Data: 29/04/2021 11:00:00 - Autore: Martina Iossa

Vaccini anti Covid, le preoccupazioni

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Prima desiderati e ora temuti, i vaccini anti Covid-19 rischiano di ingenerare timori e, talvolta, vere e proprie rivolte, soprattutto a causa dei recenti decessi avvenuti a seguito della vaccinazione AstraZeneca, che ha comportato una sospensione temporanea della stessa non solo in Italia, ma anche in altri Stati europei (Francia, Spagna, Norvegia e Svezia, ex multis).
Tuttavia, sebbene l'EMA abbia confermato la sicurezza del suddetto vaccino e l'Italia, dal 19 Marzo, abbia ripreso le somministrazioni, le preoccupazioni e i fervori non si sono mai placati.
Potrebbe rivelarsi utile, a tal fine, conoscere in quali conseguenze si potrebbe incorrere nel caso di rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione in questione, anche alla luce del recente intervento del Diritto Internazionale in merito.

L'analisi normativa

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Anche i non giuristi avranno sentito nominare, a tal proposito, l'art. 32 della Costituzione, secondo comma, secondo il quale "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge".
Si rammenta, per completezza d'informazione, che attualmente non è stata emanata alcuna disposizione che renda obbligatoria la vaccinazione contro il Covid-19, né è prevista alcuna sanzione per chi si rifiuti di sottoporvisi.
Tuttavia, il dettato costituzionale va analizzato in combinato disposto con alcune disposizioni in merito ai lavoratori e alla tutela della loro salute.
In particolare, l'art. 2087 c.c. obbliga l'imprenditore ad adottare misure salvaguardanti l'integrità fisica e la personalità morale dei suoi sottoposti.
Tale norma è poi suffragata dall'art. 20 T.U.S.L. (D.lgs. 81/08), concernente gli obblighi del lavoratore, il quale prescrive ad ognuno di essi di prendersi cura della propria salute e sicurezza.
Alla luce di una lettura combinata dei suddetti articoli, pertanto, ne deriva che, sebbene non si possa esser obbligati a sottoporsi a trattamenti sanitari se non su base volontaria, il datore di lavoro è tenuto a garantire ad ogni lavoratore un ambiente di lavoro il più possibile salubre, ed il lavoratore, a sua volta, deve agevolare tale condotta, e non ostacolarla.

Le soluzioni adottabili in concreto dal datore di lavoro

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  • Ai sensi dell'art. 279 T.U.S.L. co. 2 lett. B), una delle soluzioni adottabili è l'allontanamento temporaneo del lavoratore a rischio. Lo stesso, dunque, potrà esser reintegrato solo in condizioni di totale sicurezza ed assenza dal rischio di contagio da Covid-19. Si badi bene, però, che se la decisione di non vaccinarsi è dipesa da "futili motivi" e non già da reali patologie che rendono il soggetto un lavoratore a rischio, allo stesso non spetterà alcuna retribuzione.
  • Una seconda soluzione potrebbe essere quella di spostare il lavoratore a che si rifiuti di immunizzarsi in un altro settore o reparto, adibendolo a mansioni equivalenti o inferiori.
  • Da ultimo, in extremis, si potrebbe valutare il licenziamento per motivi oggettivi, qualora uno spostamento o un demansionamento non siano possibili. Tuttavia, tale soluzione è piuttosto rischiosa, anche in virtù dell'attuale blocco generalizzato dei licenziamenti previsto sino al 30 giugno 2021. Inoltre, il lavoratore potrebbe impugnarlo e chiedere la reintegrazione, dimostrando di non esser stato tutelato dal suo datore di lavoro, il quale non si sarebbe premurato di cercare soluzioni alternative meno gravose.

La casistica: Italia e Germania a confronto

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Anche la recente giurisprudenza (Trib. Belluno, Ord. 19 Marzo 2021) si è espressa in tal senso, legittimando la collocazione in ferie forzate (si badi bene: retribuite!) dei 10 infermieri "no vax" (dipendenti di una Rsa) che avevano rifiutato di sottoporsi a vaccinazione.
A seguito di tale rifiuto, difatti, era stato pronunciato un giudizio di inidoneità alla mansione specifica nei confronti degli stessi.
Più risoluta è parsa invece la Germania, che già nel Gennaio 2021 aveva provveduto al licenziamento di 7 infermieri di una struttura sanitaria, asserendo di non volere personale non sottoposto a profilassi.
In Italia, invece, sebbene il licenziamento non sia tra le soluzioni preferibili e anzi sia, allo stato attuale, altamente sconsigliato, si rammenta comunque che, in assenza di patologie comprovate, il rifiuto di sottoporsi al vaccino sarà negativamente valutato dal datore di lavoro e potrebbe comportare, pertanto, una sospensione (anche senza retribuzione), un demansionamento o uno spostamento del lavoratore.

L'intervento della Corte EDU

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Di fondamentale importanza è invece la decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo la quale, con sentenza dell'8 Aprile 2021 (Sent. Corte Edu n. 116/2021) avrebbe riconosciuto come "necessaria in una società democratica" la vaccinazione obbligatoria ex lege.
Il caso nasce dal ricorso di alcuni genitori originari della Repubblica Ceca in relazione alla supposta violazione dell'art. 8 Cedu, dal momento che ai figli minori dei ricorrenti era stata (a loro parere ingiustamente) preclusa l'iscrizione ad una locale scuola dell'infanzia.
L'articolo citato, il quale tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, per la Corte di Strasburgo non parrebbe in alcun modo violato dalle leggi in oggetto.
A tal proposito, la Corte ha esaminato quali interventi (o meglio, ingerenze) dell'Autorità Pubblica nella vita privata e familiare potrebbero esser consentiti, e per quali motivi. Le eccezioni previste sarebbero, dunque: la previsione di legge, la protezione della salute e della libertà altrui, la necessità. Pare evidente, allora, come la vaccinazione obbligatoria di bambini che vogliano iscriversi alla scuola d'infanzia ricada, indubbiamente, nella seconda opzione, al fine di tutelare gli altri soggetti che intendano frequentare il medesimo istituto.
La Corte ha inoltre esplicitato la necessità di una legge nazionale che preveda un risarcimento in caso di danni alla salute, al fine di legittimare la vaccinazione obbligatoria.
Tuttavia, la questione pare ancora lontana da una risoluzione definitiva, dal momento che, ai sensi dell'art. 46 CEDU, le sentenze della Corte di Strasburgo sono vincolanti solo per le parti in causa.
Solo nel caso in cui si tratti di un diritto consolidato o di una "sentenza pilota", difatti, anche le autorità giudiziarie italiane saranno vincolate a tali decisioni (Sent. Corte Cost. n. 49/2015).
Per il momento, dunque, tale decisione, sebbene segni un importante spartiacque nel panorama internazionale con riferimento all'obbligo di vaccinazione, non è vincolante nel nostro ordinamento.

Dott.ssa Iossa Martina, avvocato praticante,
contattabile per informazioni o collaborazioni
all'indirizzo email iossamartina@libero.it


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