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Data: 11/10/2021 17:30:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani Argomento dell'esauriente contributo, intitolato "Diritto interno ed eurounitario in relazione alla proroga delle concessioni balneari", che presenta LIA Law In Action è l'annosa questione della proroga delle concessioni balneari. "Lo Stato non è più il luogo privilegiato di formazione del diritto. La conferma di tale assunto è data anche dalla presenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la cui attività interpretativa contribuisce alla delineazione di un ordinamento multilivello, in cui la legge dei singoli Stati non è più isolata e fine a sé stessa": sono le lucide espressioni dell'autore Vincenzo Esposito, in attesa della pronuncia dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato che il 20 ottobre 2021 sulle eterogenee interpretazioni della giurisprudenza amministrativa. Vincenzo Esposito è un brillante autore di testi giuridici, concorsista in magistratura, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli ed ha già un nutrito curriculum di esperienze per attività nel campo dei rapporti istituzionali; per Studio Cataldi ha pubblicato "Emergenza Covid-19: nota in margine alla pronuncia del GdP di Frosinone", che abbiamo proposto in data 14 settembre 2020. Buona lettura!
Diritto interno ed eurounitario in relazione alla proroga delle concessioni balneari. 1. Preambolo 2. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 20 ottobre 2021 3. Ricognizione dei principi generali in materia di diritto interno e comunitario 5. L'art. 267 TFUE: rinvio pregiudiziale 7. La direttiva e la procedura d'infrazione 8. Direttive self executing e non autoesecutive 10. La sentenza della Corte di Giustizia del 14 luglio 2016 11. Le proroghe delle concessioni del legislatore italiano 12. Gli orientamenti degli interpreti e della giurisprudenza 13. Come andrà a finire dopo l'imminente Adunanza Plenaria? 1. PreamboloIl presente contributo si propone di esaminare sinteticamente, ma in maniera tendenzialmente esaustiva, l'annosa questione attinente alla proroga ex lege delle concessioni balneari: prassi anticoncorrenziale, avallata in spregio alla direttiva Bolkestein, che ha provocato una vera e propria spaccatura in seno ai TAR e allo stesso Consiglio di Stato. Invero, da un lato il diritto eurounitario, già dal 2006, detta il principio per cui nelle siffatte ipotesi è necessaria la gara pubblica, aperta a tutti gli operatori economici; dall'altro, la legge 145/2018 ha prolungato nuovamente (per 15 anni) lo sfruttamento del demanio marittimo da parte dei concessionari "storici". 2. L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 20 ottobre 2021La compresenza di due orientamenti giurisprudenziali antitetici, ma astrattamente sostenibili, e l'avvio dell'ennesima procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia, hanno indotto il Presidente del Consiglio di Stato a rimettere urgentemente (con decreto) la quaestio iuris all'Adunanza Plenaria, che si pronuncerà il 20 ottobre 2021. 3. Ricognizione dei principi generali in materia di diritto interno e comunitarioPer provare a prevedere i possibili esiti del giudizio, prima di esaminare la giurisprudenza più rilevante occorre preliminarmente operare una ricognizione dei principi generali in materia di rapporti tra diritto interno e comunitario. L'adesione dell'Italia all'Unione Europea ha, invero, alterato in modo significativo la tradizionale scala gerarchica delle fonti del diritto ove, accanto alla Costituzione, alle fonti primarie, ai regolamenti amministrativi e alle consuetudini, si collocano i trattati dell'unione europea (cui è parificata la cd. Carta di Nizza), il diritto derivato UE e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Lo Stato non è più il luogo privilegiato di formazione del diritto. La conferma di tale assunto è data anche dalla presenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo, la cui attività interpretativa contribuisce alla delineazione di un ordinamento multilivello, in cui la legge dei singoli Stati non è più isolata e fine a sé stessa. 4. Le fonti eurounitarieLimitando l'indagine alle fonti eurounitarie, possono distinguersi gli atti vincolanti (collocati, ex artt. 11 e 117 Cost., al vertice della piramide ordinamentale, fatti salvi i principi supremi previsti dalla Costituzione) e quelli non vincolanti. La loro rilevanza è, peraltro, sancita all'art. 1 della legge 241/90 (norme in materia di procedimento amministrativo e accesso) nonché all'art. 1 c.p.a. (codice del processo amministrativo). Tra i primi, oltre al diritto primario (TUE, TFUE e Carta di Nizza), si annoverano i regolamenti, le direttive e le decisioni; i secondi sono, invece, costituiti dalle raccomandazioni e dai pareri. Regolamenti e decisioni hanno efficacia diretta all'interno degli Stati membri, distinguendosi solo in relazione al contenuto: generale e astratto in un caso, particolare e concreto nell'altro. Da essi deriva un obbligo generale di disapplicazione (rectius, "non applicazione") di leggi, regolamenti e usi interni contrastanti e l'annullabilità ex art. 21 octies della l. 241/90 dei provvedimenti anticomunitari impugnati nei termini previsti dall'art. 29 c.p.a.. Superati sono gli orientamenti che discorrono di disapplicazione e nullità dell'atto amministrativo e minoritarie (salvo ipotesi particolari) le voci che tuttora ammettono la cd. "autotutela doverosa". 5. L'art. 267 TFUE: rinvio pregiudizialePeraltro, ai sensi dell'art. 267 TFUE, i giudici nazionali possono (o devono, in ultimo grado di giudizio) rimettere alla Corte di Giustizia UE le questioni interpretative relative alla compatibilità tra diritto interno ed eurounitario (pena: la possibile responsabilità civile dai magistrati ex art. 2 co. 3 della l. 117/1988). Detto rinvio pregiudiziale ha il precipuo scopo di evitare la formazione di giudicati anticomunitari (che condurrebbero alla condanna risarcitoria dello Stato) e il suo esercizio è previsto ogniqualvolta la Corte di Giustizia non si sia già pronunciata sulla stessa o su analoga vicenda e non si sia di fronte a un "atto chiaro", la cui interpretazione non sia suscettibile di seri dubbi interpretativi. 6. Gli atti non vincolantiQuanto agli atti non vincolanti, da un lato si afferma che essi (per definizione) non abbiano alcuna efficacia; dall'altro possono ipotizzarsi degli effetti orientativi per la pubblica amministrazione, comunque sottoposta a un sindacato di ragionevolezza e proporzionalità (ma l'eventualità che, in questa ipotesi, un atto amministrativo possa essere annullato per eccesso di potere è tutta da verificare). 7. La direttiva e la procedura d'infrazioneAtto vincolante ad efficacia indiretta è, invece, la direttiva, che assegna agli Stati membri un obiettivo da raggiungere entro un determinato lasso di tempo (di regola due anni). Questi ultimi hanno, dunque, l'obbligo giuridico di recepirne il contenuto all'interno di una legge interna: l'inadempimento comporta l'attivazione della procedura d'infrazione, con possibile accertamento di una responsabilità risarcitoria. Fino allo scadere del termine di recepimento, la direttiva non produce alcun effetto, potendo al massimo ipotizzarsi una situazione analoga a quella descritta per le raccomandazioni e i pareri. Viceversa, con l'approvazione della legge o dell'atto avente forza di legge che attua la direttiva, si instaura una fisiologica relazione tra atti di diritto interno, in forza della quale il provvedimento indirettamente contrastante con il diritto UE deve ritenersi illegittimo. Può, tuttavia, accadere che la norma di recepimento trasfonda erroneamente i contenuti della fonte comunitaria: in questo caso occorrerà disapplicare la legge interna, rendendo il provvedimento legittimo perché conforme alla fonte eurounitaria. I maggiori problemi sorgono, tuttavia, nell'ipotesi patologica in cui, alla scadenza del termine di recepimento, il legislatore sia rimasto inerte: in questi casi, anche al fine evitare la procedura di infrazione, ci si chiede se il provvedimento amministrativo conforme al diritto interno, ma difforme da quello comunitario, possa essere annullato e se, a monte, la pubblica amministrazione possa ritenersi gravata da un potere-dovere di disapplicazione della legge nazionale analogo a quello del giudice. 8. Direttive self executing e non autoesecutiveAl riguardo occorre fare un'ulteriore distinzione tra direttive self executing e non autoesecutive. Le prime, essendo sufficientemente dettagliate nei propri contenuti, non necessitano di alcuna legge di attuazione: scaduto inutilmente il termine di recepimento, l'inerzia del legislatore sarà automaticamente colmata dalla direttiva, con effetti analoghi a quelli previsti per i regolamenti. Naturalmente, rispetto agli atti intrinsecamente dotati di efficacia diretta, si pone il problema di capire se la direttiva sia effettivamente autoesecutiva: in assenza di una precisa presa di posizione della Corte di Giustizia, si tratta di una questione interpretativa rimessa all'autorità giurisdizionale dello Stato membro, attraverso i parametri fissati dai giudici eurounitari, e di norma preclusa alla PA. 9. La direttiva "Bolkenstein"Le difficoltà si moltiplicano in presenza di una direttiva non dettagliata qual è, per espressa ammissione della Corte di Giustizia, la n. 2006/123/CE (cd. Bolkestein), che detta una serie di principi ostativi ai regimi di proroga ex lege delle concessioni aventi ad oggetto "risorse naturali scarse". L'art. 12, invero, stabilisce che «qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento». L'Unione mira, così, ad assicurare la libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri, evitando il consolidamento di situazioni di monopolio. Come si vede, la direttiva non precisa diversi aspetti della disciplina delle gare pubbliche, lasciando al legislatore nazionale il compito di individuare la durata delle concessioni, le norme di dettaglio in materia di procedure selettive e l'eventuale previsione di un indennizzo per i precedenti concessionari in caso di lesione del loro legittimo affidamento. Né è chiaro cosa debba intendersi per "scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili". 10. La sentenza della Corte di Giustizia del 14 luglio 2016Il principio generale ricavabile è, tuttavia, cristallino: la stessa Corte di Giustizia, nella sentenza della Sezione V, 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, ha precisato che il citato articolo «deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati». 11. Le proroghe delle concessioni del legislatore italianoOrbene, dal 2006 ad oggi, non solo il principio fissato dalla direttiva Bolkestein non è stato recepito, ma il legislatore italiano ha più volte prorogato le concessioni in essere; da ultimo, in particolare, l'art. 1 co. 683 della l. n. 145/2018 le ha prolungate di anni quindici, allo scopo dichiarato di «tutelare l'occupazione e il reddito delle imprese in grave crisi per i danni subiti dai cambiamenti climatici» (Sic!). L'art. 182 del successivo decreto legge n. 34/2020 ha, a sua volta, confermato la protrazione delle concessioni relative ai beni del demanio marittimo sino al 31 dicembre 2033, questa volta motivandola con l'esigenza di fronteggiare «gli effetti derivanti nel settore dall'emergenza da COVID-19». 12. Gli orientamenti degli interpreti e della giurisprudenzaCome anticipato, l'antinomia tra norme comunitarie e nazionali ha diviso gli interpreti. Ad oggi, non è infatti pacifica la sorte delle direttive non autoesecutive scadute e non recepite dagli Stati membri. Un primo orientamento nega ogni efficacia normativa agli atti in parola, sostanzialmente equiparando le direttive non self executing inattuate a quelle il cui termine di trasposizione non sia ancora scaduto. Conseguentemente, il contrasto sarebbe solo apparente e il giudice nazionale non potrebbe disapplicare la norma interna; a maggior ragione, la PA avrebbe il dovere di rispettare il quadro normativo vigente, adottando i provvedimenti necessari alla proroga delle concessioni balneari. È questo l'indirizzo accolto dal T.A.R. Lecce (sent. n. 1341/2020). I giudici pugliesi hanno, peraltro, affermato che l'amministrazione pubblica sarebbe, in ogni caso, priva di un potere generale di disapplicazione della legge contrastante con le norme eurounitarie: tale facoltà spetterebbe solo all'autorità giudiziaria, la quale, attraverso i mezzi di impugnazione e il rinvio pregiudiziale ex art. 627 TFUE, garantisce l'uniforme applicazione del diritto sul territorio nazionale e comunitario. Viceversa, secondo il tribunale amministrativo, consentire alle singole PA di disapplicare la legge anticomunitaria rischierebbe di generare una situazione caotica ed eterogenea, con conseguente disparità di trattamento tra gli operatori economici a seconda del territorio di riferimento. Altra ricostruzione, diametralmente opposta, ritiene che anche in presenza di una direttiva scaduta non autoesecutiva e non trasposta tutti gli organi interni dello Stato debbano cooperare affinché sia rispettato il diritto europeo: la PA sarebbe obbligata a disapplicare le norme interne con esso contrastanti e potrebbe ritirare ex art. 21 nonies i provvedimenti anticomunitari già emanati. Del resto, il risarcimento conseguente all'inesorabile avvio della procedura d'infrazione grava sull'intero apparato statale, comprese le autorità giudiziarie ed amministrative, che dovrebbero sempre e comunque agire al fine di evitare l'addebito di responsabilità. È di questo avviso il T.A.R. Catania (sent. 504/2021), che accoglie e implementa le conclusioni già raggiunte dal Consiglio di Stato in una pronuncia precedente a quella del T.A.R. Lecce (la n. 7874/2019). I magistrati siciliani esordiscono con un assunto elementare e al contempo ineccepibile: «in un sistema di gerarchia delle fonti la norma sovraordinata prevale su quella subordinata». Ciò vale anche per la pubblica amministrazione, che deve sempre conformarsi alla fonte normativa prevalente. Applicando un modello di pensiero degno del Rasoio di Occam, il T.A.R. Catania respinge l'orientamento contrario della giurisprudenza leccese, ritenendo che nel contrasto fra diritto europeo immediatamente vincolante e disciplina nazionale il funzionario pubblico (così come il giudice) debba assegnare prevalenza al primo, disapplicare le norme anticomunitarie e attenersi a quanto disposto dalla fonte sovraordinata, così come avviene nell'ipotesi di contrasto tra legge nazionale e regolamento. La circostanza, poi, che la PA non disponga dello strumento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE è del tutto ininfluente: esso è riservato al solo giudice per evitare l'afflusso di una serie indeterminata di perplessità eventualmente infondate innanzi alla Corte di Giustizia. Egli può, peraltro, operare in tal senso soltanto quando effettivamente dubiti della legittimità della disciplina nazionale alla stregua del diritto europeo, mentre, ove tale dubbio non sussista, è semplicemente obbligato a disapplicare la norma interna. Quanto alla specifica questione in esame, vero è che la Corte di Giustizia definisce non esecutiva la direttiva Bolkestein, ma appare evidente il contrasto tra le misure nazionali in esame e lo stesso "sistema" comunitario ricavabile dall'art. 49 TFUE in materia di concorrenza e libertà di stabilimento. Ne deriverebbe, secondo i giudici siciliani, il potere-dovere di disapplicazione del giudice, anche (ma non solo) in seguito all'esperimento della pregiudiziale ex art. 267 TFUE; a maggior ragione, la PA dovrebbe ritenersi obbligata a non applicare il regime di proroga previsto dal legislatore nazionale. Tanto premesso, il tribunale si interroga in ordine al concetto di "scarsità", quale parametro fondamentale per delimitare l'ambito applicativo della direttiva Bolkestein. Secondo un primo indirizzo, infatti, le singole porzioni di demanio marittimo non possono, sic et simpliciter, considerarsi risorse naturali "scarse": a seconda delle caratteristiche del territorio preso in considerazione, infatti, altri operatori potrebbero ottenere altrove una concessione demaniale di analogo contenuto. Il giudice dovrebbe, dunque, verificare di volta in volta la sussumibilità della fattispecie concreta in quella astrattamente delineata dall'art. 12 della direttiva, escludendone l'operatività nelle aree del Paese in cui vi sono vaste porzioni di costa libere dallo sfruttamento dei privati. Tale interpretazione, secondo il T.A.R. Sicilia, determinerebbe la sostanziale elusione della disciplina europea, che a suo avviso riserva l'affidamento non concorrenziale alle sole ipotesi in cui risulti obiettivamente superfluo esperire la procedura selettiva perché la concessione si riferisce a un bene, per natura o caratteristiche, tendenzialmente illimitato. Il tribunale opta, dunque, per la soluzione opposta, ritenendo sempre e comunque illegittima la proroga ex lege delle concessioni balneari. Naturalmente, non si interroga in ordine a quest'ultimo profilo chi ritiene in ogni caso inapplicabile la direttiva Bolkestein. 13. Come andrà a finire dopo l'imminente Adunanza Plenaria?Il problema resta aperto, com'è confermato dal decreto del 26 maggio 2021, con cui il Presidente del Consiglio di Stato ha rimesso le questioni in esame all'Adunanza Plenaria: in attesa del suo pronunciamento (previsto per il 20 ottobre 2021) si può provare a fornire un giudizio personale sulla complessiva vicenda. La soluzione prospettata dal T.A.R. Catania appare condivisibile sul piano della giustizia sostanziale, sia per la liberalizzazione di vaste aree del demanio marittimo, sia perché mira a sopperire a una decennale inadempienza del legislatore italiano. Inoltre, il suo accoglimento avrebbe il pregio di evitare la condanna dello Stato nella procedura d'infrazione già avviata dalla Commissione Europea in relazione all'art. 1, commi 692 e 683, della legge n. 145/2018. Per converso, l'orientamento accolto dal T.A.R. Lecce risulta formalmente più coerente con la natura non autoesecutiva della direttiva Bolkestein ed è volto a preservare i residui margini di sovranità dello Stato. Chiaro è, infatti, che dall'accoglimento di una o dell'altra delle due ricostruzioni dipende la fisionomia stessa dei rapporti tra diritto interno e comunitario. Al riguardo, occorre considerare che la tendenza normativa più recente è orientata ad una prospettiva di maggiore integrazione europea, cosicché risultano eccezionali (e prevalentemente ispirate da interessi economici particolari) le situazioni di contrasto tra l'ordinamento interno e quello sovranazionale. La riprova di ciò si rinviene nell'antico dibattito sulle visioni dualista e monista del sistema Europa, che in una prima fase ha visto contrapporsi la Corte costituzionale e la Corte di Giustizia, per poi evolversi in un complessivo ravvicinamento delle due impostazioni. Invero, nella sentenza n. 170/1984, il Giudice delle leggi (pur adeguandosi al principio di primazia del diritto comunitario in forza dell'art. 11 Cost.) aveva espressamente aderito ad una concezione per cui l'ordinamento interno e quello comunitario sono autonomi e distinti, ancorché coordinati. Ciò in ragione della sostanziale diversità degli organi di governo e del popolo che, ai diversi livelli, nomina i suoi rappresentanti. Viceversa, la Corte di Giustizia si è sempre ispirata alla visione monista, immaginando un ordinamento unico in cui le varie fonti hanno valore differente, fondato in parte sul criterio gerarchico e in parte sul criterio di competenza. A dare una svolta al dibattito è stato lo stesso legislatore italiano, che con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ha modificato l'art. 117 co. 1 Cost., imponendo espressamente il «rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario». Del resto, la frequenza con cui le Corti interne sollevano questioni interpretative di rilevanza comunitaria (sollecitate dallo spettro della responsabilità civile ex art. 2 co. 3 della l. 117/1988) sembra aver introdotto un nuovo grado di giudizio, che conferma l'unitarietà del sistema. Orbene, proprio in ossequio al citato art. 117, l'indirizzo più recente della Consulta (sent. n. 102/2008) sembra implicitamente aderire alla visione monista. In coerenza con l'idea di un ordinamento unico, ricavabile dallo stretto intreccio giurisprudenziale e normativo sopra esposto (art. 267 TFUE; artt. 10 e 117 Cost.; art. 1 l. 241/90; art. 1 c.p.a.), la tesi accolta dal T.A.R. Catania appare, dunque, la più convincente. Non del tutto condivisibile è, tuttavia, la rigidità con cui i giudici siciliani definiscono il concetto di "scarsità". Invero, stante la presa di posizione legislativa in ordine alla proroga ex lege delle concessioni marittime, un punto d'incontro tra la normativa italiana e quella eurounitaria potrebbe rinvenirsi proprio in una più restrittiva interpretazione giurisprudenziale del parametro, che la stessa Corte di Giustizia rimette al giudice comune. In particolare, i giudici europei, nella già citata sentenza della Sezione V, 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, hanno affermato che «le concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo rientrano in linea di principio nel campo di applicazione della direttiva, restando rimessa al giudice nazionale la valutazione circa la natura "scarsa" o meno della risorsa naturale attribuita in concessione». Né il pericolo di un sostanziale aggiramento del diritto europeo può condurre ad alterare in via giurisprudenziale la natura non dettagliata della direttiva Bolkestein; d'altra parte, l'elusione può essere scongiurata grazie ai fisiologici processi di definizione del caso concreto, che si sviluppano intorno alle decisioni amministrative e agli eventuali ricorsi giurisdizionali. Quanto alle norme di dettaglio applicabili alla procedura selettiva, le lacune sulle quali il legislatore sarebbe dovuto intervenire con una legge di recepimento potrebbero essere colmate dal d.lgs. 50/2016 (cd. Codice dei contratti pubblici), la cui operatività deriverebbe, in via automatica, dalla disapplicazione della legge 30 dicembre 2018. n. 145 nella parte in cui proroga le concessioni attinenti ad attività limitate dalla "scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili". Autore: Vincenzo Esposito |
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