Data: 12/07/2021 17:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Carcere obbligatorio per i giornalisti in caso di diffamazione

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Incostituzionale solo la norma che contempla il carcere obbligatorio per il giornalista che commetta reato di diffamazione a mezzo stampa, non la disposizione del codice penale che lo prevede come pena alternativa quando il reato risulta assai lesivo della dignit� della persona. Queste in estrema sintesi le conclusioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale n. 150/2021 (sotto allegata) sulla questione del carcere per il giornalisti e gi� annunciato con un comunicato di fine giugno.

Legittimit� della pena detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa

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Il Tribunale di Salerno solleva questione di legittimit� costituzionale dell'art. 595, terzo comma c.p e dell'art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) per violazione degli articoli 3, 21, 25, 27 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

Il Tribunale ordinario di Bari, sezione prima penale invece solleva questione di legittimit� costituzionale dell'art. 13 della legge n. 47 del 1948 "in combinato disposto con l'art. 595 cod. pen., nella parte in cui sanziona il delitto di diffamazione aggravata, commessa a mezzo stampa e consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, con la pena cumulativa della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a 256 [recte: 258] euro, invece che in via alternativa" per contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU.

Come sintetizza abilmente la Consulta i due Tribunali sollevano questioni similari, ossia la compatibilit� con la Costituzione, alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, della previsione di pene detentive per il "delitto di diffamazione commesso a mezzo della stampa. E ci� con riguardo all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, che commina la reclusione in via cumulativa rispetto alla pena pecuniaria, allorch� la diffamazione a mezzo stampa consista nell'attribuzione di un fatto determinato; nonch� (...) con riguardo anche all'art. 595, terzo comma, cod. pen., che prevede la reclusione in via meramente alternativa rispetto alla pena pecuniaria per il caso di diffamazione col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicit�, ovvero in atto pubblico."

Corretto ritenere incostituzionale la pena detentiva obbligatoria

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Per la Consulta � fondata la questione di costituzionalit� sollevata in ordine all'art. 13 della legge n. 47 del 1948, per violazione degli artt. 21 e 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 10 CEDU.

Spiega la Corte che: "la disposizione censurata prevede una circostanza aggravante per il delitto di diffamazione, integrata nel caso in cui la condotta sia commessa col mezzo della stampa e consista nell'attribuzione di un fatto determinato. Essa costituisce lex specialis rispetto alle due aggravanti previste dall'art. 595 cod. pen., secondo e terzo comma, che prevedono cornici sanzionatorie autonome e pi� gravi rispetto a quelle stabilite dal primo comma, rispettivamente nel caso in cui l'offesa all'altrui reputazione consista nell'attribuzione di un fatto determinato e in quello in cui l'offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicit�, ovvero in atto pubblico. La pena prevista dall'art. 13 della legge n. 47 del 1948 � quella della reclusione da uno a sei anni e della multa non inferiore a euro 258. Le due pene � detentiva e pecuniaria � sono dunque previste in via cumulativa, il giudice essendo tenuto ad applicarle indefettibilmente entrambe; e ci� a meno che non sussistano, nel caso concreto, circostanze attenuanti giudicate prevalenti o, almeno, equivalenti all'aggravante in esame."

Ed � proprio la previsione della pena detentiva a ogni costo che rende la norma incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto dall'art. 21 Cost. E dall'art. 10 CEDU. Detta sanzione risulta infatti ormai incompatibile con la necessit� di "non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libert� personale, la generalit� dei giornalisti dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull'operato dei pubblici poteri."

Non � incostituzionale il carcere come sanzione alternativa

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Non fondate invece per la Corte le questioni d'incostituzionalit� che investono l'art. 595, comma 3 c.p, che prevede l'aggravante del reato di diffamazione quando commesso a mezzo stampa, con altro mezzo di pubblicit� o con atto pubblico. In questo caso, osserva la Consulta, la pena solo alternativa della detenzione, non pu� ritenersi in contrasto con l'art. 21 della Costituzione e con l'art. 10 della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo in quanto, se � vero che la libert� di manifestazione del pensiero esercitata a mezzo stampa � una pietra angolare di ogni ordinamento democratico, non meno importante � la reputazione individuale legata alla dignit� della persona.

Attacchi del tutto illegittimi a tale diritto e realizzati con il mezzo della stampa o con alti mezzi di comunicazione ad alta diffusivit� possono incidere fortemente su ogni aspetto della vita della vittima del reato. Da qui la necessit� di scongiurare la realizzazione di simili pregiudizi attraverso il corretto bilanciamento con la libert� di manifestazione del pensiero, che si esprime nelle forme tipiche del diritto di cronaca e di critica.

Nei casi in cui la diffamazione a mezzo stampa si realizza con eccessiva gravit� la pena detentiva non � infatti incompatibile con l'esigenza di tutelare la dignit� della persona. Pensiamo ai casi identificati dalla Corte di Strasburgo d'istigazione all'odio, alla violenza o alla realizzazione di campagne di disinformazione messe in atto attraverso la diffusione a mezzo stampa di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima o compiute pur sapendo della oggettiva e dimostrabile falsit� di detti addebiti.

"Chi ponga in essere simili condotte � eserciti o meno la professione giornalistica � certo non svolge la funzione di "cane da guardia" della democrazia, che si attua paradigmaticamente tramite la ricerca e la pubblicazione di verit� "scomode"; ma, all'opposto, crea un pericolo per la democrazia, combattendo l'avversario mediante la menzogna, utilizzata come strumento per screditare la sua persona agli occhi della pubblica opinione. Con prevedibili conseguenze distorsive anche rispetto agli esiti delle stesse libere competizioni elettorali."

Ne consegue che l'applicazione circoscritta della detenzione non � in grado d'intimidire i giornalisti tanto da scoraggiarli a svolgere, attraverso l'esercizio della loro professione, una funzione sociale cos� importante per una societ� democratica. Al di fuori di questi casi eccezionali per� il carcere deve restare escluso per il giornalista, cos� come per chiunque manifesti il suo pensiero attraverso il mezzo della stampa "restando aperta soltanto la possibilit� che siano applicate pene diverse dalla reclusione, nonch� rimedi e sanzioni civili o disciplinari, in tutte le ordinarie ipotesi in cui la condotta lesiva della reputazione altrui abbia ecceduto dai limiti del legittimo esercizio del diritto di cronaca o di critica."

Questa pertanto la lettura corretta dell'art. 595 comma 3 c.p: "il giudice penale dovr� optare per l'ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravit� del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc'anzi declinati; mentre dovr� limitarsi all'applicazione della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravit� del fatto, in tutte le altre ipotesi."

La Corte ribadisce infine la necessit� di riformare l'intero sistema per individuare un complesso sanzionatorio che non produca un effetto intimidatorio sui giornalisti e che garantisca nel contempo una tutela adeguata della reputazione individuale.

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