Data: 16/07/2021 17:00:00 - Autore: Redazione

La legge n. 512/99

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Inesistenza del potere discrezionale del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti nonché agli orfani per crimini domestici, in ordine al quantum del risarcimento dei danni in favore delle vittime. Ne abbiamo già parlato in questo quotidiano giuridico (v. la guida Fondo di rotazione per le vittime dei reati di tipo mafioso).

La 512/99 è stata una vera e propria svolta nel panorama giuridico italiano per dare un sostegno concreto alle vittime della criminalità organizzata, anche dietro l'impulso dell'Europa. Negli ultimi decenni infatti si è registrata una impennata dei reati mafiosi tanto da proiettare nello sconforto l'intero Paese.

Sul piano risarcitorio, grazie a tale legge, è stato impossibile per i parenti/eredi delle vittime della criminalità organizzata, prima della entrata in vigore della Legge 512/99, ottenere le somme decise dai giudici atteso che gli autori di determinati crimini di matrice mafiosa, spesso sfociati in plateali omicidi, sono risultati essere nullatenenti (anche per la confisca dei loro beni).

Occorreva garantire una concreta risposta solidaristica alle vittime delle mafie e della criminalità in generale che andasse al di là di mere commemorazioni o medaglie d'oro alla memoria.

Lo Stato, pertanto, si è finalmente fatto carico di provvedere al risarcimento (non indennizzo) sulla scorta dell'esatto quantum dei danni decisi, caso per caso, in sede giurisdizionale a seconda dei parametri che facevano riferimento ai criteri di calcolo dei danni patrimoniali (danno emergente e lucro cessante) e non patrimoniali (cd. "pretium doloris"), in uno ai criteri di computo degli interessi legali maturati e delle spese legali.

Si può affermare che tale legge abbia elevato l'asticella culturale del nostro Paese perché mirante a non abbandonare al loro destino le famiglie vittime delle mafie, nel sacro rispetto dei provvedimenti giurisdizionali.

Secondo le relazioni annuali del Fondo sarebbero stati elargiti agli eredi delle vittime quasi 700 milioni di euro dal varo della suddetta legge.

La legge 122 art. 14 del 7 luglio 2016 ha previsto che il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura sia destinato anche all'indennizzo delle vittime dei reati intenzionali violenti, come indicati all'art. 11 della stessa norma.

Il fondo per le vittime dei reati di tipo mafioso

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Pertanto a seguito della suddetta legge è stato varato il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti nonchè agli orfani per crimini domestici.

Dunque il raggio di azione del suddetto Fondo è stato notevolmente ampliato con la previsione di indennizzi e benefici in favore delle vittime di estorsione, usura, reati violenti dolosi e crimini domestici.

L'Ufficio del Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso è stato istituito con decreto del Ministro dell'Interno, in data 27 novembre 2001.

Con il decreto ministeriale del 26 settembre 2014 si è provveduto alla riorganizzazione dell'Ufficio, contestualmente istituendo un Ufficio di Supporto al Comitato, con proprio organico.

Il personale previsto per le due articolazioni consiste, in totale, nelle seguenti unità: 2 Viceprefetti, 2 Viceprefetti Aggiunti, 24 funzionari ed impiegati per le mansioni amministrative, amministrativo-contabili, tecnico-informatiche, di archivio e di anticamera; 5 unità di personale appartenente ad altra Amministrazione.

Tuttavia la legge 512/99 ha attribuito alle Prefetture e al Fondo il potere/dovere di verificare, caso per caso, i criteri di accesso al risarcimento. Tale incombente è stato rafforzato con la modifica della Legge suddetta nella parte in cui prevede che non hanno diritto di accesso al Fondo gli eredi delle vittime nel caso in cui:

1. alla data di presentazione della domanda non sia stata pronunciata, sia nei confronti della vittima che degli istanti, sentenza definitiva di condanna per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a) del c.p.p. e per gli stessi reati non vi siano a carico procedimenti penali in corso;

2. alla data di presentazione della domanda non sia stata applicata, né vi siano procedimenti in corso, per l'applicazione di una misura di prevenzione, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni;

3. alla data di presentazione della domanda, non abbiano già ricevuto somme a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e/o non patrimoniali, di rifusione delle spese e degli onorari di costituzione e difesa in giudizio, da parte del condannato al risarcimento del danno;

E' evidente che la legge giustamente non abbia inteso soccorrere al livello economico quanti, in forma diretta o indiretta (vittime o parenti), abbiamo fatto parte di organizzazioni criminali a qualsiasi titolo.

Il potere discrezionale e di controllo del Fondo è stato determinante per evitare esborsi da parte dello Stato in favore di quanti non fossero in possesso dei requisiti di totale estraneità a condotte di associazione a delinquere di stampo mafioso o non siano stati raggiunti da misure di prevenzione (art. 407 c.p.p.), a nulla rilevando altri eventuali carichi pendenti o condanne definitive per reati non espressamente contemplati dall'art. 407 c.p.p., comma 2, lettera a.

Altra delicata questione attiene alla mancanza assoluta di potere discrezionale del Fondo in ordine all'esatto risarcimento da garantire agli eredi delle vittime deciso in sede penale e/o civile.

Le condizioni per il risarcimento agli aventi diritto

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La normativa prevede quali siano le condizioni per procedere all'esatto risarcimento in favore degli aventi diritto, ossia che:

1. esse siano vittime di uno dei reati di cui all'art. 416-bis del codice penale o di delitti commessi al fine di agevolare l'attività dell'associazione di tipo mafioso. Tale dichiarazione va riferita al soggetto deceduto, in caso di domanda presentata dagli eredi;

2. si siano costituite parte civile nel procedimento penale per i danni subiti a seguito di un reato di tipo mafioso (con condanna al pagamento di una provvisionale o risarcimento dei danni), o si sono costituite in un giudizio civile per il risarcimento dei danni di un reato accertato in giudizio penale.

L'art. 6 della Legge 512/99 non ammette interpretazioni di sorta.

Il fondo non ha nessun potere discrezionale sul quantum

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Al Fondo non è consentito alcun potere discrezionale in ordine alla quantificazione dei danni.

Il Fondo, pertanto, è obbligato a risarcire le vittime in ossequio ai provvedimenti dei giudici né può fare leva su pareri esterni (sebbene qualificati) per effettuare risarcimenti diversi o per negarli addirittura. Del resto il mancato rispetto di una legge, nel combinato disposto con una sentenza, non potrebbe trovare alcuna giustificazione.

Sussiste il cosiddetto vincolo risarcitorio alla destinazione del Fondo per le vittime dei reati di tipo mafioso a fronte della sua natura solidaristica.

Il Fondo eroga esattamente quanto il magistrato in sede penale, a titolo di provvisionale, e in sede civile, a titolo di integrale risarcimento, ha disposto a carico dell'autore del reato (danno patrimoniale e non patrimoniale, inclusi interessi e spese legali come liquidate).

Va da sè che le vittime non possano essere risarcite in maniera uniforme; in realtà l'erogazione è corrisposta nella misura di quanto liquidato dai singoli magistrati, i quali sono chiamati a quantificare i danni, caso per caso, specie con riferimento al danno emergente e al lucro cessante che deriva dalle accertate potenzialità economiche della vittima, non sussistendo alcun limite risarcitorio giacchè, in tal caso, non si parla di mero indennizzo quanto di risarcimento.

L'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione

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A tal proposito è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

"Queste Sezioni Unite (sentenze nn. 26626/2007, 1377/2003) con riferimento all'erogazione della speciale indennità prevista dalla L. 20 ottobre 1990, n. 302 per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata hanno affermato che i privati sono titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo essendo al riguardo la p.a. priva di ogni potestà discrezionale, sia con riguardo all'entità della somma che con riguardo ai presupposti per la erogabilità, anche ove si dovesse ritenere che l'accertamento di tali presupposti abbia carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo (in senso conforme v. anche Cons. di Stato, sez. 4^, 7 marzo 2001 n. 1320 e sez. 6^ 14 marzo 2006, n. 1338). Tale orientamento merita di essere confermato anche con riferimento all'accesso al Fondo di rotazione alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla L. n. 512 del 1999, che l'art. 4 qualifica espressamente come "diritto". D'altra parte il dubbio che, in via del tutto ipotetica e comunque con effetti espressamente dichiarati irrilevanti ai fini della qualificazione giuridica della situazione soggettiva del privato, le sentenze 26626/2007 e 1377/2003 prospettano in ordine all'eventuale carattere valutativo dell'accertamento dei presupposti dell'elargizione prevista dalla L. n. 302 del 1990 (in relazione alla lettera dell'art. 7 secondo cui "i competenti organi amministrativi decidono sul conferimento dei benefici… sulla base di quanto attestato in sede giurisdizionale…"), neppure potrebbe sorgere a fronte della più restrittiva formulazione della L. n. 512 del 1999, art. 4, ("Hanno diritto di accesso al Fondo., le persone fisiche a cui favore è stata emessa sentenza definitiva di condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, nonché alla rifusione delle spese e degli onorari di costituzione e difesa, a carico di soggetti imputati, anche in concorso, dei seguenti reati…") che, come le stesse amministrazioni controricorrenti ammettono, esclude ogni potere di valutazione autonoma dei presupposti oggettivi dell'accesso fondo di solidarietà".

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, dunque, chiariscono definitivamente il principio secondo cui il Fondo non ha alcun potere discrezionale di rifiutare un risarcimento dei danni nella loro quantificazione resa in sede giudiziaria.

Attenzione: i titolari del diritto al risarcimento sono dunque portatori di un diritto soggettivo, rispetto al quale l'Amministrazione viene chiamata soltanto ad un accertamento di natura costitutiva, che consiste nella verifica dei presupposti previsti dalla legge, ragion per cui avverso una delibera del Fondo possono agire in via ordinaria e non amministrativa.

Questo principio è confermato tra gli altri dal Consiglio di Stato (Sez. VI, sentenza n. 5818 del 18.09.2009, sentenza n. 1338 del 14.03.2006) e dalla Corte di Cassazione (Sez. 6 civile, n. 21306 del 20 ottobre 2015).

Abuso amministrativo non garantire l'integrale risarcimento danni alle vittime

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Ne consegue che qualsiasi decisione del Fondo di non garantire l'integrale risarcimento dei danni alle vittime, come deciso in sede giudiziaria, si configuri come un abuso amministrativo, a nulla rilevando pareri esterni (non vincolanti) che in quanto tali non possono essere la base di delibere interpretative.

Tale principio si allaccia, peraltro, alla annosa questione di danni all'erario provocati dai Funzionari della Pubblica amministrazione per liti giudiziarie che sono scaturite dalla palese illegittimità dei loro provvedimenti impugnati (in termini di spese legali e ulteriori interessi legali); questione richiamata quotidianamente dalla Corte dei Conti che ha il potere di rivalsa nei confronti dei funzionari della pubblica amministrazione (o incaricati di pubblico servizio) che abbiano cagionato danni erariali per provvedimenti palesemente illegittimi.

Infine si pone la delicata questione dell'eventuale rilevanza penale ai sensi della riforma dell'art. 323 c.p. in relazione alle condotte poste in essere da funzionari della pubblica amministrazione, nei termini e per le ragioni di cui sopra.

Ai fini dell'integrazione dell'abuso d'ufficio nella sua nuova formulazione, la condotta del pubblico funzionario deve essere connotata dalla violazione di norme cogenti, fissate esclusivamente da fonti primarie, e delineate in termini specifici.

La nuova formulazione del reato di abuso di ufficio, in ambito di ulteriore neo-requisito del reato in esame, concerne il carattere vincolante di determinate regole di condotta, tali cioè da non lasciare "margini di discrezionalità" all'agente.

Gli elementi costitutivi del reato di abuso di ufficio fanno riferimento, tra gli altri, all'inesistenza di un potere discrezionale e ai danni di terzi che ne conseguono.

Si tratta di un "reato proprio" del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, in questo caso del Fondo, atteso che le eventuali condotte penalmente rilevanti non possono essere scriminate da pareri esterni che, in quanto tali, non rivestono il requisito della vincolatività.

A seguito della riforma del 2020, il reato di abuso d'ufficio postula che il reo violi in maniera palese una specifica regola di condotta che non lasci spazio alla discrezionalità del soggetto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, Sezione IV, con la sentenza del 01.03.2021 n. 8057.


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