Data: 14/06/2021 15:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Maltrattamenti in famiglia

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Il farmacista che vessa, offende, punisce e umilia le dipendenti si macchia del reato di maltrattamenti in famiglia se per le ore trascorse e lo stretto contatto anche fisico, dovuto anche alle dimensioni dell'ambiente, rende i rapporti simili a quelli riscontrabili in una famiglia. Queste le conclusioni a cui � giunta la Cassazione nella sentenza n. 23104/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

All'imputato, oltre al reato di violenza sessuale, viene contestato anche quello di maltrattamenti in famiglia di cui all'art. 572 c.cp per aver commesso con abitualit� e nell'ambito dell'esercizio dell'attivit� lavorativa presso una farmacia, atti di maltrattamento nei confronti di due dipendenti. L'uomo giornalmente vessava e offendeva, con appellativi degradanti, una magazziniera e una farmacista e le sottoponeva a punizioni umilianti in caso di errori commessi sul lavoro. L'imputato faceva poi pagare una quota alle due donne per l'utilizzo del bagno e in diverse occasioni, minacciando il licenziamento, costringeva una delle due dipendenti a svolgere faccende domestiche nella sua abitazione, a lavare la propria auto e a compiere mansioni non contemplate nel contratto di lavoro. Il tutto per diversi anni.

Reato per il quale la Corte d'Appello, modificando la sentenza di primo grado, ritiene di non doversi procedere perch� nei confronti di una delle persone offese il reato deve considerarsi estinto. Confermata nella parte restante la sentenza di primo grado, anche se la pena viene ridotta a sei anni e sei mesi di reclusione.

L'ambiente di lavoro � assimilabile a quello familiare?

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L'imputato ricorre in Cassazione per far valere le sue ragioni. Per quanto riguarda in particolare il reato di maltrattamenti, con il primo motivo contesta vizio di motivazione della sentenza perch� a suo dire non sussiste il vincolo della para familiarit� necessario per integrare il reato per il quale � stato condannato e perch�, nei confronti di una delle dipendenti, l'illecito penale non � stato integrato.

Per il ricorrente i giudici di merito errano nel ritenere che la farmacia in cui si sarebbero svolti i fatti, sia assimilabile a quello familiare solo per le dimensioni dell'ambiente, le tante ore trascorse a stretto contatto e la vigilanza continua e diretta esercitata sui dipendenti, paragonabile a quella che eserciterebbe un padre.

Entrambi i giudici di merito trascurano inoltre di considerare che il reato di maltrattamenti � inserito nel titolo del codice penale dedicato nello specifico ai delitti contro la famiglia. Il reato di maltrattamenti quindi � punibile solo quando nell'ambiente di lavoro il rapporto tra soggetto agente e persona offesa assumono natura para familiare a causa di un rapporto caratterizzato da relazioni abituali caratterizzate da una comunanza di vita. Rapporti che non si configurano in un ambiente di lavoro caratterizzato solo da un vincolo di subordinazione, seppure in un ambiente ristretto. Il ricorrente rileva poi che, il diritto penale vieta l'analogia in virt� del principio di tipicit� dell'illecito penale.

Lo stretto contatto in un ambiente ristretto crea legami parafamiliari

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La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi su 9 motivi di ricorso, sul primo sopra evidenziato, con cui l'imputato contesta la condanna per il reato di maltrattamenti la Cassazione lo rigetta perch� infondato.

Gli Ermellini precisano che "La giurisprudenza di legittimit� ha affrontato, in molteplici occasioni, la questione della configurabilit� del delitto di maltrattamenti di cui all'art. 572 del codice penale, allorquando le condotte, costitutive del fatto di reato, fossero commesse in ambito diverso da quello strettamente familiare."

Fatta questa premessa ricorda poi, come in diverse occasioni e senza contrasto, si � affermato che il mobbing commesso ai danni di un dipendente, finalizzato ad emarginarlo, pu� integrare il reato di maltrattamenti in famiglia se il rapporto che lega dipendente e datore assume natura para familiare. Deve cio� trattarsi di un rapporto caratterizzato da relazioni intense e abituali, consuetudini di vita tra soggetti, soggezione del dipendente al datore, fiducia riposta nella figura che riveste una posizione di supremazia da parte del soggetto subordinato.

Ricorda la Corte del resto, che nei delitti contro la famiglia � ricompresa anche la fattispecie di cui all'art. 571 c.p, dedicata all'abuso dei mezzi di correzione che punisce "Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorit�, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte." La formulazione fa un espresso riferimento a tutti quei rapporti che si caratterizzano per la presenza di un vincolo di subordinazione che pu� anche condurre il soggetto sovraordinato a tenere una condotta "abitualmente prevaricatrice verso il soggetto passivo" che ha difficolt� "a sottrarvisi, con conseguente avvilimento ed umiliazione della sua personalit�."

Del resto "il bene giuridico protetto dall'incriminazione non si identifica nella sola protezione della famiglia in quanto tale, ma nella tutela della personalit� e dunque nella dignit� tanto delle persone inserite in un contesto familiare di convivenza quanto di quelle sottoposte ad altrui autorit� o ad altri affidate" per ragion di cura, educazione, vigilanza, custodia, istruzione o per l'esercizio di un'arte o di una professione.

Passando poi all'analisi delle norme della Costituzione sulla famiglia, da intendersi come formazione sociale in cui si esplica la personalit� dell'individuo, la Cassazione chiarisce che le formazioni sociali, come la famiglia appunto, non si prestano a essere "ingessate", perch� � necessario, come dimostra la giurisprudenza costituzionale, essere aperti alle nuove trasformazioni culturali e di valori della societ�.

Ricorda per questo l'ultima modifica apportata all'art. 572 c.p e risalente al 2012, che proprio in virt� di un'interpretazione estensiva del concetto di famiglia, ha esteso la tutela anche ai soggetti, comunque conviventi con la famiglia, compresi i domestici.

Da questa analisi emerge che il bene tutelato dalla norma non � la famiglia, ma la personalit� del singolo individuo, in quanto le condotte reiterare attentano alla dignit� della persona. Per integrare infatti il reato di maltrattamenti � necessario che i singoli atti offensivi e violenti risultino congiunti e legati tra loro da un nesso di abitualit�, collegati da un'unica intenzione criminosa, che insieme risultino lesivi della personalit� del soggetto passivo.

Atti che, singolarmente, potrebbero anche non costituire reato, ma che, uniti e protratte nel tempo integrano la fattispecie per la persistenza della volont� di maltrattare.

Il reato di maltrattamenti in famiglia si realizza quindi tra soggetti legati da rapporti permanenti stretti di tipo familiare o para familiare perch� il rapporto implica comunanza di vita o un rapporto intenso di lavoro o di affidamento, ossia un legame che comunque � destinato a durare nel tempo, che rende per questo la vittima particolarmente vulnerabile nei confronti di chi, per la propria posizione, dovrebbe mostrare rispetto e solidariet�.

Passando quindi al caso di specie la Cassazione rileva che la Corte di Appello ha assimilato l'ambiente lavorativo della farmacia a un consorzio familiare stante lo stretto contatto della farmacista e della magazziniera con il personale e il datore di lavoro, il potere direttivo esercitato dall'imputato, l'ambiente fisico ristretto e la durata del contatto giornaliera protrattasi per diversi anni.

Ambiente in cui l'imputato con abitualit� ha minacciato, vessato, umiliato, offeso tanto che alla lunga una delle due dipendenti � crollata. Questa infatti, dopo un periodo di malattia, ha rassegnato le dimissioni volontarie, abbandonando cos� un ambiente rivelatosi per lei dannoso.

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