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Data: 02/08/2021 15:00:00 - Autore: Tullio Facciolini
Il valore politico e sociale della città[Torna su] Il concetto di città rappresenta oggetto di interesse tanto del diritto amministrativo quanto della filosofia politica, non solo italiana, ma anche europea, sebbene la tematica abbia spesso generato contrasti tra i teorici che si sono occupati di analizzarla e di sistematizzarla.Il punto di partenza della presente trattazione è la Costituzione che, all'articolo 114, dispone come la Repubblica sia costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. La carta fondamentale enuncia, quindi, il concetto di comune e non quello di città. La differenza tra le due nozioni è, infatti, netta. Il titolo di città può essere concesso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'Interno ai comuni insigni, per ricordi, monumenti storici e per l'attuale importanza [1]. Tutte le città sono, quindi, comuni ma non tutti i comuni sono città. Il concetto di città è ultra giuridico e genera valutazioni non solo di natura economica ma, anche e soprattutto, etica e politica. Al secondo comma, poi, l'articolo 114 prescrive come i comuni siano enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Sono attribuite ai comuni, a norma dell'articolo 118 della Costituzione, le funzioni amministrative salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e stato, sulla base dei principi di adeguatezza, di differenziazione e di sussidiarietà. Dall'analisi dei due commi citati risulta evidente la relazione che lega i comuni al principio di sussidiarietà. Questo rapporto non è recente ma nasce, invece, nella polis greca e prosegue nella civitas medievale, per poi arrivare, in epoca moderna e contemporanea, a riconfigurare l'essenza stessa della città all'interno del sistema politico. Il principio di sussidiarietà e l'amministrazione condivisa[Torna su] L'amministrazione condivisa [2] è un modello organizzativo che consente ai cittadini e al comune di svolgere attività di interesse generale [3] su un piano paritario [4].Tale modello si contrappone a quello tradizionale, basato sul paradigma bipolare e imperniato su rapporti asimmetrici, di tipo verticale, autoritativo e gerarchico: nell'ambito dei rapporti sussistenti tra i cittadini e il comune, l'amministrazione condivisa non si sostituisce però ad altri modelli preesistenti ma vi si affianca. Le fonti giuridiche principali del presente modello sono rinvenibili nell'articolo 118 comma 4 della Costituzione, nel regolamento sull'amministrazione condivisa e nel patto di collaborazione, secondo un ordine che va dal massimo grado di generalità e astrattezza al massimo grado di specificità e concretezza. Senza il regolamento sull'amministrazione condivisa il principio di sussidiarietà avrebbe continuato ad essere inapplicato, ma il regolamento è legittimato dall'essere fondato sulla Costituzione. Senza i patti, il regolamento sarebbe inefficace, ma i patti senza il regolamento sono vulnerabili e di difficile attuazione perché manca loro quella struttura di principi e regole contenuta nel regolamento che li protegge e li rende operativi. In altri termini, il principio costituzionale di sussidiarietà legittima il regolamento sull'amministrazione condivisa e, a sua volta, il regolamento legittima il patto di collaborazione. Il patto di collaborazione è, quindi, la fonte formalmente più lontana dalla Costituzione ma, allo stesso tempo, sostanzialmente la più vicina ai cittadini. Esso è lo strumento con cui il comune e i cittadini attivi concordano tutto ciò che è necessario ai fini della realizzazione degli interventi di cura, rigenerazione e gestione dei beni comuni in forma condivisa. I patti di collaborazione sono, quindi, il cuore del Regolamento, lo strumento giuridico che trasforma le capacità degli abitanti di una città in interventi di cura dei beni comuni che migliorano la vita loro e di tutti gli altri abitanti [5]. La cittadinanza attiva[Torna su] I patti di collaborazione presuppongono una cittadinanza che non sia passiva. In altri termini, collaborare all'amministrazione della città implica essere cittadini attivi. Con il sintagma cittadino attivo si intende colui (o colei) che decide di organizzarsi, da solo (o da sola) o in gruppo, per servire l'interesse generale, tutelando i beni comuni, i diritti delle persone, e i soggetti in condizione di debolezza. Il cittadino attivo, inoltre, tende ad organizzarsi e a fare squadra con altri perché è consapevole che dall'unione ha più possibilità di produrre cambiamenti effettivi. Il cittadino attivo esercita, quindi, non solo diritti e doveri, ma, anche e soprattutto, poteri e responsabilità.Si prende cura dell'interesse collettivo, fornisce un servizio al paese, incrementa l'empowerment delle persone [6]. E, spesso, è in contrasto con le istituzioni. Il rapporto conflittuale tra cittadini e istituzioni va, però, letto come un confronto tra le parti più che come uno scontro. Dal dibattito nasce, infatti, il cambiamento. È la tesi che, incontrandosi con l'antitesi, genera la sintesi. E la sintesi non può che essere il bene della città.
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