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Data: 27/03/2007 - Autore: Francesca Romanelli E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata dal Giudice di pace di Genova (Ord. 8 giugno 2005), in riferimento agli artt. 2, 30 e 32 della Costituzione, "nella parte in cui prevede che il decreto di espulsione debba essere eseguito anche nei confronti dello straniero extracomunitario legato da una relazione affettiva con una cittadina italiana, in stato di gravidanza, impedendo così a costui di assicurare alla donna stessa e al nascituro assistenza materiale e morale". E' quanto ha di recente dichiarato la Corte Costituzionale (Ord. 192/2006), considerando tra le altre cose che "premesso che l'art. 19, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede non già un divieto assoluto, ma una temporanea sospensione del potere di espulsione (o di respingimento) "delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono”, l'estensione di tale disciplina (operata dalla sentenza n. 376 del 2000) al rispettivo marito convivente presuppone una certezza dei rapporti familiari che non è dato riscontrare - e tanto meno è dato verificare nel giudizio a quo - nel caso di una relazione di fatto che, come tale, non può che essere affermata dagli interessati" e "che, conseguentemente, la questione di legittimità costituzionale, sebbene prospettata in termini di tutela della famiglia di fatto e dei conseguenti diritti-doveri, pone in realtà in comparazione trattamenti riservati a situazioni profondamente diverse – e cioè quella del marito di cittadina extracomunitaria incinta e quella dell'extracomunitario che afferma di essere padre naturale di un nascituro – e, quindi, non irragionevolmente disciplinate in modo diverso dal legislatore". |
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