Data: 08/03/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Bonus bebè, incostituzionale il requisito del permesso di lungo soggiorno

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È incostituzionale il requisito del permesso di lungo soggiorno chiesto agli stranieri extracomunitari per accedere al bonus bebè e all'assegno di maternità. A stabilirlo è la Consulta con la sentenza n. 54/2021 (sotto allegata) ed emanata il 4 marzo 2022, dopo che lo scorso 11 gennaio si era riunita in Camera di consiglio per l'esame delle questioni sollevate dalla Corte di cassazione sulla disciplina del cosiddetto bonus bebe? (articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014 e successive proroghe) e dell'assegno di maternita? (articolo 74 del dlgs n. 151/2001).

La normativa è ritenuta lesiva da parte degli Ermellini del principio di eguaglianza e della tutela della maternita? perche? subordina la concessione dei due assegni agli stranieri extracomunitari alla titolarità del permesso per soggiornanti UE di lungo periodo.

La decisione è stata annunciata con un comunicato ufficiale dello stesso 4 marzo 2022, in cui si fa presente che la Corte, nella decisione ha sancito il principio secondo cui "La tutela della maternità e dell’infanzia (articolo 31 della Costituzione), non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli”.

Bonus bebè, diritti riconosciuti anche ai lavoratori Extra Ue

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In sintesi quindi, per la Consulta, anche i lavoratori che non provengono dall'Unione europea hanno diritto alle stesse tutele sociali dei lavoratori italiani, se in possesso di permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi che consente di lavorare. Alla decisione si arriva anche grazie alla pronuncia della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 settembre 2021 (C-350/20), che ha fornito risposte ai quesiti arrivati il 30 luglio 2020 dalla Consulta con l'ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 182.

La stessa Corte ha affermato l'incompatibilità della normativa italiana con l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale.

Altre incompatibilità poi sono quelle rilevate con l'articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, sulla parita? di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri. Direttiva che, per la Consulta "riveste un ruolo cruciale" in quanto "persegue l’obiettivo di garantire l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano regolarmente nel territorio degli Stati membri nella prospettiva di una politica di integrazione più incisiva e di ridurre la disparità di diritti tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi che lavorano regolarmente in uno Stato membro."

Bonus bebè, leso il diritto di uguaglianza

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Incostituzionali pertanto le norme che escludono dalla concessione dei due benefici in questione i paesi terzi ammessi a fini lavorativi e quelli ammessi a fini diversi dall'attivita? lavorativa ai quali e? consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi.

Il bonus bebé e l'assegno di maternità, del resto, precisa a un certo punto della motivazione la Consulta "si prefiggono di concorrere a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.)."

Condizionare il riconoscimento dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità alla titolarità di un permesso di soggiorno in corso di validità da almeno cinque anni e al possesso di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e alla disponibilità di un alloggio idoneo, contrasta proprio con lo stato di bisogno che condiziona l'erogazione delle due misure, istituendo di fatto "per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione."

La Corte costituzionale ha ritenuto quindi che le disposizioni censurate siano in contrasto con l'articolo 3 (sul diritto all'eguaglianza formale sostanziale) e l'articolo 31 (sul ruolo di protezione stabilito riguardo alla maternità) della Costituzione e con l'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.


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