionale. L'art. 32 della Costituzione, al secondo comma, dispone che "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.". Cosa ci dice la norma? La disposizione ci dice che in assenza di una legge ad hoc nessun trattamento sanitario, neanche la somministrazione vaccinale, può essere imposta ai cittadini. Ora, come è noto, il legislatore italiano non ha ancora previsto l'inserimento dell'obbligo di vaccinazione contro il SARS-COV-2. Pertanto, potremmo già rispondere negativamente al nostro quesito. Ovvero, in assenza di una legge specifica che imponga la vaccinazione contro il Covid-19, il licenziamento del dipendente che rifiuta di sottoporsi al trattamento sanitario è da considerarsi illegittimo. L'art. 2087 c.c.[Torna su]
Per completezza di ragionamento bisogna però analizzare il disposto dell'art. 2087 c.c. La norma pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di "adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro". Occorre pertanto domandarsi se quest'obbligo, che si caratterizza per essere generale, comprenda anche l'adozione dei vaccini contro il SARS-COV-2. La risposta appare essere negativa. Questo perché, allo stato attuale, le conoscenze scientifiche sui vaccini anti Covid sono insufficienti per poter rientrare in quel bagaglio di esperienza e conoscenza tecnica richieste dalla norma in esame. Difatti ci sono ancora troppi dubbi circa l'effettiva efficacia immunizzante dei vaccini e soprattutto sulla durata dell'immunità. Ancora, bisogna considerare che attualmente i vaccini non sono nella immediata disponibilità dei datori di lavoro i quali non possono acquistarli liberamente, pertanto la prestazione di garantirne la somministrazione ai dipendenti sarebbe di fatto impossibile. In ogni caso l'art. 2087 c.c. è norma di rango inferiore rispetto al dettato costituzionale e, pertanto, non sarebbe comunque configurabile in capo al lavoratore un obbligo vaccinale in assenza di disposizione di legge. Art. 279 Testo unico sicurezza sul lavoro (D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81)[Torna su]
Altra disposizione utile ai fini del nostro ragionamento è l'art. 279 del Testo Unico in materia di Sicurezza sul Lavoro. La norma prescrive che il datore di lavoro "su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente."
Tale disposizione è senz'altro più specifica di quella analizzata precedentemente e sembrerebbe potersi applicare al caso ei vaccini anti SARS-COV-2. A ben vedere però la norma impone al datore di lavoro di mettere a disposizione dei dipendenti i vaccini ed abbiamo già rilevato come, allo stato attuale, questi non siano nella loro immediata disponibilità. Pertanto, anche in questo caso, il datore di lavoro verrebbe onerato di una prestazione impossibile. Gli operatori sanitari[Torna su]
Discorso differente dev'essere fatto per gli operatori sanitari. Nel loro caso, invero, i vaccini sono nella disponibilità delle varie aziende ospedaliere e, pertanto, la loro somministrazione potrebbe rientrare fra le prestazioni richieste in tema di sicurezza al datore di lavoro. Se a questo aggiungiamo la peculiarità della mansioni svolta e che il rischio di contagio è intrinseco alle stesse e al luogo di lavoro (si pensi ai reparti covid) possiamo arrivare ad ipotizzare una responsabilità in capo al lavoratore che si rifiuti di vaccinarsi. E' da valutarsi poi se tale responsabilità può tradursi in un licenziamento del dipendente. In ogni caso, anche ammettendo il licenziamento come sanzione per il rifiuto della prestazione sanitaria si deve sempre tenere conto della sua funzione di ultima ratio. Il datore di lavoro, pertanto, dovrà a prescindere dimostrare di non poter adibire il lavoratore a mansioni differenti anche inferiori. |
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