Data: 06/03/2022 06:00:00 - Autore: Maria Ludovica de Beaumont

Divorzio e vincolo di affinità

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Il caso è sorto a seguito della nomina da parte del Sindaco di un Comune campano a componente della giunta comunale e vicesindaco del suo ex cognato, ovvero ex marito della sorella. La nomina appariva in contrasto con l'art. 64 del TUEL.

Si è posto dunque il problema del se, a seguito dell'introduzione della legge sul divorzio e delle modifiche sociali e normative che hanno attraversato gli ultimi decenni, il divorzio potesse essere considerato causa di cessazione del vincolo di affinità ex art. 78 c.c.

Gli effetti del divorzio sull'affinità, invero, sono stati affrontati più volte dalla dottrina e dalla giurisprudenza per quanto riguarda il divieto di nuove nozze o gli aspetti patrimoniali, ma mai per quanto riguarda l'impedimento pubblicistico.

La Corte di Appello di Napoli ha fornito un'interpretazione rigorosa del codice civile stabilendo la sussistenza del vincolo di affinità e, di conseguenza, sancendo l'incompatibilità degli affini nelle cariche pubbliche.

L'art. 64 del TUEL e la sua ratio

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L'art. 64, co. 4, del TUEL recita: "Il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, i parenti e affini entro il terzo grado, del sindaco o del presidente della giunta provinciale, non possono far parte della rispettiva giunta né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia".

La ratio per cui il divorzio non fa cessare il vincolo di affinità è proprio quello di evitare influenze e commistioni familiari. Ed in particolare poi per quanto riguarda l'accesso alla vita politica, il divieto è ancora più giustificato.

Infatti, anche se il matrimonio si è sciolto, i due ex cognati membri per lungo tempo della stessa famiglia potrebbero essere legati da comuni interessi. La presenza dell'interesse privato che lederebbe il principio di imparzialità, trasparenza e buon andamento della pubblica amministrazione è il principio ispiratore dell'art. 64 del TUEL. L'imparzialità infatti non verrebbe lesa dalla presenza o meno della comunità familiare ma dagli interessi che i due soggetti potrebbero avere in comune stante il precedente legame. Il tutto alla luce del principio di prevenzione degli abusi e dei reati che regola l'accesso alle cariche pubbliche ed ai pubblici uffici.

Il rapporto con l'art. 78 c.c.

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In particolare, per l'affinità è l'art. 78 c.c. a stabilire che il vincolo non cessa anche con la cessazione degli effetti civili del matrimonio. In virtù della "Riforma sul diritto di famiglia" può sostenersi che il vincolo di affinità non cessa nemmeno con la morte, ma solo con la declaratoria di nullità del matrimonio. È solo grazie al matrimonio nullo, infatti, che si estinguono i vincoli parentali.

Tale assunto è stato altresì stabilito dalla giurisprudenza di legittimità con la sentenza n. 2848/1978 che, se pure risalente, è l'unica che si è pronunciata sull'argomento ed ha considerato che nel caso di divorzio, la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, non determina la caducazione del vicolo di affinità fra un coniuge ed i parenti dell'altro coniuge, atteso che il venir meno di tale vincolo è previsto dall'alt. 78, comma 3, del cod. civ, solo nella diversa ipotesi di declaratoria di nullità del matrimonio, e cioè, sulla sua invalidità originaria e, correlativamente non fa venir meno l'obbligo alimentare tra affini, che resta disciplinato dal Part. 434 cod. civ. (cfr. Cass. n. 2848/1978).

Invero, secondo l'art. 78 c.c. l'unica causa di cessazione del vincolo è l'annullamento del matrimonio, che ha valore ex tunc. Nemmeno la morte estingue il vincolo, evento morte che ha effetto ex nunc. Dunque, anche ragionando per analogia, il divorzio ha comunque effetto ex nunc e, dunque, sarebbe paragonabile all'evento morte.

Il rapporto tra il codice civile e le norme pubblicistiche

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Diverse sono le norme privatistiche e pubblicistiche che citano gli affini, i loro impedimenti ed i loro divieti.

Anzitutto l'art. 78 c.c. "L'affinita' non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio e' dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4".

L'art. 87 n. 4 c.c. " gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinita' deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale e' stata pronunziata la cessazione degli effetti civili".

I citati articoli tutt'ora vigenti senza possibilità di equivoco stabiliscono che l'affinità non cessa con la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Dal punto di vista pubblicistico, l'art. 68 co. 4 del TUEL "Il coniuge, gli ascendenti, i discendenti, i parenti e affini entro il terzo grado, del sindaco o del presidente della giunta provinciale, non possono far parte della rispettiva giunta né essere nominati rappresentanti del comune e della provincia"

L'art. 78 TUEL laddove impone agli amministratori di astenersi laddove le decisioni riguardino parenti o affini "Il comportamento degli amministratori, nell'esercizio delle proprie funzioni, deve essere improntato all'imparzialità e al principio di buona amministrazione, nel pieno rispetto della distinzione tra le funzioni, competenze e responsabilità degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, e quelle proprie dei dirigenti delle rispettive amministrazioni. 2. Gli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado". In particolare l'ANAC ha ritenuto di dover applicare un'interpretazione estensiva, sebbene la norma si riferisca agli amministratori degli enti locali, l'art. 78, comma 3 potrebbe riguardare anche i consiglieri municipali e i membri delle giunte municipali; secondo l'Autorità, tali componenti sarebbero rappresentati anche dagli appartenenti agli organi che concorrono a formare la struttura del municipio, quale organo di decentramento

Il d.p.r. n. 62 del 16.04.2013 recante le norme sul conflitto di interesse all'art. 7 dove stabilisce l'obbligo di astensione per decisioni che coinvolgano parenti o affini, l'art. 18, comma 1, lett. b) e c) della l. n. 240 del 2010. La lett. b) individua una causa di preclusione, alla partecipazione ai procedimenti di chiamata di professori e ricercatori e di conferimenti di assegni di ricerca e contratti a qualsiasi titolo erogati dall'ateneo, nella sussistenza di un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore della stessa struttura.

Lo stesso Codice degli Appalti pubblici all'art. 42 prevede il divieto di partecipazione alle gare dove sia amministratore un parente o un affine.

Ebbene, se il legislatore si è premurato di inserire queste e tante altre norme a tutela della pubblica imparzialità non si può ritenere che, a seguito del divorzio il vincolo cessi e cessi ogni interesse. Perché non bisogna confondere gli effetti dell'affinità sugli impedimenti matrimoniali e sull'esercizio della funzione pubblica.

Gli impedimenti matrimoniali sono stati creati per evitare commistione tra consanguinei, ed è dunque ragionevole ritenere che due ex cognati, senza legami di sangue, possano contrarre matrimonio. Ma i divieti e limiti posti nelle leggi per l'esercizio del pubblico potere e per la tutela del pubblico interesse individuano i rapporti di affinità non per evitare commistioni di sangue ma per evitare la coltivazione dell'interesse privato da parte dell'amministratore pubblico.

Mentre è legittimo acconsentire al matrimonio tra ex cognati, non è legittimo acconsentire che affini portino avanti gli interessi che potrebbero avere in comune, anche a seguito della cessazione del vincolo parentale.

La decisione della Corte

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La Corte territoriale ha anzitutto rilevato l'importanza dell'interpretazione letterale dell'art. 78 c.c. che specifica "l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole dal coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvo gli effetti di cui all'art. 87 n. 4 c.c.".

Il Giudice ha ritenuto che se da una parte è vero che la legge sul divorzio è successiva al codice civile, dall'altra è innegabile che dopo la sua introduzione, il legislatore ha ritenuto di non modificare il codice civile.

A maggior ragione se si considera che secondo la norma invocata l'affinità non cessa nemmeno con la morte, equiparandone gli effetti ex nunc con il divorzio.

Aldilà del dato letterale la Corte di Appello ha considerato la logica del legislatore. Ovvero dal 1970 ad oggi non è mai stata sentita l'esigenza di modificare l'art. 78 c.c., nonostante i numerosi interventi di attualizzazione della normativa del diritto di famiglia.

Inoltre, spiega la Corte, l'interpretazione volta a far cessare il vincolo di affinità con il divorzio, ma non con la morte del coniuge, risulterebbe irragionevole e foriera di una disciplina difforme in ipotesi simili e assolutamente discriminatoria, se si pensa che la morte ha sicuramente effetti più irreversibili rispetto al divorzio.


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