Data: 06/04/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Assegno di divorzio

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Alla ex moglie, anche se lavora e ha un suo reddito, spetta l'assegno di divorzio se il marito ha il doppio delle entrate e non prova che deve mantenere la figlia avuta da un'altra relazione. A rilevare, sottolinea la Cassazione sono anche i vent'anni di matrimonio, mentre non sono applicabili i criteri della sentenza n. 11504/2017 perché superata. Questo in sintesi quanto sancito dalla Cassazione n. 10226/2022 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Pronunciato lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio la Corte di Appello riconosce alla ex moglie l'assegno divorzile di 250 euro alla luce della diversità reddituale tra i coniugi (il reddito del marito è il doppio rispetto a quello della moglie) e della durata ventennale del matrimonio. Il marito non ha provato l'onere di dover mantenere la figlia nata da una relazione successiva e neppure il costo del canone di locazione che afferma di dover sostenere. Irrilevante quindi che la ex moglie abiti nella casa di famiglia in comproprietà.

Alla moglie autosufficiente spetta l'assegno?

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L'uomo nel ricorrere in Cassazione solleva i seguenti motivi di doglianza:

  • motivazione illogica e contraddittoria perché la Corte ha tenuto conto solo della situazione economica delle parti, da valutare in sede di definizione del quantum. La Corte inoltre non ha applicato i principi della Cassazione n. 11504/2017 e non ha considerato che la moglie è autosufficiente economicamente. Valorizzati erroneamente il tenore di vita e la durata del matrimonio, anche se la convivenza è durata solo 9 anni;
  • motivazione contraddittoria e insufficiente perché la corte ha riconosciuto alla moglie un assegno di 250 euro nonostante la contrazione del reddito dell'obbligato in virtù del mantenimento dei suoi due figli, della terza nata da una relazione successiva e del canone di locazione dell'abitazione in cui vive.

Durata del matrimonio e contrazione reddituale

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La Cassazione, dopo aver esaminato congiuntamente i due motivi di ricorso, lo respinge perché inammissibile.

Il ricorrente nel ricorso, richiamando la sentenza n. 11504/2014 fa riferimento a un orientamento giurisprudenziale superato. La censura inoltre sollecita solo un nuovo riesame dei fatti visto che il percorso motivazionale della Corte di Appello è comprensibile e supportato da elementi probatori.

La motivazione inoltre, come evidenziato nel ricorso, non può essere contemporaneamente mancante e illogica. In sede di Cassazione si può censurare la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c ritenendo che il giudice abbia valutato male le prove istruttorie, ci si può lamentare di una decisione resa su prove non dedotte o disposte d'ufficio al di fuori dei limiti di legge oppure si può contestare che il giudice abbia considerato prove legali degli elementi che invece avrebbe dovuto valutare. Nessuna di queste critiche però è stata sollevata nel ricorso.

Anche in questo caso quindi il soggetto obbligato non fa mirare a una rivisitazione delle prove e del merito, a cui non si può procedere in sede di legittimità.

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