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Data: 26/04/2021 22:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Avvocato sospeso per violazione del segreto professionale[Torna su]
La sospensione dall'attività professionale irrogata all'avvocato dall'autorità disciplinare preposta non è sindacabile in sede di legittimità. Vero poi che l'avvocato è esonerato dal segreto professionale quando concluso il mandato insorge una controversia con il cliente, ma il legale deve indicare le ragioni per le quali è costretto a violare tale obbligo. Queste le precisazioni contenute nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 10852/2021 (sotto allegata) emessa al termine della seguente vicenda processuale. Un soggetto si rivolge al Consiglio dell'Ordine di appartenenza del suo legale in quanto quest'ultimo ha intentato nei suoi confronti ben 35 procedimenti finalizzati a recuperare le proprie parcelle, relative a cause personali e della sua società, ma soprattutto a diffondere notizie denigratorie e intimidatorie nei suoi confronti. Il COA, innanzi al quale l'avvocato incolpato non si è presentato, avvia nei suoi confronti un procedimento disciplinare, formulando un ampio capo d'imputazione in cui evidenziava anche la violazione del segreto professionale per avere l'avvocato iscritto "divulgato notizie su cui vigeva il segreto professionale, di cui era venuto a conoscenza in virtù dei mandati ricevuti precedentemente" dal cliente e dai suoi familiari "ed assolutamente ultronee ed avulse rispetto all'oggetto delle cause radicate." L'avvocato si difende eccependo la nullità del capo d'imputazione perché generico e la violazione del ne bis in idem. Il COA respinge le difese dell'avvocato ritenendolo responsabile della violazione dell'obbligo di segretezza e dell'utilizzo di frasi offensive, sanzionandolo con la sospensione dall'attività professionale per la durata di due mesi. L'avvocato impugna quindi la decisione innanzi al CNF, chiedendo l'annullamento della sanzione e ribadendo la genericità del capo d'imputazione, la violazione del ne bis in idem e l'assenza di rilievo disciplinare delle sue condotte. Il CNF rigetta il ricorso condividendo pienamente le conclusioni del COA per quanto riguarda la violazione dell'obbligo di segretezza e l'offensività delle espressioni utilizzate dall'avvocato. Il segreto professionale vale solo nell'ambito del mandato[Torna su]
A questo punto il legale ricorre in Cassazione, innanzi alla quale solleva sei motivi di doglianza. Con il primo adduce la prescrizione delle condotte contestate, con il secondo ribadisce la violazione del ne bis in idem, con il terzo la nullità del capo d'imputazione, con il quarto contesta l'incolpazione relativa all'utilizzo negli atti di causa di espressioni offensive, con il quinto la violazione del segreto professionale, che per l'avvocato riguarda le notizie ricevute dal cliente nell'ambito del mandato, con il sesto infine censura non la decisione del CNF ma il passo della decisione del COA in cui si evidenzia che la sanzione della sospensione viene irrogata all'avvocato perché "già in precedenza ha avuto sanzioni disciplinari definitive." La sospensione dell'avvocato non è sindacabile in sede di legittimità[Torna su]
La Cassazione però respinge le difese del legale e rigetta il ricorso per le seguenti ragioni. Per gli Ermellini il primo motivo sulla prescrizione è manifestamente infondato, chiarendo che, mentre nel procedimento innanzi al COA la prescrizione è soggetta a interruzione con effetti istantanei, innanzi al CNF vale il principio dell'effetto interruttivo permanente. Il secondo motivo sul ne bis in idem è inammissibile e qualora lo fosse sarebbe comunque infondato in quanto la norma che disciplina il ne bis in idem ha natura pubblica processuale e non è esportabile anche nei procedimenti amministrativi che per natura sono diversi. Inammissibile anche il terzo motivo con cui l'avvocato chiede la nullità del capo d'incolpazione perché generica e assertiva. Il quarto motivo, contenente la contestazione dell'utilizzo di espressioni offensive è in parte inammissibile in parte infondato. Il CNF ha fatto corretta applicazione dell'art. 20 del Codice deontologico perché l'avvocato è tenuto a rispettare sempre questo obbligo, senza che rilevi il contesto. Del resto, la SU n. 11370/2016 ha chiarito che "Ai fini della responsabilità disciplinare dell'avvocato, le espressioni sconvenienti od offensive vietate dall'art. 20 del codice deontologico forense (nel testo applicato ratione temporis) rilevano di per sé, a prescindere dal contesto in cui sono usate e dalla veridicità dei fatti che ne sono oggetto." Per quanto riguarda il motivo con cui il legale contesta l'incolpazione per violazione del segreto professionale esso risulta privo di ogni consistenza in quanto "il divieto sancito dall'articolo 28 non è circoscritto a informazioni che l'avvocato conosce direttamente dal cliente, bensì investe, aggiungendole proprio a "tutte le informazioni … fornite dal cliente e dalla parte assistita, anche quelle delle quali sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato. E non può certo negarsi che sia per conseguenza del mandato che un avvocato apprende il contenuto degli atti di difesa di controparte." Inapplicabile nel caso di specie l'esimente all'obbligo del segreto professionale contemplata dal comma 4 dell'art. 28 del Codice deontologico, prevista nei casi in cui tra cliente e avvocato insorga una controversia, perché l'avvocato non ha spiegato per quali ragioni lo stesso ha avuto la necessità di divulgare certe informazioni. Sulla determinazione della pena la Cassazione infine ricorda che, come chiarito dalla stessa in diverse sentenze delle sezioni unite, "il potere di comminare la sanzione, in misura rispondente alla gravità e alla natura dell'offesa recata al prestigio dell'ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari, per cui non è sindacabile nel giudizio di legittimità." Leggi anche: - Il segreto professionale dell'avvocato - Avvocati: i confini del segreto professionale secondo la Cassazione - Il dovere di segretezza e riservatezza dell'avvocato |
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