Data: 11/04/2022 09:00:00 - Autore: Francesco Salvi

I benefici penitenziari

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L'esecuzione penale e il trattamento sanzionatorio che dovranno essere riservati al condannato sono improntati al percorso rieducativo e al reinserimento di quest'ultimo all'interno della società civile. Tale assunto lo si evince da quella norma, sempre ricorrente – contenuta nell'art. 27 co. 3 Cost. – che mira ad evidenziare la funzione principale, o quantomeno prevalente, cui dovrà tendere la pena: la rieducazione.
La partecipazione al processo riabilitativo del condannato, secondo il pacifico orientamento legislativo degli ultimi anni[1], può avere una reale e concreta riuscita soltanto ove si preveda, all'interno del sistema dell'esecuzione penale, un meccanismo volto ad offrire al condannato la percezione che quel trattamento sanzionatorio applicato nei sui confronti fosse innanzitutto proporzionato al crimine da quest'ultimo commesso e quindi alla pena irrogata, e che stesse concretamente dando i suoi frutti in termini di rieducazione.

Per questo motivo si è cercato di offrire al condannato un maggiore spazio di contatto con l'esterno, attraverso l'introduzione di meccanismi alternativi all'esecuzione penale intramuraria che meglio si adattano al processo di riabilitazione del criminale. In una logica di rieducazione del reo (o almeno di tendenza rieducativa), non avrebbe alcun senso tenere il condannato-detenuto gelosamente custodito dentro le quattro mura dell'istituto sino all'avvenuta totale espiazione della pena[2], poiché in tal caso potrebbero innestarsi delle tendenze ritorsive nel condannato, il quale una volta libero sarà, ancora una volta, incline a delinquere.

Il trattamento sanzionatorio che dovrà essere applicato al condannato dovrà, dunque, farsi carico di tale obiettivo, volto a consentire un progressivo maggior contatto con l'esterno, tenendo specificamente conto della concreta e positiva risposta del condannato al trattamento offertogli. L'obiettivo è costruire una "progressione trattamentale"[3] che tenga conto della condotta del soggetto, il quale, a seconda del livello di responsabilità che dimostri di avere, potrà accedere ad una serie di benefici posti all'interno di una scala graduale, costruita in termini di maggiore premialità.

Il primo gradino di tale scala "ascendente" è occupato dai cd. permessi-premio disciplinati dall'art. 30-ter o.p., la cui concessione è subordinata ad un requisito minimo di «regolare condotta».

Nell'escalation trattamentale, il livello di premialità si innalza con la concessione della cd. liberazione anticipata prevista dall'art. 54 o.p., la quale richiede che il condannato abbia dato prova di «partecipazione all'opera di rieducazione».

L'art. 50 o.p., in termini di maggiore virtuosità, prevede un ulteriore beneficio, la cui applicazione richiede il soddisfacimento di una condizione di merito più complessa consistente, oltre che nel decorso di un determinato periodo espiativo, – che varia in relazione alla tipologia dei condannati circa la pena loro irrogata – altresì nella dimostrazione da parte del condannato dei progressi realizzati nel corso del trattamento penitenziario: in questa ipotesi parleremo di semilibertà, la quale consente al condannato un primo concreto allentamento del rapporto tra l'esecuzione della pena e il carcere.

L'apice di questo "vortice virtuoso" è occupato dalla liberazione condizionale prevista dall'art. 176 c.p., la cui concessione richiede la sussistenza di un requisito comportamentale di massima significatività, ovverosia il «sicuro ravvedimento». In questa ipotesi il vincolo del condannato al carcere non soltanto si attenua, ma viene del tutto meno, in quanto il soggetto viene rilasciato, e tale regime liberatorio si considererà definitivo al verificarsi di ulteriori condizioni che determinano la estinzione della pena stessa.

Cosa sono i permessi premio (art. 30-ter o.p.)

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Il permesso-premio costituisce il primo beneficio[4] concedibile al condannato, e rappresenta lo strumento attraverso il quale può consentirsi a quest'ultimo di trascorrere un breve periodo di tempo nell'ambiente libero, con determinate cautele e con l'obbligo di rientro spontaneo nell'istituto penitenziario alla scadenza del termine previsto dalla legge.

Vedi anche la guida I permessi premio

La natura del permesso-premio

La dottrina, interrogandosi sulla natura dell'istituto in esame, ha saputo offrire diversificate teorizzazioni, talvolta valorizzando la ratio premiale della concessione, quale ricompensa per la «condotta regolare» del detenuto; talaltra evidenziandone l'essenziale funzione special-preventiva e la sua finalità di rieducazione del condannato, ponendo quest'ultimo dinanzi alle sue responsabilità e dinanzi al bivio tra l'abbandono delle vecchie scelte criminose o la loro riaffermazione; diversamente, ancora altra parte della dottrina, ritiene non sussistente la natura premiale del permesso, osservando come tale istituto in realtà corrisponda ad uno strumento per ottenere la regolare condotta e il corretto comportamento del detenuto[5].

La disciplina giuridica e i presupposti

L'istituto in esame è disciplinato dall'art. 30-ter o.p., il quale offre una panoramica dettagliata sulle condizioni, oggettive e soggettive, di applicabilità, individuando condizioni e possibili soggetti beneficiari.

Nel suo primo comma, la norma individua innanzitutto quale parametro fondamentale ai fini della concessione del permesso, la «regolare condotta» e l'accertamento negativo circa la sussistenza della pericolosità sociale del condannato. I criteri che permettono al magistrato di sorveglianza di valutare la presenza di una regolare condotta, sono individuati dal comma ottavo dell'art. 30-ter O.P., ove si richiede che i condannati, durante il periodo di detenzione, abbiano «manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali».

Altra condizione necessaria contemplata dal primo comma della disposizione in esame è l'assenza di pericolosità sociale in capo al condannato. Sul tema è intervenuta a più riprese la Suprema Corte di Cassazione, in maniera precipua sulla valutazione che il magistrato di sorveglianza dovrà compiere al fine di scongiurare la presenza di un condannato socialmente pericoloso, nei confronti del quale tale beneficio sarebbe da escludere. La Corte, di recente, ha statuito che l'accertamento circa l'assenza della pericolosità sociale del condannato, quale condizione necessaria per la concessione del permesso premio ex art. 30-ter O.P., dovrà effettuarsi anche tenendo conto della particolare gravità del reato commesso e dell'esistenza di un atteggiamento critico del condannato nei confronti del suo pregresso comportamento criminoso. In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità, «un atteggiamento di chiusura verso i reati commessi e la negazione di ogni responsabilità , giungendo a ipotizzare un disegno persecutorio, ordito nei suoi confronti, evidenziano la non ricorrenza di elementi positivi di un ravvedimento»[6].

Rilevante risulta essere la durata del permesso concesso al condannato, la quale non può superare i quindici giorni per ogni periodo di beneficio concesso, e la cui durata complessiva non può superare i quarantacinque giorni per ogni anno di espiazione.

L'ambito soggettivo

Venendo all'ambito soggettivo, il quarto comma dell'art. 30-ter O.P. individua le tipologie di condannati nei cui confronti è applicabile l'istituto, prevedendo specifici limiti edittali in presenza dei quali è richiesta l'espiazione di un certo quantitativo di pena ai fini della concessione del beneficio. Nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a quattro anni anche se congiunta all'arresto, ad esempio, il permesso premio è concedibile indipendentemente dall'espiazione di una porzione della pena. Mentre nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a quattro anni è richiesta l'espiazione di almeno un quarto della pena, estesa alla metà di quest'ultima ove la pena sia stata irrogata per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis o.p.
La norma, in ultimo, prende in considerazione il condannato alla pena perpetua, il quale potrà accedere al beneficio premiale solo dopo un'espiazione di pena di dieci anni.

Da sottolineare è l'influenza, sull'istituto in esame, di un ulteriore beneficio penitenziario previsto dalla L. 354/75, ovvero sia la liberazione anticipata, in quanto, ad accelerare il raggiungimento di un quarto, la metà ovvero dei dieci anni di espiazione, concorreranno anche le diminuzioni di pena previste in applicazione dell'istituto ex art. 54 O.P[7].

Al quinto comma dell'art. 30-ter O.P. viene analizzata l'ipotesi in cui il soggetto avesse, durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive, riportato condanna ovvero che, durante il periodo di espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, fossero imputati per delitto doloso. Nei confronti del soggetto che si trovi in una di tali circostanze, è previsto che la concessione del permesso premio sia subordinata al decorso di due anni dalla commissione del fatto. Tuttavia, secondo parte della dottrina, tale disposizione sarebbe troppo punitiva, in quanto rileverebbe qualsiasi tipo di delitto doloso per il quale il soggetto sia imputato, col risultato che la sospensione di due anni previsti dalla norma per la concessione del beneficio potrebbe riguardare soggetti che avessero compiuto dei fatti anche di modesta gravità, l'accertamento dei quali potrebbe essere anche di lunga durata[8].

Aspetti procedurali

La competenza sull'istruttoria e sull'emanazione dei provvedimenti in tema di permessi premio, è attribuita al magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di pena al quale il detenuto risulta assegnato definitivamente e stabilmente[9].

Il provvedimento – che può essere di diniego o di accoglimento del permesso – è comunicato dal magistrato d sorveglianza competente, immediatamente e senza formalità, al Pubblico Ministero e all'interessato istante.

I provvedimenti pronunciati in merito alla concessione del permesso premio, sono reclamabili, entro ventiquattro da tale comunicazione, dinanzi al Tribunale di Sorveglianza secondo la procedura prevista dall'art. 30-bis O.P. per i permessi di necessità.
Proprio in relazione al termine entro il quale è possibile esperire reclamo, va sottolineata un'importante pronuncia della Consulta[10], con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter nella parte in cui prevede, mediante il richiamo all'art. 30-bis O.P., che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al Tribunale di Sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni.

La sentenza n. 253 del 2019 della Corte Costituzionale

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Il quarto comma dell'art. 30-ter o.p., alla lettera c), fa riferimento ai condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis o.p., estendendo nei confronti di questi ultimi il requisito temporale ai fini della concessione del beneficio, da un quarto alla metà di pena espiata.
Tale estensione è espressione del regime trattamentale (oltre che sanzionatorio) più stringente che il legislatore ha inteso comminare nei confronti degli autori dei c.d. "reati ostativi", vigendo – nei confronti di questi ultimi – una sorta di presunzione di pericolosità che li distingue dagli autori dei delitti non elencati nell'art. 4-bis o.p. Ciò che sostanzialmente discrimina i condannati "ostativi" da quelli "semplici", è proprio la possibilità di accedere ai benefici penitenziari che, nei confronti dei primi, è ammessa soltanto ove questi ultimi prestino utile collaborazione con la giustizia, ovvero diano prova di trovarsi in una situazione di impossibilità o irrilevanza/inesigibilità della collaborazione.

Conseguenza diretta di tale disciplina è il rigetto di qualsiasi istanza di concessione di un beneficio penitenziario allorché il detenuto non collabori con la giustizia, gravando su quest'ultimo una presunzione assoluta di pericolosità che non gli consente di superare il regime ostativo comminato dalla legge penale.

La Consulta, con la sent. n. 253 del 2019, ha convertito la presunzione di pericolosità sociale dei non collaboranti, da assoluta a relativa, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis o.p. «nella parte in cui non prevede che, ai detenuti [in espiazione pena per tutti i delitti ivi elencati] possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo O.P., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti»[11].

Alla luce di tale emblematico pronunciamento, il condannato ostativo non dovrà più obbligatoriamente collaborare con la giustizia o dimostrare l'equipollenza dell'impossibilità o inesigibilità-irrilevanza della sua collaborazione con quella effettivamente ed utilmente prestata. Per tali tipologie di condannati è stata costruita una terza strada che si concretizza nella dimostrazione, da parte dell'interessato, sia dell'insussistenza dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia del pericolo di ripristino di tali collegamenti.

La redazione dell'istanza

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Venendo agli aspetti pratici: quali sono gli elementi e i requisiti di cui l'istanza dovrà dotarsi ai fini di una valutazione positiva da parte del magistrato di sorveglianza?
È opportuno evidenziare, preliminarmente, che non esiste una rigorosità nella struttura o una forma sacramentale nella modalità di redazione dell'istanza con cui si richiede la concessione del permesso-premio. Tuttavia, vi sono taluni elementi la cui sussistenza diventa quasi obbligatoria ai fini dell'ottenimento di una valutazione positiva.

L'istanza può essere presentata agli uffici di sorveglianza competenti per territorio, sia dal difensore di fiducia del detenuto/interessato che – direttamente – dal detenuto stesso (opzione talvolta privilegiata dagli organi della sorveglianza).

Primo elemento essenziale è l'indicazione dell'organo a cui l'istanza è rivolta, cioè il Magistrato/Ufficio di Sorveglianza territorialmente competente (es. "All' Ill.mo Magistrato di Sorveglianza di Parma")

Si prosegue poi con l'indicazione delle generalità dell'interessato istante: nome, cognome, luogo di attuale residenza (se trattasi di detenuto, l'indicazione dell'istituto penitenziario), S.I.E.P. (ovvero sia il numero di protocollo che identifica la sentenza attualmente in esecuzione).

Una volta elencate le generalità, si evidenzia già l'oggetto per cui è avanzata la richiesta, cioè «la concessione di un permesso premio ai sensi e per gli effetti dell'art. 30-ter o.p.».

A questo punto si passa a redigere la parte più importante dell'istanza, invero quella in cui si indicheranno i motivi e la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi che consentirebbero all'istante di godere del beneficio in richiesta. È la parte su cui il magistrato di sorveglianza svolgerà l'istruttoria sulla base della quale formerà il suo giudizio di accoglimento o di rigetto dell'istanza. Una descrizione dettagliata ed analitica della posizione del detenuto e la specifica indicazione circa la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, rappresenta una soluzione da privilegiare a fronte della possibilità accordata al detenuto di compilare un modulo prestampato "standard" per mezzo del quale avanzare la richiesta.

La regolare condotta

Il primo presupposto, la cui sussistenza dovrà essere vagliata dal magistrato di sorveglianza, è la «regolare condotta» del detenuto, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 30-ter o.p., cioè l'aver «manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale». Decisivo per l'accertamento di questa prima condizione, è il parere, obbligatorio, ma non vincolante, del direttore dell'istituto penitenziario, che si avvale del gruppo di osservazione e trattamento.
Ai fini della dimostrazione di tale condizione, potrebbe giocare un ruolo rilevante sottolineare che il detenuto sia stato già in passato beneficiario del permesso in richiesta e/o della liberazione anticipata che, tra i suoi presupposti, richiede la presenza di una condotta da cui sia possibile desumere la partecipazione del detenuto all'opera di rieducazione.

La pericolosità sociale

In secondo luogo, il magistrato di sorveglianza, dovrà accertare che il detenuto istante non sia socialmente pericoloso. A tal fine non sarà necessario allegare documenti quali il certificato penale dell'interessato ovvero la copia della sentenza di condanna, poiché tali atti saranno acquisiti d'ufficio dallo stesso magistrato, il quale provvederà, inoltre, a raccogliere informazioni dagli organi di polizia del luogo di abituale dimora dell'interessato in rapporto all'ambiente in cui questi chiede di essere inserito – per cui è opportuno altresì indicare il luogo in cui l'istante intenderebbe fruire del beneficio.
L'istante dovrà evidenziare quegli elementi da cui si possa desumere che, allorché rimesso in libertà in attuazione del permesso premio, quest'ultimo non porrà in essere ulteriori fatti di reato. A favore di ciò potrebbe essere indicata, ad esempio, la non sottoposizione del detenuto al "regime di particolare sorveglianza" di cui all'art. 14-bis o.p. e, in ogni caso, i progressi ottenuti dal detenuto nel corso del trattamento penitenziario (tra cui, si ricorda, il riconoscimento dei semestri di liberazione anticipata ex art. 54 o.p.).

I motivi dell'istanza

Il primo comma dell'art. 30-ter o.p. elenca quelli che potremmo definire i motivi, ma allo stesso tempo gli scopi, del permesso premio. La concessione del beneficio in esame, invero, può essere predisposta dal magistrato «per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro». Le tre finalità non devono essere in ogni caso considerate esaustive, per cui è possibile avanzare l'istanza per consentire al detenuto di coltivare interessi anche diversi da quelli espressamente indicati dalla norma, purché ciò sia utile ai fini del trattamento (per esempio, partecipazione a manifestazioni sportive, cinematografiche ovvero per ragioni di mero svago).
È fondamentale, dunque, indicare nel corpo dell'istanza le motivazioni per cui l'istante richiede di essere ammesso al beneficio di cui all'art. 30-ter o.p., in modo da enfatizzare le sue aspirazioni (affettive, lavorative, culturali ecc.) in vista del suo graduale reinserimento in società.

Il requisito temporale

Ultimo, ma non meno rilevante, è il requisito temporale, il quale rileva sotto un duplice aspetto.
Il primo elemento che dovrà essere sottolineato è la circostanza secondo la quale, il detenuto, si trovi nei termini di legge che gli consentono di poter accedere al beneficio premiale, per cui l'istante dovrà indicare di aver già raggiunto un quarto, la metà o i dieci anni di espiazione, a seconda della pena nei suoi confronti irrogata (tenendo conto, a tal fine, anche delle eventuali detrazioni di pena ottenute con il riconoscimento dei giorni di liberazione anticipata)
L'altro aspetto per cui rileva il requisito temporale riguarda il lasso di tempo per cui è richiesto il permesso premio. Ogni singola richiesta, infatti, non può superare i quindici giorni e, inoltre, il detenuto può beneficiare dei permessi premio per un totale di quarantacinque giorni l'anno. Sarà dunque opportuno evidenziare, nella richiesta, il periodo di tempo per cui si richiede il beneficio (es. dal 22.05.2022 al 28.05.2022, per un totale di 7 giorni).

Dott. Francesco Salvi
Torre Annunziata (NA)
Cell: 3462236539
Mail: fr.salvi722@gmail.com

[1] Il nostro sistema sanzionatorio, soprattutto alla luce delle recenti riforme legislative, sta assumendo – almeno per quella che è la tendenza, non perdendo però di vista le reali e concrete influenze che tale tendenza ha poi sulla realtà – uno spirito rinnovatore. La legge 28 aprile 2014 n. 67 conteneva una delega al Governo affinché questo intervenisse in materia di pene detentive non carcerarie e sulla riforma della disciplina sanzionatoria. Gli effetti concreti della legge sono stati scarsi, essendosi registrata – quale maggiore novità – soltanto l'introduzione, con il d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, dell'art. 131-bis c.p. che ha istituito la tenuità del fatto come causa di non punibilità. Sempre sulla scia di tale tendenza di rinnovazione è intervenuta la legge 24 giugno 2017 n. 103, contenente anch'essa un'ampia delega governativa per la riforma dell'ordinamento penitenziario, e che ha inciso precipuamente su taluni istituti processuali del nostro sistema penale.

[2] Cfr. MARCOLINI S., L'ergastolo nell'esecuzione penale contemporanea, in Riv. Trimestrale 04/2017, Diritto Penale Contemporaneo, 2018, p. 70.

[3] Ibidem.

[4] "Primo" in considerazione dell'escalation comportamentale costruita dal sistema penitenziario e che costituisce la condizione necessaria ai fini della concessione dei benefici. All'aumentare del grado di responsabilità mostrato dal detenuto, quest'ultimo potrà accedere ad uno specifico ambito trattamentale connotato da un maggiore grado di premialità.

[5] Per quanto attiene all'orientamento dottrinale in materia di "permessi premio" cfr. rispettivamente: Giunta F., Commento art. 9, Legge 10 ottobre 1986, n. 663, in "Legislazione penale", 1987, p. 136; MARGARA A., La modifica della legge penitenziaria: una scommessa per il carcere, una scommessa contro il carcere, in "Questione giustizia", 1986, p. 530; TAMPIERI L., I permessi premio e le norme in materia di permessi e licenze, in FLORA G. (cura di), Le nuove norme sull'ordinamento penitenziario - L. 10 ottobre 1986, n. 663, cit., p. 161; DI GENNARO G., BONOMO M., BREDA R., Ordinamento penitenziario e misure alternative alla detenzione, IV edizione, Giuffrè editore, Milano 1987, p. 206.

[6] Cfr. Cass. Pen., Sez. I, 23 giugno 2020 n. 27118; Cass. Pen., Sez. I, 26 giugno 2020 n. 23828, in Riv. De Jure.

[7] In virtù di tale combinazione normativa tra gli artt. 30-ter co. 4 lett. d) e 54 O.P., l'ergastolano potrà ottenere il beneficio del permesso premio, ove sussistano i presupposti, dopo aver espiato poco più di sette anni di detenzione.

[8] MARGARA A., La modifica della legge penitenziaria: una scommessa per il carcere, una scommessa contro il carcere, in "Questione giustizia", 1986, p. 254.

[9] La Cassazione, con sentenza 20 giugno 1989, ha affermato che: «La competenza territoriale a concedere permessi premio spetta la magistrato di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di pena al quale il detenuto risulta assegnato definitivamente e stabilmente, a nulla rilevando la sua presenza occasionale o temporanea in altro istituto».

[10] Cfr. Corte Cost., 12 giugno 2020 n. 113, in Riv. De Jure. Con tale sentenza la Consulta ha dichiarato che «è irragionevole la previsione di un unico termine di ventiquattro ore sia per il reclamo avverso il provvedimento relativo ai permessi "di necessità" — rispetto ai quali la brevità del termine appare correlata, nell'ottica del legislatore, alla situazione di urgenza allegata dall'interessato a fondamento della richiesta —, sia per il reclamo contro la decisione sui permessi premio, rispetto alla quale tali ragioni di urgenza certamente non sussistono; dall'altro, la previsione di un termine così breve rispetto alla necessità di articolare compiutamente nello stesso reclamo, a pena di inammissibilità, gli specifici motivi in fatto e in diritto sui quali il tribunale di sorveglianza dovrà esercitare il proprio controllo sulla decisione del primo giudice, appare ingiustificatamente pregiudizievole rispetto all'effettività del diritto di difesa».

[11] Cfr. Corte Cost., 4 dicembre 2019, n. 253, in www.cortecostituzionale.it.


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