Data: 04/07/2021 11:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Reato di diffamazione

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Integra reato di diffamazione e non libero esercizio del diritto di critica appellare l'avvocato della sorella con il termine "stupido", manifestando con un certo impeto e frasi colorite il proprio disappunto per l'operato del legale in presenza di altri due soggetti rispetto all'interlocutrice. Queste le repliche della Cassazione ai motivi inammissibili e infondati del ricorso dell'imputato contenute nella sentenza n. 24218/2021 (sotto allegata).
Nella vicenda, il Tribunale di Napoli, in veste di giudice d'appello, conferma la decisione del Giudice di Pace che ha affermato la responsabilità penale dell'imputato per il delitto di diffamazione di cui all'art. 595 c.p.c ai danni del legale della sorella, condannandolo alla pena della multa di 400 euro, al pagamento delle spese processuali, al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese di costituzione di primo e secondo grado.

Niente dolo e niente prove sulla comunicazione con più persone

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L'imputato a mezzo difensore ricorre in Cassazione sollevando quattro motivi.
  • Con il primo contesta la condanna per diffamazione in quanto dal giudizio non sono emersi elementi in grado di dimostrare che le espressioni rivolte all'avvocato sono state proferite comunicando con più persone, condizione necessaria per ritenere integrato il reato contestato.
  • Con il secondo contesta la sussistenza del dolo, in quanto l'imputato ha solo reagito in uno stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui e comunque nell'ambito del legittimo diritto di critica.
  • Con il terzo sostiene la nullità della sentenza per violazione dell'art. 522 c.p.p in quanto la condanna è stata pronunciata non solo per la condotta di cui all'imputazione ma anche per altri episodi.
  • Con il quarto infine si ritiene che siano state violate norme processuali a pena di nullità perché il giudizio di primo grado è proseguito nonostante la richiesta di differimento d'udienza presentata dall'imputato per motivi di salute.

Non è diritto di critica dare dello "stupido" all'avvocato della sorella

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La Corte di Cassazione, analizzati tutti i motivi del ricorso, lo dichiara inammissibile per le seguenti ragioni.
Per gli Ermellini, il quarto motivo del ricorso, che analizzano prima degli altri, è manifestamente infondato in quanto:
  • l'istanza di rinvio per motivi di salute che l'imputato ha fatto pervenire a mezzo fax all'udienza tenutasi in data 08.03.2018 conteneva un certificato medico in lingua tedesca;
  • in quella sede l'avvocato avrebbe dovuto richiedere la traduzione del certificato, ma tale istanza che non è stata avanzata;
  • sempre in quella sede l'avvocato avrebbe dovuto eccepire la nullità del rigetto dell'istanza di differimento dell'udienza per motivi di salute, ma nulla è stato fatto al riguardo.
In relazione al terzo motivo del ricorso la Cassazione precisa che "La sentenza impugnata, tuttavia, ha condannato l'imputato proprio per il fatto verificatosi nello studio dell'avvocato (omissis), riferito dallo stesso querelante e confermato dalla teste (omissis). Quindi, non solo non può ravvisarsi il vizio dedotto, ma il ricorrente si è limitato a reiterare censura in discorso senza confrontarsi effettivamente con la decisione impugnata, ragion per cui il motivo in discorso è manifestamente infondato e generico."
Il primo motivo del ricorso invece é inammissibile perché la "Corte ha già chiarito che, perché ricorra il delitto di diffamazione, è sufficiente che l'agente - comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza
di altri -." Ipotesi che trova rispondenza con quanto verificatosi nel caso di specie.
Per quanto riguarda infine il secondo motivo del ricorso, che la Cassazione ritiene inammissibile, la stessa a proposito del dolo del reato di diffamazione ricorda che "non è richiesta la presenza di un animus [...] diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l'agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, cioè adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere, senza un diretto riferimento alle intenzioni dell'agente."
Inapplicabile inoltre al caso di specie l'esimente del diritto di critica perché la stessa deve essere esercitata in modo corretto. Scopo del diritto di critica infatti è solo quello di manifestare la propria disapprovazione, senza trascendere in aggressioni gratuite e immotivate dell'altrui reputazione.
Nel caso di specie l'imputato ha definito l'Avvocato della sorella "stupido", ne ha messo in dubbio la capacità professionale e si è espresso in modo volgare. Non ricorrono pertanto i presupposti necessari alla configurazione del diritto di critica. Sullo stato d'ira invocato dall'imputato la Corte rileva infine che entrambe le sentenze di merito non forniscono alcun elemento sul punto.

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