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Data: 15/03/2022 06:30:00 - Autore: Maria Carmela Callà
Gender gap[Torna su] Il gender gap esiste anche in ambito sportivo o soprattutto in questo ambito, malgrado l'Unione Europea è intervenuta ormai da 14 anni chiedendo ai suoi stati membri di eliminare la distinzione tra pratiche sportive maschili e femminili. Nello specifico la Risoluzione 5 giugno 2003 del Parlamento europeo: - all’art 27 sollecita gli Stati membri e il movimento sportivo a sopprimere la distinzione tra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello;
- all’art.28 chiede alle federazioni nazionali e alle relative autorità di tutela di assicurare alle donne e agli uomini parità di accesso allo statuto di atleta di alto livello, garantendo gli stessi diritti in termini di reddito, di condizioni di supporto e di allenamento, di assistenza medica, di accesso alle competizioni, di protezione sociale e di formazione professionale nonché di reinserimento sociale attivo al termine delle loro carriere sportive. Invece in Italia ancora, se una sportiva rimane incinta, il contratto può essere automaticamente rescisso, nonostante ci sia una delibera del CONI al riguardo. Infatti, l’art. 14 dei "Principi fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate" dice che "Gli statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica. Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del tesseramento, nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata". Solo nel 2021 vi è stato un passo verso il cambiamento epocale nello sport femminile con un emendamento inserito nella legge del Bilancio dalla Commissione Bilancio del Senato, che ha, infatti, riconosciuto la possibilità per le atlete donne di diventare professioniste anche sul fronte contrattuale. Ciò comporterà finalmente un’equiparazione ai colleghi uomini e il riconoscimento delle tutele e garanzie rispetto alle prestazioni lavorative sportive, così come previsto nella legge 91 del 1981 per il professionismo sportivo maschile. Quest’ultima norma, tuttavia, non specifica quali siano i rapporti di lavoro sportivo professionistico, demandando tale aspetto al sistema sportivo. La Riforma[Torna su] Per quanto laboriosa, lunga e tardiva, la riforma del professionismo femminile era necessaria, ma, prima ancora delle differenze economiche, andavano abbattute le barriere istituzionali e culturali, che rimangono tali, nonostante lo sport femminile sia un movimento forte, un’industria in crescita, un universo in espansione.Anche se questo passaggio è dovuto, in realtà, alla nuova visibilità che le atlete hanno avuto nei social, da sempre un fertilizzante potentissimo e malgrado il mercato delle sponsorizzazioni, che nello sport maschile muove cifre astronomiche, nello sport femminile è ancora allo stato embrionale In molti Paesi lo sport femminile manca di una base d’appoggio legale e istituzionale su cui crescere, per evolversi in qualcosa di più strutturato. Il caso italiano è esemplare: anche ad altissimo livello non c’è professionismo e le atlete sono sempre inquadrate come dilettanti. La qualifica di lavoratori è attribuita solo agli sportivi che abbiano assunto la qualifica di professionisti, che fino al 2021 è limitata solo ai settori maschili di pochi sport. La nuova riforma invece conferisce la qualificazione di “lavoratore sportivo” a tutti coloro che, indipendentemente dal settore dilettantistico o professionistico, e senza alcuna distinzione di genere, esercitino l’attività sportiva remunerata, tranne che nel caso di prestazioni sportive meramente amatoriali. Novità importante è che per la prima volta nell’ordinamento italiano, vi sarà il riconoscimento giuridico del lavoro sportivo femminile, con assegnazione delle relative garanzie legislative e contrattuali lavoristiche previste in favore delle lavoratrici. Dal 1° gennaio 2022, inoltre, la qualificazione di una disciplina sportiva come professionistica dovrà operare senza distinzione di genere; tale previsione è accompagnata da misure, anche economiche, di incentivo del passaggio al professionismo sportivo di campionati femminili, che dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2022. Vengono, altresì, introdotte specifiche disposizioni a supporto delle donne nello sport e di promozione delle pari opportunità e della parità di genere nelle prestazioni di lavoro sportivo, tanto professionistico, quanto dilettantistico, nonché norme di prevenzione e di contrasto delle molestie e della violenza di genere nello sport. Questa riforma segna un passo da gigante, che fa ben sperare per il futuro delle altre discipline. Il professionismo permette di avere le giuste tutele alle atlete e di far diventare lo sport il loro lavoro e quindi di dare il massimo senza dover fare altro. In questo modo migliorano le prestazioni, da cui dipende tutto. La visibilità di uno sport dipende sempre dal rendimento: in qualsiasi disciplina se il livello è basso difficilmente attira pubblico. Ma per alzare sistematicamente il livello c’è bisogno di investimenti, di programmazione e di quella costanza che si garantisce con il professionismo. La crescita di un movimento sportivo passa anche dalle istituzioni e dall’impegno delle federazioni nazionali e internazionali che devono accettare di riformarsi e rimodellarsi per colmare il gender gap. Un esempio evidente e geograficamente vicino a noi è il lavoro della Francia con il calcio femminile: a partire dal 2000, seguendo le indicazioni della Fifa e della Uefa, la federazione francese e le istituzioni hanno investito in programmi di sviluppo e percorsi di crescita per tutte le età, e oggi hanno uno dei movimenti più forti d’Europa. Il ruolo della FIFA e della UEFA[Torna su] Per arrivare a questi risultati sia la Fifa sia la UEFA hanno spinto su manifestazioni internazionali, quali i mondiali e gli europei, dimostrando che tali eventi sono stati seguiti con interesse dal pubblico. Il primo passo fatto dalla FIGC è stato quello di imporre ai club professionistici maschili di dotarsi di una sezione femminile e ciò ha portato investimenti, professionalità e qualifiche che non rientrano nel mondo dei dilettanti. In secondo luogo, la FIGC ha assegnato alla Divisione Calcio Femminile la Serie A e Serie B femminili. Tale mossa istituzionale sembrava poter essere l’anticamera del professionismo, ma non è stata sufficiente a far introdurre il professionismo nello sport femminile.La Riforma con emendamento del 2019 non ancora attuato[Torna su] Nel dicembre 2019, la politica, in nome delle pari opportunità, ha approvato l’emendamento alla Legge di Bilancio in virtù del quale gli oneri previdenziali per gli stipendi delle atlete professioniste che normalmente sarebbero ricaduti in gran parte sulle società sportive sono a carico dello Stato, nel limite di 8 mila euro all’anno per individuo, per i prossimi tre anni (2020, 2021 e 2022). Grazie al predetto emendamento è stata aperta la strada verso il professionismo femminile nello sport. La FIGC, infatti, nella riunione del Consiglio del 25 giugno 2020 ha approvato di iniziare un progetto graduale volto a portare il calcio femminile nella stagione 2022/2023 ad essere riconosciuto quale professionistico.Il Governo, a seguito del decreto delegato di cui alla L. 86/2019, ha ritenuto maturi i tempi per revisionare tutta la “governance” e la disciplina dello sport italiano, fino ad oggi disciplinata dal D.Lgs. 242/1999, decreto Melandri relativo alla parte istituzionale dello sport, dalla L. 91/1981 relativo al professionismo sportivo e dall’articolo 90 L. 289/2002 relativo al dilettantismo. In data 13/7/2020 il Ministro Spadafora presentava la bozza del Testo Unico dello Sport, ove per la prima volta, a livello normativo, viene riconosciuto il valore sociale dello sport e viene superata la disparità tra sessi ad oggi ancora presente nello sport professionistico, dando pari diritti e dignità al professionismo sportivo femminile. Gli eventi che si sono susseguiti negli scorsi anni hanno aiutato ad arrivare all’ormai improcrastinabile introduzione nella bozza del Testo Unico dello Sport del superamento delle disparità di sesso in tema sportivo, dando anche alle donne tutte le tutele ad oggi riservate agli uomini a seguito della legge 91/1981, quali ad esempio il trattamento sanitario, previdenziale e pensionistico. Conclusioni[Torna su] Tuttavia il potenziale dello sport femminile è tutto ancora da valorizzare, è vero che il decreto legislativo del 28 febbraio 2021 n. 36 segna una svolta verso la parità di genere a tutti i livelli e in ogni struttura, favorendo l'inserimento delle donne nei ruoli di gestione e di responsabilità delle organizzazioni sportive e al proprio interno. Ma lo slittamento al 2024 dell’entrata in vigore della riforma è stato interpretato come una battuta d’arresto, invece, a livello sociale lo sport “giocato” è diventato una via da intraprendere per l’empowerment femminile. Lo sport infatti è portavoce di una serie di principi e di insegnamenti, come la fiducia in sé stessi e il sacrificio per raggiungere un obiettivo, che possono essere fattori di successo anche in campo lavorativo. Lo sport può essere un alleato affinché le donne prendano sempre più coscienza delle proprie potenzialità e capacità e che, raggiunta questa consapevolezza, possano abbattere ogni barriera. Le giovani donne oggi ritrovano nelle atlete modelli di femminilità, grinta, carattere ed energia. Esempi positivi da cui lasciarsi ispirare e motivare e che le portino a mettersi in gioco in qualsiasi campo desiderino ed a far sì che il divario di genere possa sempre più assottigliarsi.
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