Data: 10/01/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Reato di porto illegale di armi e dati personali

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I motivi legittimi che giustificano l'oscuramento dei dati personali da una sentenza o da un altro provvedimento giudiziale sono la presenza di dati sensibili o la particolare delicatezza della vicenda trattata. Nel caso di specie, la Cassazione, come esposto nella sentenza n. 47126/2021 (sotto allegata) non ha ritenuto di dover accogliere le richieste di un investigatore privato di oscurare i dati personali dalla sentenza che si è occupata di una vicenda penale relativa al porto illegale di armi, perché non rappresentano motivi legittimi fondanti la richiesta le "negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato (…) in ambito familiare o lavorativo."

La vicenda processuale

La Corte di Appello assolve l'imputato dalle contestate violazioni di cui agli articoli 4 e 7 della legge n. 895/1967, in quanto l' aver portato una pistola semiautomatica in un luogo pubblico senza licenza a causa della scadenza della validità, non costituisce reato.

L'imputato, investigatore privato, era stato invitato dai Carabinieri a regolarizzare l'istanza per ottenere il rinnovo del porto d'armi scaduto. Il soggetto si era presentato in caserma con la pistola e l'aveva esibita al maresciallo, che gliela sequestrava a causa della scadenza della licenza ed effettuava la comunicazione della notizia di reato.

Per la Corte d'Appello le condotte illecite contestate non sono state integrate per difetto dell'elemento soggettivo.

Sentenza e istanza di oscuramento dei dati dell'imputato

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Il difensore dell'imputato nel ricorrere in Cassazione solleva diversi motivi di contestazione.

  1. Con il primo motivo evidenzia l'assenza della materialità della condotta e la carenza di offensività della stessa, visto che non si è realizzata nessuna lesione né situazione di pericolo per il bene tutelato dalla norma, evidenziando la sussistenza di un interesse concreto e attuale a non subire effetti pregiudizievoli a causa della sentenza in vista del rilascio della licenza del porto d'armi.
  2. Con il secondo si contesta il sequestro dell'arma. L'assenza di una marca da bollo sull'istanza di rinnovo avrebbe dovuto condurre tutt'al più a un ritiro cautelare.
  3. Con il terzo evidenzia che, come affermato già dalla Cassazione, il porto dell'arma dall'abitazione alla caserma non avrebbe integrato l'elemento materiale del reato.
  4. Con il quarto lamenta carenza di motivazione non rilevando ai fini dell'elemento materiale del reato il fatto che l'imputato fosse proprietario dell'arma.
  5. Con il quinto infine chiede l'annotazione sulla sentenza ai sensi dell'art. 52 del Dlgs n. 196/2013 "Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, l'interessato può chiedere per motivi legittimi, con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, (...) l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento."

Oscuramento se sono presenti dati sensibili o la vicenda è delicata

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La Corte di Cassazione rigetta il ricorso ritenendo i primi quattro motivi del ricorso infondati essendo irrilevante il fatto che l'imputato abbia portato con sé l'arma solo per un breve tratto di strada, essendo stato accertato pacificamente che la licenza era scaduta e non ancora rinnovata, essendo previsto per legge il sequestro e la successiva confisca quando i reati riguardano le armi ed essendo infine irrilevante la proprietà o meno dell'arma ai fini dell'integrazione del reato.

Merita soffermarsi però sulla richiesta di annotazione prevista dal Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al dlgs n. 196/2013 in quanto la Cassazione mette in evidenza il fatto che, cardine della richiesta prevista dalla norma sia la sussistenza di motivi legittimi, da intendersi come "motivi opportuni" per definire i quali occorre fare riferimento a quanto precisato dal Garante, ossia che "con specifico riferimento alla c.d. "procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali", si indicano possibili "motivi legittimi", in grado di fondare la relativa richiesta (ovvero di indurre l'Autorità giudiziaria a provvedere d'ufficio), nella "particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili)", ovvero nella "delicatezza della vicenda oggetto del giudizio". Ora, i "dati sensibili", sono individuati dalla legge che - all'art. 4, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 196/2003 - li definisce come "i dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale".

Tenendo conto di queste indicazioni, per la Cassazione, nel caso di specie, non sussistono motivi legittimi tali da poter richiedere l'oscuramento dei dati personali perché nessun dato sensibile viene indicato in sentenza e la questione oggetto di giudizio non si contraddistingue per la sua particolare delicatezza.


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