Data: 31/12/2021 06:00:00 - Autore: Matteo Santini

Legittimità (o meno) dell'obbligo vaccinale

L'articolo 4 del decreto legge n. 44/2021, convertito dalla legge 28 maggio n. 76, prevede l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura ed assistenza.
La Commissione Speciale del Consiglio di Stato, con il parere n. 2065 del 27.09.2017, ha chiarito che la Costituzione "non riconosce un'incondizionata e assoluta libertà di non curarsi o di non essere sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori(anche in relazione a terapie preventive quali sono i vaccini) per il motivo che, soprattutto nelle patologie ad alta contagiosità e diffusività, una cura errata o la decisione individuale di non curarsi può danneggiare la salute di molti altri consociati e, in particolare, la salute dei più fragili.
Un eventuale obbligo vaccinale coinvolge certamente diritti fondamentali di rango costituzionale, come il diritto alla salute di cui all'art. 32 della Costituzione, il dovere di solidarietà sociale previsto dall'articolo 2 ma anche il diritto alla libera manifestazione del pensiero.
Un singolo trattamento sanitario può essere reso obbligatorio solo ove esso non incida negativamente in modo rilevante sullo stato di salute della persona che lo "subisce" (si pensi ad esempio ai trattamenti previsti in regime di TSO).
Occorre però procedere ad un bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi mediante l'individuazione di una soglia di pericolo accettabile da compiersi sulla base di una completa e accreditata letteratura medico scientifica.
Per ciò che concerne la vaccinazione anti Covid-19, qualunque sia il vaccino utilizzato, dato il breve lasso temporale dall'immissione in commercio, non esistono studi scientifici su larga scala che ne possano accertare gli effetti avversi e le complicanze (soprattutto a medio e lungo termine).
A livello costituzionale è certo che la salute sia non solo un diritto individuale, inteso come diritto a curarsi, a scegliere il tipo di cura e a non curarsi, ma anche un interesse della collettività.

L'intervento della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale con sentenza n. 307 del 22.06.1990, ha precisato che "la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'articolo 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto a migliorare o a preservare lo Stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale".
La Corte e' nuovamente intervenuta sul tema nel 1994, con sentenza n. 218 del 02.06.1994, la quale ha sancito che la tutela della salute implica anche il "dovere dell'individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli altri".
Sempre in materia vaccinale la Corte costituzionale con la sentenza n. 268/2017 è nuovamente intervenuta asserendo che gli obblighi di vaccinazioni obbligatorie possono essere considerati necessari in una società democratica.
Il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2021/953 del 14.06.2021, al considerando 36, ha chiarito che è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid-19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l'opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate".

Obbligo vaccinale rispetto alla Costituzione e alla Cedu

Sull'obbligo vaccinale generalizzato è necessario esaminare ogni questione di legittimità non solo rispetto alla Costituzione italiana ma anche in relazione agli orientamenti della CEDU.
La Corte europea ha chiarito che, sebbene ogni vaccinazione implichi un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e, in particolare, una limitazione alla libertà di autodeterminazione nelle scelte terapeutiche, occorre riferirsi alla politica sanitaria degli Stati contraenti, la quale – proprio in considerazione degli artt. 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata) della CEDU – impone agli Stati l'onere di adottare misure adeguate e proporzionate per proteggere la vita e la salute di coloro che sono sottoposti alla propria giurisdizione, specie dei più vulnerabili. L'obbligo vaccinale può dunque essere imposto, in presenza di uno scopo legittimo e quando gli interventi siano proporzionati allo scopo perseguito.
In tale ottica un obbligo vaccinale generalizzato può ragionevolmente rinvenirsi nell'interesse pubblico e nell'esigenza sociale di protezione della salute collettiva, nonché nel vincolo di solidarietà tra i consociati.
I primi dubbi possono essere però sollevati in ordine alla proporzionalità e all'invasività dell'intervento in rapporto alla libertà di autodeterminazione degli individui.
Altra questione e' quella relativa alla discrezionalità del legislatore nel disciplinare la sanzione per il mancato adempimento dell'obbligo vaccinale.
La Costituzione riconosce il diritto alla salute, a tal punto da giustificare compressioni di altri interessi pubblici ugualmente meritevoli di tutela. In una situazione di emergenza, le limitazioni alle altre libertà e ai diritti inviolabili sembrano tanto più giustificate ed accettabili, stante l'importanza preminente della salute pubblica, ai sensi dell'art. 32 della Costituzione.
La scelta tra obbligo o raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce in particolare il punto di equilibrio, in termini di bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione (nonché sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili), tra autodeterminazione del singolo da un lato (rispetto della propria integrità psico-fisica) e tutela della salute (individuale e collettiva) dall'altro.
Il bilanciamento in questione è proporzionale se il pericolo per la salute collettiva "non deve essere evitabile con misure alternative all'imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio, in quanto in caso contrario lo Stato sarà tenuto a porre in essere le misure, diverse dai trattamenti sanitari obbligatori, in grado di evitare il pericolo per la salute collettiva senza il sacrificio della libertà personale dei cittadini".
Per valutare la ragionevolezza e la proporzionalità del bilanciamento operato dal legislatore, è necessario il riferimento al dato tecnico-scientifico. Il rapporto tra scienza e diritto, si inserisce anche come questione fondamentale nell'apprezzamento delle scelte del legislatore da parte del Giudice costituzionale, e altresì, di conseguenza per la valutazione di legittimità degli altri atti subordinati alla legge sottoposti anzitutto alla valutazione del giudice amministrativo.
Va però chiarito che il concetto di non "normalità" o di eccezionalità che giustifica la prevalenza dell'interesse collettivo deve essere contemperato con il principio di precauzione.
La Corte costituzionale (n. 5 del 2018) ha chiarito che la copertura vaccinale è strumento di prevenzione e richiede di essere messa in opera indipendentemente da una crisi epidemica in atto.
Deve perciò concludersi che rientra nella discrezionalità del Governo e del Parlamento intervenire prima che si verifichino scenari di allarme. L'interesse collettivo, dunque, pare poter essere legittimamente considerato come prevalente già in una situazione di emergenza sanitaria, giacché il primo obiettivo è evitare l'epidemia e, ove il tentativo sia risultato infruttuoso, reprimerla efficacemente.
Pertanto l'interesse della collettività alla salute prevale sul diritto individuale e giustifica siffatte limitazioni a prescindere dall'attualità dell'emergenza.
In materia di sanzioni derivanti dall'inadempimento queste dovrebbero essere di natura amministrativa, così come previsto in Austria. Infatti, l'adozione di sanzioni penali paralizzerebbe il lavoro delle Procure della Repubblica e della polizia giudiziaria.
Va da sè la sanzione "indiretta" più efficace è rappresenta dal divieto di accedere a qualsiasi servizio limitando o impedendo qualsiasi ipotesi di socialità o convivialità (sport, turismo, ristorazione, ecc.).
Le suddette limitazioni per essere legittime non dovranno rivestire un carattere direttamente sanzionatorio o punitivo ma dovranno essere giustificate dalla necessità di contenimento dei contagi.
Infatti, se si trattasse di riserva di legge formale, nella materia potrebbe intervenire solo la legge del Parlamento, mentre non possono farlo atti aventi forza di legge, come decreti legge o decreti legislativi del governo.
Di fatto, poi, le materie disciplinate da riserva di legge formale sono quelle coperte da riserva di assemblea.
La riserva di legge formale è tipica dei casi in cui si vuole riservare al solo parlamento la possibilità di adottare un determinato atto, ed è dunque soprattutto utilizzata per quanto riguarda gli atti autorizzatori dell'assemblea.
Basti pensare alla legge di bilancio, la cui natura autorizzatoria è sottolineata dalla stessa Costituzione all'art. 81.
La stessa ratio impone di considerare riserva di legge formale la conversione di decreti legge, così come la delega della funzione legislativa nel caso di adozione di decreti legislativi. Se non fosse imposta una simile riserva, si potrebbe in questi casi procedere con atti aventi forza di legge, falsando in modo inaccettabile la natura dei rapporti tra l'esecutivo e il legislativo.
Al riguardo, si ritiene che nel caso in esame, l'andamento incontrollabile e vorticoso della pandemia derivante dal diffondersi del Covid-19 consenta l'adozione, nel caso di obbligo vaccinale, di una riserva di legge materiale che potrebbe quindi realizzarsi anche con lo strumento del decreto legge.
In conclusione, come è stato osservato, "L'iperproduzione di doveri, se avviene nel rispetto delle garanzie e della proporzione, resta estranea alla sospensione del diritto", nondimeno se essa è rispettosa del principio di tassatività dei doveri ne assicura pienamente la funzione garantistica.


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