Data: 04/07/2021 22:00:00 - Autore: Marino Maglietta

Coincidenze casuali o una precisa intenzione?

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Addì 13 aprile 2021 si riunisce la prima sezione civile della Suprema Corte, quel giorno composta da Genovese (pres.), Tricomi, Lamorgese, Pazzi e Falabella. Vengono esaminati due ricorsi, le cui valutazioni poi assumeranno i numeri 17221 e 17222, per entrambi relatrice Laura Tricomi. I reclami divergono, ovviamente, per le specificità delle situazioni, ma hanno in comune l'aspetto centrale: in entrambi i casi si rivendica la sostanza dell'affidamento condiviso. E per entrambi i casi arriva la medesima risposta – negativa - articolata con le medesime parole, affidata alla medesima relatrice. Anzi, non è difficile individuare un filo rosso che collega tutta una serie di pronunce, fedeli al vecchio schema e incompatibili con lo spirito e la lettera della legge 54/2006, che partono dal primo anno stesso di introduzione della riforma e che nei tempi più recenti si sono andate infittendo, toccando via via tutti gli aspetti qualificanti dell'affidamento a entrambi i genitori. In altre parole, il modello bigenitoriale vince sul campo del voto parlamentare, vince sul campo del diritto scritto, ma perde a tavolino, sulla cattedra del giudice. Difficile non pensare ad una sistematicità degli interventi; difficile non pensare ad una ostilità preconcetta nei confronti di quell'assetto. Tanto più osservando il recente moltiplicarsi di iniziative che chiedono l'abrogazione della legge sull'affidamento condiviso.

La frequentazione paritaria

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Entrando nel merito dei due recenti provvedimenti, si rileva che questi affrontano un argomento comune, ovvero la domanda di un'applicazione paritetica dell'affidamento condiviso, in particolare rispetto ai tempi. Il secondo reclamo aggiunge, per la parte che qui interessa, la richiesta di poter provvedere in forma diretta al mantenimento dei figli.

Essendo la trattazione identica sarà sufficiente discutere la seconda ordinanza (17222/2021), che assorbe anche la prima.

L'inizio appare confortante: "Secondo il consolidato orientamento di questa Corte il regime legale dell'affidamento condiviso, tutto orientato alla tutela dell'interesse morale e materiale della prole, deve tendenzialmente comportare, in mancanza di gravi ragioni ostative, una frequentazione dei genitori paritaria con il figlio". Fin qui il lettore avrebbe capito che il giudice disporrà una frequentazione paritaria tutte le volte che non esistono ragioni ostative insormontabili; ovvero che anche in presenza di queste, comunque tenderà a realizzare una presenza dei genitori paritetica per quanto possibile, tenuto conto di eventuali impedimenti, che però devono essere seri e tangibili.

Purtroppo il dispositivo così prosegue: "… tuttavia nell'interesse di quest'ultimo il giudice può individuare un assetto che si discosti da questo principio tendenziale al fine di assicurare al minore la situazione più confacente al suo benessere (Cass. 19323/2020, Cass. 9764/2019). Per tale ragione, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito che, partendo dall'esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e alla esplicazione del loro ruolo educativo (Cass. 3652/2020)."

Una serie di affermazioni che lascia fortemente perplessi. Anzitutto il passaggio da "può" a "non può". Nello spirito della prima parte, si dovrebbe intendere semplicemente che può avvenire che le circostanze, a titolo di eccezione, consiglino di discostarsi dalla parità e che il giudice (giustamente) ne abbia facoltà. Ineccepibile. La frase successiva, viceversa, è sconcertante nei suoi evidenti salti logici. Anzitutto, esiste un genitore "non convivente" solo "dopo" che si è deciso che i tempi non siano uguali, per cui la frase in realtà non introduce alcun elemento conoscitivo. Un po' come sostenere che una persona bionda non può avere i capelli neri. Tuttavia un senso si intravede: dimostra che si è già deciso che ci deve essere un genitore convivente e uno non convivente. Ovvero questa è la pistola fumante in mano all'assassino. E pretendere che una decisione discriminatoria, con genitore prevalente, tuttavia verrà adottata nel pieno rispetto della bigenitorialità è davvero voler aggiungere la beffa al danno.

Il mantenimento diretto

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Peggio ancora, se possibile, vanno le cose in merito alla richiesta di mantenimento diretto. Si legge infatti:

"Come già affermato da questa Corte, il coniuge – divorziato o separato – ha diritto ad ottenere, iure proprio, dall'altro coniuge, il contributo per mantenere il figlio minorenne o maggiorenne convivente, non in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento (Cass. 11863 del 25 giugno 2004), e l'affidamento congiunto del figlio ad entrambi i genitori - previsto dall'articolo sei della legge sul divorzio (1 dicembre 1970, numero 898, come sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, numero 74), analogicamente applicabili anche alla separazione personale dei coniugi - è istituto che, in quanto fondato sull'esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l'istituto stesso implichi, come conseguenza "automatica", che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze, principio confermato nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006, numero 54, in tema di affidamento condiviso (Cass. n. 26060 del 10/12/2014; Cass. n. 16376 del 29/07/2011; Cass. n. 18187 del 18//8/2006),…".

Difficile, davvero difficile, capire perché per negare la forma diretta del mantenimento in regime di affidamento condiviso non si debba riportare e discutere semplicemente le attuali norme di legge che lo trattano. Stupisce che si voglia partire dall'affidamento congiunto, oltre tutto attribuendo ad esso contenuti che non risultano da alcun articolato, visto che la sua possibilità nacque da un subemendamento di due righe circa alle quali nulla si aggiunse sul piano normativo. Faticosissimo ricostruire e comprendere il perché di un percorso così tortuoso: come indirizzare a una ragazza italiana una lettera d'amore copiata e tradotta da Joyce: la poverina non capirà mai tutti quei riferimenti a Dublino. Salvo poi compiere un salto di parecchi anni e appiccicare a quelle considerazioni altri copia e incolla prelevati da successive pronunce, ma essenzialmente da Cass. 16739 del 2020: " … posto che, in concreto, è il genitore convivente ad anticipare le spese ordinarie per il mantenimento del figlio ed a provvedervi nella quotidianità attraverso la necessaria programmazione che connota la vita familiare (Cass. n. 24316 del 28/10/2013; Cass. n. 25300 del 11/11/2013), … . Invero, "l'obbligo di mantenimento del minore da parte del genitore non collocatario deve far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione, secondo uno standard di soddisfacimento correlato a quello economico e sociale della famiglia, di modo che si possa valutare il tenore di vita corrispondente a quello goduto in precedenza." (Cass. n. 16739 del 6 agosto 2020)".

Un errore antico e la sua incredibile propagazione

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Naturalmente, essersi rifatti ai precedenti, per quanto remoti, nulla contiene in sé di disdicevole, potendosi anzi apprezzare la volontà di ispirarsi a "consolidata giurisprudenza": Malauguratamente, tuttavia, la trasposizione è inappropriata per una quantità di motivi. Iniziando dalla decisione del merito, a favore di un popolare cantante pugliese, di considerare che l'affidamento congiunto automaticamente comportasse la cancellazione di ogni contributo integrativo di un genitore all'altro, correttamente la Suprema Corte accolse il reclamo dell'altrettanto nota consorte che lo negava, aggiungendo – visto che era appena entrata in vigore la le legge 54/2006 – che neppure l'affidamento condiviso conteneva previsioni del genere, per cui sarebbe stato inutile tornare dal giudice in nome della nuova normativa. Purtroppo la locuzione usata ("in modo diretto e autonomo") ha indotto molti lettori distratti, militanti tra l'avvocatura come tra la stessa magistratura, ad invocare Cass. 18187/2006 come la "provata" bocciatura del mantenimento diretto di cui all'affidamento condiviso; che tuttavia ha tutt'altra connotazione, mirando a ribadire che entrambi i genitori sono tenuti a rimboccarsi concretamente le maniche per contribuire ai bisogni dei figli, soddisfacendo il loro diritto a ricevere le cure di entrambi. Magari anche con integrazioni economiche (esplicitamente previste) di un genitore a favore dell'altro. E tuttavia, anche no. Ovvero ci saranno solo "ove necessario per rispettare la proporzione" tra le risorse gli obblighi individuali. Mentre Cass. 17222/2021 considera, a torto, l'assegno come insopprimibile. Così come è banale escludere che in caso di affidamento condiviso "paritariamente" voglia dire spendendo la stessa cifra: visto che il comma IV dell'art. 337 ter c.c. prevede un contributo proporzionale alle rispettive risorse economiche. Così come a torto, proseguendo, elenca una serie infinita di incombenze che considera gestite dal solo genitore collocatario, ma alla quale il non collocatario deve dare contributo in denaro, alzandone implicitamente la consistenza quantitativa. Anche perché la stessa ordinanza citata si esprime in modo apprezzabilmente diverso: "Trova applicazione, infatti, l'art. 147 c.c., che, imponendo ai genitori il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale ed all'opportuna predisposizione di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione". Ovvero correttamente attribuisce i doveri di intervento a entrambi i genitori, non a uno solo, e ai sensi dell'art. 147 c.c., a sua volta connesso all'art. 30 Cost., la stessa fonte della riforma del 2006.

Verso un intervento istituzionale?

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Una ulteriore riflessione non può non accompagnare questa breve sintesi della risalente e continuativa erosione dell'affidamento condiviso. Il modello monogenitoriale, competitivo e conflittuale per la sua stessa definizione, non può che incrementare il contenzioso e disincentivare la propensione ad utilizzare i mezzi di soluzione extragiudiziale delle controversie, a loro volta privilegiati ed esaltati nelle dichiarazioni di intenti dell'attuale ministro della Giustizia; nonché dello stesso Capo dello Stato. L'abbattimento, o almeno il contenimento del conflitto tra i genitori costituisce il principale desiderio dei figli di coppie separate - in quanto la loro principale causa di sofferenza - e realizza al meglio il loro interesse.

Dunque, l'aspetto che soprattutto fa assumere agli orientamenti sopra descritti il sapore della beffa è che non esiste sentenza, ordinanza o decreto in cui non si ripeta e non si sottolinei che ogni decisione viene presa nell'interesse supremo del minore. Ovvero, il minore viene spogliato di suoi indisponibili diritti in nome del suo interesse, del quale tuttavia viene data una lettura capovolta, sicuramente adultocentrica. Le istituzioni vorranno continuare a tacere?


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