Data: 04/12/2021 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Diffamazione le offese nella chat del profilo Facebook?

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Quando lo scambio di messaggi in chat configura diffamazione o ingiuria? A spiegare la differenza tra queste condotte nel mondo virtuale è la Cassazione nella sentenza n. 44662/2021 (sotto allegata) stabilendo i principi a cui dovrà attenersi il giudice del rinvio chiamato a decidere dopo l'annullamento della sentenza di appello, che sul punto non ha fornito le necessarie argomentazioni nel condannare l'imputato per diffamazione.

La vicenda processuale

Confermata in secondo grado la condanna dell'imputato per diffamazione per aver pubblicato su una chat con la vittima e altri sulla bacheca di Facebook del M5S commenti volgari e offese.

Per l'imputato c'è ingiuria non diffamazione

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L'imputato nel ricorrere in Cassazione contro la decisione solleva i seguenti tre motivi:

  • con il primo contesta che le prove raccolte siano sufficienti a dimostrare la pubblicazione di messaggi diffamatori da parte sua anche in virtù di quanto emerso dalla perizia del consulente della difesa;
  • con il secondo si oppone alla qualificazione della condotta come diffamazione e non come ingiuria;
  • infine lamenta il mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione ai sensi dell'art. 599 c.p visto che lo stesso ha agito perché in preda a uno stato d'ira provocato dalla condotta della persona offesa.

Anche in chat se la persona offesa è presente è ingiuria

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La Corte di Cassazione ritiene il ricorso fondato, soprattutto in ragione del secondo motivo sollevato, per cui annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello competente per un nuovo esame.

Inammissibile comunque per la Corte Suprema il primo motivo perché la sentenza d'appello ha concluso per la riferibilità dei messaggi all'imputato. La modifica successiva del profilo, riconducibile incontestabilmente allo stesso, ha infatti effetto anche in relazione ai messaggi precedenti.

Infondato il terzo motivo perché generico e perché la Corte non ha rilevato nel messaggio della persona offesa alcun contenuto o profilo provocatorio.

A essere fondato è però il secondo motivo, perché trattasi in effetti d'ingiuria e non di diffamazione. Conclusione a cui la stessa era giunta in un caso d'invio di e-mail a più destinatari, compreso il destinatario dell'offesa e in cui ha avuto modo di precisare che "l'offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altri persone."

Sempre comunque in relazione alla sentenza n. 13252/2021 richiamata, gli Ermellini chiariscono che la stessa, per quanto riguarda la differenza tra reato di diffamazione e ingiuria, giunge in pratica a concludere che "resta fermo il criterio discretivo della "presenza", anche se "virtuale", dell'offeso. Occorrerà, dunque, valutare caso per caso: se l'offesa viene profferita nel corso di una riunione "a distanza" (o "da remoto"), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato) … Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione."

Poiché dalla sentenza impugnata questa griglia argomentativa, su cui dovrà muoversi il giudice del rinvio, non è presente, costui dovrà prima di tutto stabilire in concreto il funzionamento della chat di Facebook (comunicazioni in tempo reale oppure differite) e se nel caso concreto la persona "offesa" fosse o meno presente quando sono stati inviati i messaggi offensivi e incriminati.


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