Data: 02/04/2022 06:30:00 - Autore: Fabrizio Petillo

Buoni fruttiferi serie Q/P

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Con due recenti pronunce[1], la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha assunto una posizione circa la questione degli interessi che Poste Italiane s.p.a. è tenuta a corrispondere, in relazione all’ultimo decennio, per i buoni fruttiferi serie “Q/P”.
Tali pronunce hanno delineato, per adesso, un punto fermo circa una questione che ha visto divisa la giurisprudenza di merito e, parte di essa, porsi in contrasto con quanto sostenuto, invece graniticamente, dall’Arbitro Bancario Finanziario.
Una premessa risulta necessaria per comprendere cosa ha determinato il dubbio circa la reale entità dell’obbligazione assunta da Poste: secondo quanto previsto dal D.M. datato 13.6.1986 l’intermediario avrebbe potuto emettere buoni fruttiferi della nuova serie “Q” anche utilizzando i moduli della serie precedente “P”. Tale facoltà è stata subordinata, dalla normativa ministeriale, all’espletamento di alcuni adempimenti e, in particolare, all’apposizione di due timbri, uno per ogni facciata del buono. Sul fronte avrebbe dovuto essere apposto un timbro con la dicitura serie “Q/P” e, sul retro, un timbro recante i tassi di interesse relativi alla nuova serie (i quali, lo si precisa, meno vantaggiosi di quelli della precedente serie “P”).
Ai sensi dell’art. 5 del D.M., i buoni emessi con i moduli della precedente serie – con l’apposizione dei due timbri – devono essere considerati “a tutti gli effetti titoli della nuova serie ordinaria [la serie “Q”]”.
Poste però ha apposto, sui buoni emessi utilizzando i moduli della serie precedente, un timbro considerato da molti “incompleto” e, in particolare, relativo agli interessi da corrispondere per il primo ed il secondo decennio, nulla stabilendo in relazione agli ultimi dieci anni. Circa tale ultimo periodo, quindi, gli interessi da corrispondere sono esplicitamente indicati solo dalla tabella già stampigliata sul retro e relativa alla serie precedente “P”.

La tesi dell’A.B.F. e della giurisprudenza di merito maggioritaria

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Secondo la quasi totalità dei Collegi d’Italia dell’A.B.F.[2] e quella che sembra la parte maggioritaria della giurisprudenza di merito[3], Poste in relazione ai buoni fruttiferi serie “Q/P” ha l’obbligo contrattuale di corrispondere quanto previsto dalle tabelle stampate sul retro dei buoni e, per l’ultimo decennio, la cifra maggiore stabilita dalla tabella già stampigliata sul modulo e relativa alla precedente serie “P”, che non è mai stata sostituita da una nuova stampa.
Tale prima tesi si fonda su quanto statuito dalla Suprema Corte in una pronuncia a Sezioni Unite del 2007[4] circa la necessità di tutelare l’affidamento incolpevole dei risparmiatori che, sottoscrivendo i buoni (qualificati come documenti di legittimazione dalla Corte), si sono vincolati alle condizioni poste sugli stessi. Le Sezioni Unite hanno poi aggiunto che, se è vero che in virtù della normativa applicabile ai buoni in esame Poste avrebbe potuto modificare il tasso di interessi da corrispondere con efficacia anche in relazione ai buoni precedentemente emessi (ai sensi del D.P.R. n. 156/1973, cd. “Codice Postale”), altrettanto vero è che il risparmiatore deve essere considerato vincolato a quanto individuabile sui buoni se sugli stessi sono stampigliati sin dall’inizio - per un fatto imputabile all’intermediario - tassi di interesse diversi da quelli previsti dalla normativa vigente.

La tesi della giurisprudenza di merito minoritaria

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Alla luce della tesi che sembra minoritaria[5] nell’ambito della giurisprudenza di merito, anche in virtù delle ultime pronunce adottate, non può essere configurato nella fattispecie relativa ai buoni della serie “Q/P” alcun tipo di affidamento da tutelare in capo al risparmiatore.
Tale affermazione risulta fondata, tra l’altro, sul fatto che il principio espresso con la sentenza delle SS.UU. del 2007 sopracitata si riferisce ad una ipotesi diversa da quella in esame (buoni fruttiferi emessi con moduli precedenti senza l’aggiunta di alcun timbro e non con l’apposizione di timbri, a tutto concedere, incompleti) e, soprattutto, sulla considerazione che il risparmiatore, pienamente consapevole della tipologia di buono fruttifero in suo possesso, non avrebbe potuto maturare alcun dubbio sull’entità degli interessi da corrispondere i quali non potevano non essere quelli di cui al D.M. istitutivo dei buoni della nuova serie “Q”, come stabilito anche dal Legislatore che, come sopra visto, ha espressamente equiparato i buoni con il timbro “Q/P” ai buoni di nuova emissione della serie “Q”.
Risulta quindi necessario, secondo tale tesi, determinare il contenuto del rapporto contrattuale tramite il meccanismo “sostitutivo” di cui all’art. 1339 c.c., dovendo essere qualificate come “imperative” le norme del D.M. e i tassi di interesse con esso stabiliti. Quest’ultimi, quindi, in virtù di tale disposizione codicistica, diventano parte del contenuto del rapporto contrattuale instaurato tra Poste italiane s.p.a. e il risparmiatore.

Le pronunce della Corte di Cassazione 2022

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Con le due ordinanze sopracitate, la Corte di Cassazione ha assunto una posizione per dirimere il conflitto interpretativo creatosi nell’ambito della giurisprudenza di merito.
Secondo la Corte – che sembra aver richiamato argomenti posti a base della tesi minoritaria - non può essere configurata alcuna forma di affidamento incolpevole del risparmiatore.
Il Giudice della nomofilachia, pur mantenendo fermo il principio garantista enunciato dalle Sezioni Unite nel 2007, ha affermato che nel caso dei buoni serie “Q/P” il risparmiatore era consapevole della tipologia di buono sottoscritto, essendo stati apposti tutti i timbri previsti, e aveva modo di conoscere gli interessi relativi all’ultimo decennio semplicemente consultando le tabelle allegate al D.M. del 1986.
Le Sezioni Unite nel 2007, invece, hanno preso in esame un buono sul quale nessuno dei timbri previsto dalla normativa vigente era stato apposto.
Sempre secondo la Corte, poi, nell’ipotesi dei buoni della serie “Q/P” deve considerarsi applicabile il meccanismo sopracitato di “sostituzione” previsto dall’art. 1339 c.c.
La Corte di Cassazione ha, altresì, evidenziato che l’apposizione di un timbro relativo agli interessi maturati per i soli primi venti anni non può configurare una dichiarazione di volontà che, in virtù del principio di autoresponsabilità, possa far considerare vincolata Poste. Ciò anche perché si tratta di una evidente “imperfezione dell’operazione materiale di apposizione del timbro” dalla quale il risparmiatore non può pretestuosamente ricavare alcuna univoca dichiarazione fatta discendere “dalla forzata giustapposizione, dal collage, di due clausole che stanno invece ognuna per proprio conto: l’una, apposta a timbro; concernente i buoni della serie “q/p”, l’altra, preesistente, quelli della serie “p””.
Infine la Corte ha richiamato l’art. 1342 c.c. in tema di contratti conclusi con moduli, affermando che deve prevalere quanto indicato sui moduli con i timbri apposti, trattandosi di clausole aggiunte al modulo incompatibili con lo stesso e, quindi, destinate a prevalere.

Considerazioni conclusive

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Le due ordinanze, più volte citate, della Suprema Corte determineranno verosimilmente una decisa battuta di arresto in relazione alle numerose domande dei risparmiatori che, sempre più di frequente, si stavano rivolgendo all’Autorità Giudiziaria, per ottenere quanto spesso già riconosciutogli dalle decisioni dell’A.B.F. non ottemperate spontaneamente da Poste Italiane s.p.a.
Delle articolate argomentazioni esposte dalla Corte sembra rilevante quella in virtù della quale la situazione relativa ai buoni fruttiferi postali di serie “Q/P” deve essere considerata sensibilmente diversa da quella esaminata dalle Sezioni Unite nel 2007.
Se è vero però che, nel caso sottoposto all’attenzione dei Supremi Giudici nel lontano 2007 non vi era alcun elemento sul buono per comprendere che lo stesso facesse parte di una serie diversa, è anche vero che sui buoni della serie “Q/P” l’“informazione” relativa agli interessi è stata fornita comunque in maniera indubbiamente incompleta o, quantomeno, fuorviante.
Non si tratta forse solo di un timbro che, semplicemente, non copre completamente quello stampigliato sul modulo della serie precedente, ma di un timbro incompleto che nulla dice circa il tasso di interessi da corrispondere in relazione all’ultimo decennio.

Avv. Fabrizio Petillo
- Foro di Milano –
340 9814884
petillofabrizio@gmail.com

[1] Cass. ord., sez. I civ., n. 4384/2022 e Cass. ord., sez. I civ., n. 4751/2022.

[2] A.B.F. – Collegio di Napoli, dec. n. 6142/2018 e dec. n. 14955/2020; A.B.F. – Collegio di Roma, dec. n. 8791/2017; A.B.F. - Coll. di Coord. n. 5674/2013. Si veda poi, soprattutto, A.B.F. - Coll. di Coord., dec. n. 6142/2020 la quale, tra l’altro, ha richiamato il principio statuito dalle SS.UU. della Corte di Cassazione del 2007. Ancor più di recente, A.B.F. – Collegio di Bari, dec. n. 21790/2021 e A.B.F. – Collegio di Milano, dec. n. 21614/2021.

[3] Corte di Appello di Torino, sez. I civ., sent. datata 15.2.2021; Corte di Appello di Torino, sent. n. 1799/2019; Corte d’Appello di Brescia, sez. I civ., sent. datata 7.10.2021; Trib. di Milano, sez. VI civ., sent. n. 91/2020; Trib. di Genova, ord. datata 16.4.2021; Trib. di Brescia, sez. I civ., ord. datata 5.7.2017; Trib. di Ivrea, ord. datata 8.7.2021; Trib. di Torino, ord. datata 24.4.2019; Trib. di Parma, ord. datata 2.5.2018. In relazione ad una fattispecie simile a quella in esame, nella quale sono stati ribaditi i medesimi principi espressi dalle SS.UU. del 2007, si veda Trib. di Roma, sez. XVI civ., sent. datata 21.11.2019; Trib. di Benevento, sez. II civ., sent. datata 10.1.2019 e sent. datata 22.1.2008.

[4] Cass., SS.UU., sent. n. 13979/2007. Il principio generale espresso dalla SS.UU. nel 2007 è stato successivamente richiamato dalla Suprema Corte, ad esempio, con Cass., sez. I civ., ord. n. 4761/2018 e Cass., sez. I civ., ord. n. 19002/2017.

[5] Tra le varie si vedano Trib. di Milano, sez. VI civ., sent. n. 10105/2019; Trib. di Bergamo, sez. III civ., sent. n. 1396/2019; Trib. di Monza, I sez. civ., ord. (n.r.g. 3975/2017); Corte di Appello di Milano, I sez. civ., sent. n. 5025/2019; Corte di Appello di Milano, sez. I civ., sent. n. 435/2020.


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