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Data: 27/04/2022 06:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Responsabilità medica oncologo[Torna su]
Responsabile il medico che, discostandosi dalle linee guida, omette di eseguire la biopsia, l'esame istologico e asportare il linfonodo sentinella, tanto da richiedere un terzo intervento risolutore a partire dal quale si è verificata una effettiva regressione della malattia. Ogni condotta colposa che interviene negativamente sul tempo della guarigione da una malattia, prolungandone la durata, anche se non aggrava la malattia o non provoca un perturbamento di tipo funzionale, assume un rilievo di tipo penale. Questo quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 8163/2022 (sotto allegata). La vicenda processualeIl giudice di secondo grado riforma parzialmente la sentenza di condanna di primo grado emessa nei confronti di un oncologo, ritenuto responsabile di lesioni colpose gravi ai danni di una donna alla quale ha eseguito due interventi al seno. Ridetermina in favore dell'imputato la pena, che sostituisce con quella pecuniaria, confermandola nel resto. Il medico è stato accusato di avere omesso di asportare alla paziente, per negligenza, imprudenza e imperizia e omissione delle linee guida linfonodi maligni, che hanno aggravato il quadro clinico della paziente, perché hanno impedito di procedere con l'esame istologico e la biopsia. Mancanze che hanno comportato la sottoposizione della donna a un altro intervento che ha cagionato lesioni tali da impedire alla donna di attendere alle sue occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni. Ragionevole dubbio sull'efficacia dell'omissione[Torna su]
Nel ricorrere in Cassazione il medico contesta prima di tutto la valutazione del rilievo che è stato attribuito alle linee guida, con conseguente svalutazione del principio dell'affidamento. Le linee guida sono mere raccomandazioni, tra l'altro non adeguate al caso concreto. In ogni caso il discostamento dalle stesse avrebbe dovuto condurre a un giudizio di colpa lieve. La Corte avrebbe poi errato nell'eseguire la verifica del nesso di causa tra le omissioni che sono state oggetto di contestazione e l'evento. Nel caso di specie infatti è emerso un ragionevole dubbio sulla efficacia dell'omissione dell'imputato in relazione all'intervento del diverso medico in quanto non c'è prova che i linfonodi fossero già in metastasi. Viene altresì contestata la categorizzazione del reato di lesione tra i reati di evento in quanto la donna non ha riportato, come prevede la legge, una vera e propria malattia o incapacità di attendere alle sue attività per un periodo superiore ai 40 giorni. La donna è infatti guarita dal carcinoma e non ha riportato segni di recidiva. Con il secondo motivo contesta la mancata concessione della non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. Con il terzo invece vengono sollevati dei rilievi in ordine all'aggravante di cui all'art. 590 co. 2 c.p, al diniego delle generiche e alla sospensione della pena. Rileva ogni condotta colposa che dilata il tempo della guarigione[Torna su]
La Cassazione, dopo un'attenta analisi dei motivi di doglianza sollevati però, rigetta il ricorso. Il primo motivo è infondato perché il discostamento dalle linee guida da parte del medico non ha riguardato solo il primo intervento, a cui non hanno fatto seguito l'ago aspirato e l'esame istologico, ma anche il secondo in cui sono stati prelevati linfonodi inutili ai fini della verifica della presenza di metastasi, tanto che si è reso necessario un terzo intervento. Corretto poi il ragionamento della Corte in relazione al reato di lesioni addebitato al medico in conseguenza della grave condotta colposa. Questo perché "ogni condotta colposa che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce e se un aggravamento della lesione e della perturbazione funzionale, assume rilievo penale ove generi una dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione della stabilizzazione dello stato di salute." La regressione della malattia infatti, nel caso di specie, si è verificata solo all'esito del terzo intervento, per cui il prolungamento della condizione patologica della paziente è direttamente collegato alla grave imperizia del primo chirurgo che l'ha avuta in cura. Corretta anche l'esclusione della causa di non punibilità, conseguenza della stigmatizzazione della grave imperizia del medico e della sua reiterazione in ben due occasioni e della gravità del pericolo in cui versava la paziente, affetta da un carcinoma al seno molto aggressivo. Manifestamente infondato infine anche il terzo motivo. La Corte, nel motivare il rigetto della concessione delle attenuanti e l'applicazione dell'aggravante ha rimandato alle considerazioni che hanno ostacolato anche la concessione della non punibilità, ovvero le modalità della condotta del medico e la grave malattia della paziente. Per quanto riguarda invece la sospensione condizionale della pena gli Ermellini fanno presente che nel caso di specie l'imputato ne ha lamentato in sede di Cassazione la mancata concessione, senza aver sollecitato una pronuncia sul punto da parte della Corte di Appello, limitandosi in detta sede a una mera e stringata richiesta. Leggi anche La responsabilità medica |
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