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Data: 04/11/2021 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Risarcimento danni per la docente discriminata[Torna su]
La Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 31071/2021 (sotto allegata) conferma il riconoscimento del danno morale di € 30.000 in favore di un'insegnante a cui non è stato rinnovato il contratto da un istituto religioso a causa del suo presunto orientamento sessuale. Il danno spetta perché la discriminazione getta discredito sulla persona lesa e la umilia. Il risarcimento spetta comunque anche alla Cgil e a un'Associazione, che in giudizio hanno affermato la loro contrarietà a simili condotte discriminatorie in ambito lavorativo. Per loro €10.000 a titolo di ristoro. Detto questo vediamo cos'è successo più in dettaglio. La vicenda processualeUna lavoratrice, la Cgil e un'Associazione agiscono in giudizio per contestare la condotta discriminatoria di un istituto religioso applicata nell'ambito di una selezione finalizzata all'assunzione di insegnanti. In sede di appello, accertata la natura discriminatoria della condotta, la Corte ha ordinato all'Istituto la cessazione di detta condotta e lo ha condannato a risarcire la lavoratrice a cui ha riconosciuto € 13.329,00 a titolo di danno patrimoniale ed € 30.000,00 per i danni morali sofferti. Risarcimento di € 10.000 in favore anche della Cgil e dell'Associazione, oltre alla pubblicazione della sentenza. Non provato il danno morale riconosciuto[Torna su]
Parte soccombente nel ricorrere in Cassazione propone i seguenti motivi di doglianza.
Al giudice riconoscere e quantificare il danno morale[Torna su] La Corte di Cassazione però rigetta il ricorso e riconosce i danni morali causati dalla condotta discriminatoria ai danni dell'insegnante a causa del suo presunto orientamento sessuale, incompatibile, secondo l'Istituto religioso, al tipo d'insegnamento che lo stesso vuole impartire.
Per gli Ermellini il primo motivo sollevato non può essere accolto perché solo il giudice può decidere a quali elementi attribuire maggiore attendibilità e rilevanza ai fini del giudizio. La seconda doglianza non è condivisibile dalla Corte perché anche l'accertamento della volontà negoziale consiste in un giudizio di fatto rimesso al giudice di merito. Non può essere accolto neppure il terzo motivo perché nel ricorso per Cassazione, nel momento in cui si sostiene l'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, è necessario chiarire a pena d'inammissibilità l'errore di diritto imputato a tale proposito alla sentenza impugnata, in relazione alla controversia. Peccato che nel caso specifico il ricorrente si limita a invocare delle disposizioni, anche costituzionali, ma non spiega come la libertà d'insegnamento sia in grado di legittimare condotte discriminatorie come quelle che sono state accertate in sede di merito. Non merita accoglimento neppure il quanto motivo perché la decisione relativa al riconoscimento del risarcimento del danno non patrimoniale, fondata sul criterio equitativo, è stata presa "in ragione della gravità della discriminazione e del discredito connesso alle dichiarazioni diffamatorie" che hanno condotto a un risarcimento di 30.000 euro "con un percorso motivazionale che tiene adeguatamente conto che l'atto discriminatorio è lesivo della dignità umana ed è intrinsecamente umiliante per il destinatario." Non può essere accolto neppure l'ultimo motivo per le stesse ragioni che hanno condotto al rigetto del motivo precedente. A livello europeo e internazionale è consentito a enti e associazioni di avviare procedure giurisdizionali o amministrative intese a far rispettare determinati obblighi, anche se non c'è una persona lesa identificabile. Occorre però che le misure siano effettive, proporzionate e dissuasive." La Corte quindi non ha errato, perché ha riconosciuto e liquidato correttamente agli enti "in misura proporzionata alla gravità della discriminazione e in misura tale da rendere la sanzione effettiva e dissuasiva." Leggi anche La Corte di Giustizia UE sulla discriminazione dei LGBTI in ambito lavorativo |
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