Data: 03/02/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Troppi 250 euro al giorno per convertire il carcere in pena pecuniaria

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Davvero troppi 250 euro al giorno per poter convertire la pena detentiva in pecuniaria. In questo modo solo i ricchi possono evitare le carcerazioni brevi. Basti pensare che una pena detentiva breve di sei mesi, può essere evitata, pagando cifre non inferiori a 45.000 euro.

Incostituzionale quindi parzialmente l'articolo 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, perché viola i principi di eguaglianza e finalità rieducativa della pena. Questa in sintesi la decisione assunta dalla Corte Costituzionale con la decisione n. 28/2022 (sotto allegata).

Un coefficiente di conversione di 250 euro al giorno è incostituzionale

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I Gip di Taranto e di Ravenna sollevano questione di legittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2 della legge n. 689/1981 "nella parte in cui […] prevede che, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in un valore […] che non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p., pari a euro 250,00, anziché fare applicazione dei criteri di ragguaglio di cui all'art. 459, co. 1 bis, c.p.p., ovvero poter fare applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui all'art. 133 bis del codice penale", per contrasto con gli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.

Per il Gip il tasso di ragguaglio di 250 euro per un giorno di pena detentiva rende eccessivamente onerosa, per il condannato, la sostituzione delle pene detentive di breve durata prevista dall'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981.

La sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria per i remittenti è diventata in questo modo un privilegio per soli i condannati abbienti, attraverso l'introduzione nell'ordinamento di una irragionevole discriminazione, in contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza contemplata dall'art. 3, secondo comma, Costituzione e con la finalità rieducativa della pena sancita dall'art. 27, terzo comma della Carta Costituzionale.

L'espunzione poi del richiamo all'art. 133-bis cod. pen., che permette al giudice di diminuire la pena pecuniaria sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritiene la misura eccessivamente gravosa, preclude al giudicante di adeguare l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva alle condizioni economiche del reo, con lesione sempre degli artt. 3, secondo comma, e 27, terzo comma, Costituzione.

Illegittimi 250 al giorno: solo i ricchi possono evitare il carcere

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La Corte accoglie in parte le questioni sollevate dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, della legge n. 689/1981 nella parte in cui prevede che "il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare, anziché "il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 del codice penale."

L'istituto della sostituzione della pena detentiva è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1981 per evitare gli effetti negativi determinati dall'esecuzione delle pene detentive di breve durata. Esse infatti rendono difficile attuare un programma rieducativo efficace per il condannato. La sostituzione della pena inoltre si pone altri due importanti obiettivi:

  • evitare che la carcerazione, seppur breve, produca effetti desocializzanti;
  • esercitare un potere afflittivo in grado di dissuadere il reo a commettere nuovi reati.

La legge n. 94/2009 però ha innalzato in misura assai drastica il criterio di ragguaglio alla misura detentiva, stabilendo l'importo di 250 euro giornalieri, che va a discapito dell'imputato quando si deve convertire la pena detentiva in pecuniaria.

Le questioni di illegittimità costituzionale sollevate in relazione all'art. 53 sono quindi fondate. Come già precisato in una sentenza precedente "la pena pecuniaria naturalmente comporta l'inconveniente di una disuguale afflittività e al limite, dell'impossibilità di applicarla, in funzione delle diverse condizioni economiche dei soggetti condannati" con conseguente violazione dell'art 3 della Costituzione.

Una quota giornaliera di 250 euro è evidentemente superiore a quella che la gran parte delle persone che vivono oggi nel nostro Paese sarebbero in grado di pagare. Se mesi di reclusione potrebbero infatti essere evitati sborsando una cifra non inferiore ai 45.000 euro.

Detto questo la Consulta invoca l'intervento del legislatore perché "soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l'effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei."


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