Data: 07/05/2022 22:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate

Il mandato all'avvocato si può provare anche per testimoni

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Dalle testimonianze rese nel corso del giudizio e dai documenti prodotti è indubbio che il soggetto che si è opposto al decreto ingiuntivo in realtà è il soggetto che ha conferito il mandato all'avvocato. Non regge la tesi per la quale occorre distinguere tra chi conferisce l'incarico e chi beneficia delle prestazioni professionali per stabilire chi debba provvedere al pagamento della parcella dell'avvocato. Non avrebbe senso altrimenti il contratto in favore di terzi previsto dal nostro ordinamento. Queste le interessanti precisazioni della Cassazione nell'ordinanza n. 12433/2022 (sotto allegata), che riconosce il valore della prova testimoniale per dimostrare il conferimento del mandato a un avvocato e il conseguente diritto di questo a ricevere il compenso per l'attività svolta.

La vicenda processuale

Un soggetto si oppone al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento della somma di € 6.896, 40, oltre interessi e spese, in favore di un avvocato per i compensi maturati in relazione alle prestazioni professionali stragiudiziali svolte. Nell'opporsi lo stesso afferma di non avere mai conferito mandato al legale, la cui attività è stata svolta in favore delle società dei parenti, di cui lo stesso è socio e fideiussore.

Il Tribunale accoglie l'opposizione, revocando il decreto ingiuntivo. Il legale appella la decisione perché le prove documentali e testimoniali dimostrano tutt'altro.

Provato il conferimento del mandato

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L'avvocato nel ricorrere in Cassazione denuncia quindi, prima di tutto, l'omessa considerazione delle dichiarazioni testimoniali rese in giudizio come quella di un collega sull'effettivo svolgimento dell'incarico da parte del ricorrente.

Conferimento del mandato dimostrato per testimoni

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La Cassazione accoglie il motivo del ricorso suddetto, dichiarando assorbito il secondo. Fondato infatti il motivo dell'avvocato nella parte in cui lamenta la violazione dell'art 115 c.p.c sulla disponibilità delle prove. Censura con la quale l'avvocato ha messo in evidenza che controparte non si è mai opposta al conferimento dell'incarico nei suoi confronti né all'espletamento dello stesso. Lo stesso si è limitato infatti a sostenere che, nella sua veste di socio e fideiussore delle società per le quali l'avvocato ha svolto la sua prestazione, doveva allo stesso non più di 1/6 del compenso richiesto.

La Cassazione rileva però che in sede di giudizio l'esecuzione della prestazione è stata provata dai documenti e dalle testimonianze. Non regge la tesi di controparte, per il quale deve esserci coincidenza tra soggetto che conferisce l'incarico e quello nel cui interesse deve essere resa la prestazione. Trattasi infatti di profili che possono essere ben distinti, potendo l'avvocato ricevere il mandato da un soggetto per tutelare gli interessi di un altro soggetto terzo, secondo quanto previsto dall'art. 1411 c.c, che disciplina il contratto stipulato in favore di terzi.

Rileva al riguardo la Cassazione che la sentenza impugnata ha dato atto che in primo grado, dalla testimonianza dell'amministratore della s.n.c, è emerso che il cugino, ossia l'opponente, ha conferito incarico a due avvocati di assistere le due società. A investire l'avvocato ricorrente quindi è stato proprio il soggetto che poi ha negato di dovergli riconoscere il compenso per l'attività svolta. Circostanza che tra l'altro non è mai stata contestata nell'atto di citazione in opposizione né il relazione al profilo del conferimento dell'incarico, né dello svolgimento effettivo dell'incarico da parte del professionista. Lo stesso si è infatti piuttosto limitato a rilevare la parziarietà dell'obbligazione, ritenendo di dovere infatti solo 1/6 del compenso richiesto dal legale.


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