Data: 07/05/2022 11:00:00 - Autore: Law In Action - di P. Storani

Bancarotta fraudolenta documentale, occultamento o distruzione di documenti contabili e ne bis in idem

(dell'Avv. Prof. Leonardo Ercoli docente ed avvocato penalista)
CASS. PEN., SEZ. V, SENTENZA 2 MARZO 2020 N. 7557: NEL CONCORSO TRA BANCAROTTA E REATI TRIBUTARI NON OPERA AUTOMATICAMENTE IL NE BIS IN IDEM CONSIDERANDO CHE LA BANCAROTTA DOCUMENTALE NON PUO' ESSERE SOVRAPPOSTA ALL'OMESSA DOCUMENTAZIONE
1) IL REATO DI BANCAROTTA: CENNI INTRODUTTIVI
1.1.) SEGUE. I CRITERI DISTINTIVI DELLA BANCAROTTA;
1.2) SEGUE. LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA E LA BANCAROTTA SEMPLICE;
1.3.) SEGUE. NELLA SPECIE: LA BANCAROTTA DOCUMENTALE;
1.4.) SEGUE. LA BANCAROTTA PREFERENZIALE;
1.5.) SEGUE. L'INSINUARSI DEL 'NUOVO' CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA: GLI ARTT. 322 E 323
2) I REATI TRIBUTARI: D.LGS. 10 MARZO 2000, N. 74
2.1.) SEGUE. IL REATO DI OCCULTAMENTO O DISTRUZIONE DI DOCUMENTI CONTABILI
3) IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM: BREVI CENNI
4) I GIUDICI DI LEGITTIMITA' ESCLUDONO IL NE BIS IN IDEM: CASS. PEN., SEZ. V, SENTENZA 2 MARZO 2020 N. 7557
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«Il concorso tra bancarotta e reati tributari non conduce necessariamente all'applicazione del principio del ne bis in idem, anche nel caso di precedente proscioglimento per il reato di occultamento e distruzione di documenti contabili, ex articolo 10 del Dlgs 74/2000 e successiva contestazione di bancarotta documentale. Lo precisa la Cassazione respingendo il ricorso di un imputato che intendeva fare valere l'improcedibilità del giudizio per bancarotta documentale avviato nei suoi confronti dopo essere stato assolto perché il fatto non sussiste dal reato tributario di occultamento contabile. Per i giudici di legittimità non vi è automaticamente la medesimezza del fatto con conseguente applicazione del divieto di ne bis in idem, posto che la bancarotta documentale non può essere sovrapposta all'omessa documentazione sanzionata sul piano tributario, essendo, infatti, il perimetro della prima assai più ampio della seconda»
1) I REATI DI BANCAROTTA: CENNI INTRODUTTIVI
E' noto ai più come il reato di bancarotta, benché sprovvisto di una univoca definizione giuridica in virtù della sua ampia portata, è la figura delittuosa maggiormente rappresentativa e rilevante del diritto penale fallimentare. Essa, dunque, in via generale e approssimativa, indica quel fatto che, commesso dall'imprenditore o da altri soggetti che vantino con lo stesso una relazione particolarmente qualificata, determina, in via diversificata e attraverso un'incidenza su oggetti materiali differenti, un pregiudizio - attuale o potenziale - degli interessi propri dei creditori dell'impresa, pregiudizio questo destinato ad assumere rilievo penale in esito all'apertura di una procedura concorsuale (GAROFOLI).
Ebbene, originariamente prevista all'interno del Titolo VI, Capo I, della Legge Fall. (Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267), la disciplina dei reati di bancarotta è stata, di recente, novellata ad opera del d.lgs. 12 gennaio 2019, n.14 recante il "Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza in attuazione della l. 19 ottobre 2017, n. 155" il cui obiettivo finale, per come si evince nel comunicato stampata pubblicato dal Governo sul sito istituzionale, è quello di riformare in modo organico la disciplina delle procedure concorsuali con le principali finalità di consentire una diagnosi precoce dello stato di difficoltà delle imprese e salvaguardare la capacità imprenditoriale di coloro che vanno incontro a un fallimento di impresa dovuto a particolari contingenze. A seguito dell'anzidetta riforma, dunque, come si vedrà meglio nel prosieguo della trattazione, la disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari viene ricondotta all'interno del Titolo IX del nuovo Codice, dedicato alle "Disposizioni penali" di cui agli artt. 322-347, senza che questo determini, però, alcuna abrogazione della normativa contenuta all'interno della legge fallimentare, così come delle disposizioni penali sulla bancarotta. Una delle maggiori novità apportate dall'anzidetta novella legislativa, concerne l'elisione, anche all'interno delle disposizioni di tipo penale, del concetto di "fallimento" e di "fallito", sostituito da quello di "liquidazione giudiziale" il che implica che le disposizioni penali, già contemplate all'interno della legge fallimentare, non sono soggette a riformulazione, tranne l'ovvio adeguamento lessicale conseguente al venire meno dei concetti di "fallimento", "fallito" e "procedura fallimentare".
Giova, senz'altro, sin da subito precisare come le varie tipologie di bancarotta previste vengano inquadrate nell'alveo dei reati contro il patrimonio il cui bene giuridico tutelato è costituito dal diritto di garanzia che i creditori vantano sul patrimonio del debitore fallito (rectius: in liquidazione giudiziale). Elemento costitutivo del reato è, ai sensi dell'art. 17 della Legge Fall., la sentenza dichiarativa di fallimento la quale presuppone l'accertamento dello stato di insolvenza il quale si manifesta attraverso l'inadempimento o altri fatti esteriori idonei a dimostrare che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. L'art. 5 della Legge Fall. prevede, infatti, che l'imprenditore che si trovi in stato di insolvenza è dichiarato fallito. Le caratteristiche assunte dal reato di bancarotta, in genere, dunque, variano al variare di talune caratteristiche quali il carattere fraudolento o meno della condotta; l'oggetto materiale; la collocazione temporale rispetto alla sentenza dichiarativa di fallimento; e, infine, il soggetto agente.
1.1.) SEGUE. I CRITERI DISTINTIVI DELLA BANCAROTTA
Ben potendo la bancarotta assumere differenti forme, come detto, è opportuno individuare taluni criteri di differenziazione elaborati dalla dottrina.
Anzitutto, è possibile operare una prima classificazione in relazione al soggetto attivo: in particolare, alla luce di tale parametro, è possibile distinguere la bancarotta propria in cui il soggetto attivo è lo stesso imprenditore dichiarato fallito, dalla bancarotta impropria caratterizzata dalla disgiunzione soggettiva fra autore della condotta punita ed imprenditore dichiarato fallito. Siffatta distinzione è immediatamente rinvenibile nel testo di legge la quale, al Capo I (artt. 216 e 217), punisce per l'appunto i fatti di bancarotta propria includendoli nell'alveo dei reati commessi dal fallito e la bancarotta impropria detta altresì societaria giacché il soggetto dichiarato fallito è una società commerciale. Negli artt. 223 e 224 del Capo II, invece, vengono invece previsti e puniti i reati commessi da soggetti diversi dal fallito.
Ulteriore criterio distintivo è quello che consente di differenziare la bancarotta fraudolenta da quella c.d. semplice. Benché essa esprima sostanzialmente una differenziazione delle fattispecie incriminatrici in virtù dell'intento riconducibile al soggetto attivo, a ben vedere la classificazione viene resa anche in ragione dei caratteri dell'elemento oggettivo del reato e, nella specie, ai connotati della condotta integrata. Se è vero, dunque, che la distinzione in parola ha radici essenzialmente psicologiche, legate all'intenzionalità del soggetto attivo o alla mera colposità della condotta sanzionata, è pur vero che si tratta di una differenziazione operante non solo sull'elemento psicologico del reato ma, ancor prima, sul fatto tipico, il quale, stante la sua struttura, sarà espressivo rispettivamente dell'intento fraudolento ovvero del mero atteggiamento incauto del soggetto attivo (GAROFOLI).
Terzo criterio distintivo è quello rinvenibile dalla normativa penal-fallimentare e concerne, sempre in ordine all'elemento oggettivo del reato, l'oggetto materiale della condotta. Alla luce dello stesso, dunque, si suole distinguere tra bancarotta patrimoniale e bancarotta c.d. documentale. Il primo dei due tipi di bancarotta menzionato - disciplinato ex artt. 216 e 217 Legge Fall. - ha quale oggetto materiale della condotta il patrimonio dell'impresa; il secondo, invece, ha quale punto di incidenza materiale i libri o le altre scritture contabili della stessa. Alla luce del differente oggetto di cui si è appena detto, poi, le due figure delittuose si distinguono inoltre si differenziano in base alle tipologie di condotte idonee ad incidervi, sicché si parla di bancarotta patrimoniale laddove essa consista essenzialmente in fatti di depredazione o, comunque, di dispersione del patrimonio imprenditoriale, si parla, invece, di bancarotta documentale laddove vi siano fatti di distruzione, falsificazione o irregolare gestione che rendano impossibile la ricostruzione contabile dei fati di rilevanza aziendale.
In ultimo, al fine di offrire una panoramica completa sul punto, è d'uopo evidenziare come la dottrina abbia individuato un ulteriore criterio distintivo fondato sulla collocazione temporale del fatto commesso e, nella specie, in relazione tra il momento di commissione del delitto e la dichiarazione del fallimento. In tal senso, si suole distinguere, in dottrina, tra bancarotta post-fallimentare (art. 216 co.2) e pre-fallimentare (art. 216 co.1). (ANTOLISEI).
1.2.) SEGUE. LA BANCAROTTA FRAUDOLENTA E LA BANCAROTTA SEMPLICE
Con particolare riferimento alla bancarotta fraudolenta, essa, dunque, è un reato fallimentare attribuibile all'imprenditore individuale, dichiarato fallito, che pone in essere, prima o durante la procedura fallimentare, una condotta di diminuzione del proprio patrimonio a svantaggio dei creditori. A realizzarsi, è dunque, un'offesa nei confronti dei creditori che può essere reale o fittizia. Essa si suddistingue in bancarotta fraudolenta reale o fittizia. È reale se le condotte costituiscono azioni di concreta diminuzione del patrimonio dell'imprenditore. È fittizia se la diminuzione è simulata da azioni che occultano o mascherano il patrimonio. In tal caso infatti queste attività possono essere smascherate e può essere fatta riemergere la parte di patrimonio occultata. Giova altresì operare, congiuntamente alla distinzione tra offesa reale e fittizia nei confronti dei creditori, la distinzione tra bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale. Le due tipologie si differenziano in ragione dell'oggetto materiale della condotta e sono descritte rispettivamente ai nn. 1) e 2) del primo comma dell'articolo 216 della legge fallimentare. Nel primo tipo viene materialmente aggredito il patrimonio dell'imprenditore. Nel secondo il patrimonio viene rappresentato contabilmente in modo non rispondente al vero. In entrambi i casi tuttavia la legge mira a tutelare gli interessi economici dei creditori.
Per ciò che concerne i presupposti, come anticipato, il reato in commento presume quale presupposto principale dichiarazione di fallimento e cioè la sentenza che dichiara il fallimento del reo che assurge, secondo la dottrina maggioritaria, a condizione obbiettiva di punibilità del reato (ANTOLISEI; DELITALA; MACCAGNO BENESSA; sul punto cfr. Cass. pen., Sez V, n.13910/2017; Cass. pen., Sez V, n.17819/2017) diversamente da quanto ritenuto da parte della dottrina minoritaria che la qualifica quale vero e proprio elemento costitutivo del fatto tipico (CANDIAN; BONELLI; PROVINCIALI; sul punto cfr. Cass. pen., Sez I, n.41937/2017). L'articolo 44 del codice penale introduce il concetto di condizione di punibilità affermando che "Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto".
Sul punto, giova altresì dare atto di come, di recente, si sia affermato, in giurisprudenza, un terzo filone per cui non è necessario determinare la natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimento essendo, viceversa, fondamentale sottolineare la natura del reato di bancarotta quale fattispecie di pericolo concreto (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. V, n. 32658/2018)
Di talché, le condotte del reato di bancarotta fraudolenta, ai sensi dell'articolo 216 della legge fallimentare, possono essere poste in essere prima o dopo la sentenza dichiarativa di fallimento. Il reato si perfeziona ma la sua punibilità si genera solo al verificarsi di una condizione che è la dichiarazione di fallimento.
A mente di quanto disposto ex art. 216, co. 1, n. 1, della Legge Fall. "È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti". Invero, la norma de qua, descrive le condotte che danno origine alla bancarotta fraudolenta c.d. patrimoniale la quale assurge a reato di pericolo il cui elemento psicologico è il dolo specifico. Il pericolo versa sulla garanzia patrimoniale dei creditori ed è sufficiente ad integrare il reato indipendentemente dalla condotta adottata (GAROFOLI).
Il secondo comma dell'art. 216 prevede, inoltre, che la medesima pena prevista dal primo comma si applica alle condotte di cui al n. 1) del primo comma dell'art. 216 della Legge Fall. tenute durante la procedura fallimentare.
Non può non darsi atto di come tra le attività elencate dalla norma, la più grave appare la distruzione in quanto rimuove completamente e definitivamente il patrimonio dall'attenzione dei creditori. Secondo l'opinione prevalente questa consisterebbe nell'attività di eliminazione o riduzione del valore di un bene potenzialmente utile al soddisfacimento dei creditori. Si tratta dunque di comportamenti commissivi e non omissivi o inerti, non rientrando in tale attività la sottrazione di beni privi di valore che non porterebbero alcun vantaggio ai creditori.
Ad essa si affianca, poi, la dissipazione che consiste nel comportamento tenuto dall'imprenditore che "sperpera" il proprio patrimonio assumendo impegni economici ed effettuando spese sproporzionate rispetto alla capacità dello stesso.
Altrettanto pregiudizievole al soddisfacimento dei creditori è la distrazione, con la quale si intende l'utilizzo da parte dell'imprenditore dei propri beni per scopi estranei all'esercizio dell'attività imprenditoriale. Si tratta dunque di una condotta di danno e non di mero pericolo in quanto la diminuzione del patrimonio è effettiva. La Cassazione, di recente, è intervenuta al fine di chiarire la differenza tra le condotte di dissipazione e di distrazione del patrimonio del fallito, stabilendo che "In tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di "distrazione" si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l'impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di "dissipazione" consiste nell'impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti". (cfr. Cass. pen. sentenza n. 7437/2020).
Vi è poi l'occultamento e la dissimulazione sono delle condotte con cui l'imprenditore nasconde i propri beni. Nel primo caso lo fa materialmente utilizzando mezzi giuridici idonei ad occultare il patrimonio. Nel secondo caso lo fa apparentemente facendo apparire il trasferimento dei beni nella sfera giuridica di altro soggetto.
In ultimo, ma non per importanza, si hanno le condotte di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti. La prima condotta consiste nel rivelare uno stato patrimoniale passivo più consistente di quanto lo sia realmente. La seconda, invece, consiste nel non contestare un credito vantato da terzi per aumentare dunque il conto debiti del passivo dello stato patrimoniale e quindi riconoscere l'esistenza di quel credito che in realtà potrebbe non essere dovuto.
Per ciò che concerne, invece, la bancarotta semplice, nella sua versione di bancarotta propria, è prevista ex art. 217 Legge Fall. e, così come la bancarotta fraudolenta, anche quella semplice, in relazione all'oggetto materiale della condotta e al generale atteggiarsi dell'elemento oggettivo, si distingue in bancarotta patrimoniale e documentale. Di contro non esiste alcuna ipotesi di bancarotta semplice post-fallimentare, essendo i fatti di bancarotta sempre riconducibili esclusivamente al periodo anteriore al fallimento e vincolati, secondo le modalità postulate dalle differenti ricostruzioni tecniche relative al ruolo dl fallimento in seno ai reati di bancarotta, alla dichiarazione di fallimento resa dal competente Tribunale. L'art. 217 Legge Fall. decreta, infatti, che l'imprenditore dichiarato fallito commette il reato di bancarotta nei casi in cui: effettua per sé o per la famiglia spese eccessive rispetto alla sua condizione economica; consuma parte del suo patrimonio in operazioni imprudenti; compie atti gravemente imprudenti per ritardare il fallimento; aggrava il proprio dissesto non presentando la richiesta di fallimento; non soddisfa le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare. In ultimo, stabilisce che commette lo stesso reato l'imprenditore, poi dichiarato fallito, che non ha tenuto in ordine o le ha tenute in maniera incompleta le scritture contabili nei 3 anni precedenti alla dichiarazione di fallimento.
La bancarotta semplice documentale, invece, si ha nel caso in cui l'imprenditore dichiarato fallito "durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta". Si tratta, quindi, di ipotesi consistenti, essenzialmente, nella violazione o imperfetta osservanza degli obblighi contabili. Il fatto ha quale oggetto materiale, a differenza della bancarotta documentale fraudolenta di cui si vedrà nel prosieguo, i soli libri e scritture contabili prescritte dalla legge e, nella specie, alla documentazione di cui all'art. 2214 c.c. e non anche altre fonti.
1.3.) SEGUE. NELLA SPECIE: LA BANCAROTTA DOCUMENTALE
La fattispecie di bancarotta propria c.d. documentale, come anticipato, è prevista ai sensi dell'art. 216 co.1, n.1 della Legge Fall. e si ha nel qual caso in cui l'imprenditore "ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari".
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità il bene giuridico tutelato dalla norma non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell'impresa, riguardando piuttosto una conoscenza di tali vicende, documentata e giuridicamente utile, in relazione all'interesse dei creditori ad apprendere nei loro termini reali le vicende e la consistenza del patrimonio della società destinato a soddisfare le loro ragioni - c.d. ostensibilità della situazione patrimoniale del debitore -. (cfr. Cass. pen., Sez. Un., n. 21032/2011). Anch'essa, similmente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, si distingue in bancarotta pre-fallimentare e post- fallimentare a seconda del momento in cui la condotta interviene rispetto alla dichiarazione di fallimento.
Sotto il profilo oggettivo, la condotta propria del reato in commento può essere suddivisa in due tipologie di condotta: da un lato quella di distruzione, falsificazione o sottrazione dei libri e delle scritture contabili, dall'altro quella, senz'altro più generale, di tenuta della documentazione contabile "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari".
Diversamente dalla bancarotta semplice documentale di cui all'art. 217, l'art. 216 quanto all'oggetto del reato, non lo individua nelle sole scritture contabili obbligatorie; infatti, esso è rappresentato non solo dai libri (nella specie, libro giornale e libro degli inventari) e dalla scritture obbligatorie ma anche dalle scritture meramente facoltative laddove queste siano necessarie a garantire la ricostruzione adeguata e completa della situazione patrimoniale ed economica dell'impresa stessa (PEDRAZZI).
Per quanto riguarda, poi, le singole tipologie di condotta incriminate, la sottrazione consiste nella rimozione dei documenti contabili dai luoghi di loro abituale conservazione, sì da renderli inaccessibili; la distruzione si ha non solo nel caso di materiale soppressione del libro o del documento ma anche nel caso in cui essi siano resi indecifrabili e inidonei ad essere impiegati per le finalità a cui gli stessi sono destinati; la falsificazione, infine, secondo la dottrinale la giurisprudenza maggioritaria, consiste sia nell'alterazione ideologica del contenuto rappresentato in sede contabile (falsità ideologica) sia in una falsificazione meramente materiale dell'atto (falsità materiale). (GAROFOLI).
La seconda tipologia di condotta, rappresentata dalla tenuta di scritture "in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari", si tratta di una fattispecie a forma libera, incentrata sul tipo di risultato cui conduce, vale a dire l'impossibilità, come detto, di ricostruire i fatti patrimoniali ed economici dell'azienda.
Sotto il profilo soggettivo, invece, il reato in parola, si presenta quale fattispecie a dolo specifico per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture o dei libri; di contro, è sufficiente il dolo generico per le fattispecie rappresentata dalla tenuta della contabilità in guisa da impedire la ricostruzione della situazione d'impresa (cfr. Cass. pen., Sez. V, n. 3558/2015; di ultimo, Cass. pen., Sez. V, n. 77/2019).
1.4.) SEGUE. LA BANCAROTTA PREFERENZIALE
Nell'ambito della disposizione di cui all'art. 216 Legge Fall., poi, è prevista una peculiare ipotesi di bancarotta fraudolenta di cui non può non darsi conto, seppur sommariamente. Il riferimento è all'ipotesi di bancarotta preferenziale ovverosia il delitto con cui viene punito "colui che, volutamente, preferisce soddisfare alcuni creditori piuttosto che altri, violando così la par condicio creditorum". Il bene giuridico protetto dal reato in commento è la parità di trattamento dei creditori prevista dall'art. 2741 c.c. (cd. par condicio creditorum). Il soggetto attivo, è sempre l'imprenditore commerciale. Si può parlare di bancarotta preferenziale impropria ex art. 223 Legge Fall. qualora i pagamenti preferenziali siano stati effettuati da amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori di società. Sotto il profilo oggettivo, la condotta può consistere sia nell'eseguire dei pagamenti sia nel simulare titoli di prelazione a favore di alcuni creditori a danno di altri. Non può integrarsi la fattispecie, allorquando risulti insussistente "pericolo del danno"; infatti, dal momento dell'insolvenza scatta per l'imprenditore il dovere di non pagare più i propri creditori.
Al riguardo, è d'uopo precisare che al dovere anzidetto può aggiungersi quello di chiedere il proprio fallimento sì da scongiurare l'aggravarsi del dissesto: l'omissione può, infatti, integrare la bancarotta semplice di cui all'art. 217. In questo senso la richiesta di fallimento è per l'imprenditore non solo elemento di favore ma anche un preciso dovere giuridico. Il credito pagato in modo preferenziale deve essere effettivo, mentre nel caso di credito simulato si avrà la più grave ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui si è già detto. Per ciò che concerne il pagamento, quest'ultimo può assumere qualsiasi forma quella della compensazione, della novazione oggettiva, e ancora della restituzione ai soci di finanziamenti o della cessione di beni oggetto di leasing etc. purché rappresenti una dazione di beni di qualsivoglia genere quale corrispettivo di un debito. La giurisprudenza di legittimità, sul punto, ha infatti ritenuto sussistente la bancarotta preferenziale nel caso di una banca che era passata da creditrice chirografaria a creditrice privilegiata per aver il fallito acceso un mutuo fondiario garantito da ipoteca su un immobile con evidente violazione della par condicio creditorum (cfr. Cass. pen., n. 16688/2004).
Infine, sotto il profilo soggettivo, parte della dottrina, ricostruisce il dolo della bancarotta in parola in termini di dolo generico, affermando che il dolo specifico descrive un fatto che si pone al di là della fattispecie oggettiva; cosa che evidentemente non è nel caso dell'art. 216 co. 3 Legge Fall., in cui tanto il fine di privilegiare quanto quello di danneggiare non sono eventi ulteriori, ma componenti del fatto.
1.5.) SEGUE. L'INSINUARSI DEL 'NUOVO' CODICE DELLA CRISI DI IMPRESA: GLI ARTT. 322 E 323
In tal sede non può non darsi atto delle nuove norme che concerno il reato di bancarotta da parte del nuovo codice delle imprese.
In particolare, è noto ai più come, ai sensi dell'art. 389 co.1 d.lgs. n. 14 del 2019, il 15 agosto 2020 sarebbe dovuto entrare in vigore il nuovo Codice della Crisi d'impresa, eccezion fatta, come previsto dal secondo comma del summenzionato articolo, per talune disposizioni normative che erano già precedentemente entrate in vigore dal 16 marzo 2019.
Invero, sulla Gazzetta ufficiale n. 143 del 6 giugno 2020 è stata pubblicata la Legge 5 giugno 2020, n. 40 recante la "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, recante misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali". Un Codice per il quale, per come stabilito dall'art. 5 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, è stato stabilito il primo differimento dell'entrata in vigore del Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 al"[…] 1 settembre 2021, salvo quanto previsto al comma 2". Attualmente, il decreto per l'attuazione del PNRR approvato il 13 aprile dal Consiglio dei Ministri ha modificato il testo del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, stabilendo l'entrata in vigore del nuovo Codice al 15 luglio 2022. Tale differimento potrebbe essere in linea con il termine ultimo per il recepimento della direttiva "Insolvency", fissato per il 17 luglio 2022.
Prima di questa modifica, il Consiglio dei ministri ha anche approvato lo scorso 17 marzo uno schema di decreto che introduce la definizione di assetti organizzativi delle imprese e la codifica dei segnali di allarme per prevenire la crisi d'azienda, aggiornati con cadenza triennale. Tra le disposizioni del nuovo Codice in commento, di notevole pregio per ciò che in tal sede rileva, sono senz'altro le 'nuove' forma di bancarotta di cui agli artt. 322 e 323. In particolare, per come si evince dal dato normativo, ai sensi dell'art. 322 (nuova bancarotta fraudolenta) "1. È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l'imprenditore che:
a) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti; b) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
2. La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato in liquidazione giudiziale, che, durante la procedura, commette alcuno dei fatti preveduti dalla lettera a) del comma 1, ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
3. È punito con la reclusione da uno a cinque anni l'imprenditore in liquidazione giudiziale che, prima o durante la procedura, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione.
4. Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni."
L'art. 323, invece, disciplina la nuova bancarotta semplice stabilendo, nella specie, che "1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l'imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell'articolo precedente: a) ha sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica; b) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l'apertura della liquidazione giudiziale; d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa; e) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o liquidatorio giudiziale.
2. La stessa pena si applica all'imprenditore in liquidazione giudiziale che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di liquidazione giudiziale ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta.
3. Salve le altre pene accessorie di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna importa l'inabilitazione all'esercizio di un'impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a due anni.".
2) I REATI TRIBUTARI: D.LGS. 10 MARZO 2000, N. 74
A seguito dell'entrata in vigore della legge n. 516/1982 si è realizzato, come noto, un notevole sistema repressivo, avente come scopo ultimo quello di circoscrivere e avversare l'evasione fiscale tramite il diritto penale e gli strumenti giuridici da esso previsti. Con l'anzidetta legge, si è tentato di realizzare una sorta di "giustizia sociale", spingendo la sanzione penale ad ergersi quale funzione preventiva.
In tal senso, si inserisce il d.lgs. n. 74/2000 rubricato «Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205» Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 76 del 31 marzo 2000, recentemente modificato dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 - che, nello specifico, apporta notevoli modifiche a tale legge spostando così, l'asse della repressione penale sul momento della dichiarazione annuale dei redditi, che diviene, quindi, il presupposto ai fini della realizzazione dell'evasione fiscale. Il decreto de quo, dunque, ha ad oggetto le violazioni in materia di imposte sui redditi e Iva. Esso, si compone di cinque titoli: nel primo titolo vengono definiti i principali concetti giuridici; nel secondo, si procede nella disamina in tema di delitti fiscali in materia di dichiarazione, di documenti e di pagamento delle imposte; nel titolo terzo, poi, il legislatore si sofferma sulle "pene accessorie", "circostanze attenuanti speciali", "competenza per territorio", "prescrizione"; nel quarto titolo, invece, sul sistema sanzionatorio amministrativo e, infine, nel titolo quinto, vengono riprodotte le disposizioni di coordinamento e finali.
E' d'uopo dare atto in tal sede di come il d.lgs. in commento sia stato, di recente, oggetto di notevoli modifiche ad opera della legge 19 dicembre 2019, n. 157 - pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 2019 - con cui è stato convertito, con modificazioni, il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (c.d. decreto fiscale), il cui art. 39 contempla varie modifiche al sistema penal-tributario. In particolare, la novella interviene sul trattamento sanzionatorio dei reati tributari di cui al d.lgs. 74/2000; introduce la confisca allargata per i medesimi reati tributari prevedendo, altresì, la responsabilità degli enti ex decreto 231 per illeciti penali tributari.
Operate tali, seppur sommarie, considerazioni di carattere generale e volendo in tal sede offrire una definizione di cosa debba intendersi per reati tributari, si noti come siano qualificabili quali reati tributari gli illeciti penali specificamente destinati a sanzionare la violazione di norme poste a tutela dell'interesse dell'amministrazione finanziaria all'esercizio dei poteri dell'accertamento controllo e riscossione dei tributi che spettano ad essa nello specifico campo delle imposte dirette e della imposta sul valore aggiunto.
Il suddetto decreto che disciplina i reati tributari, li suddivide in due macro categorie: i delitti in materia di dichiarazione e i delitti in materia di documenti e pagamento di imposte.
Tra i primi vengono annoverati: il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, quello di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, nonché il reato di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione. Tra i secondi, invece, sono previsti i reati il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di occultamento o distruzione di documenti contabili nonché quelli di omesso versamento di ritenute dovute o certificate, di omesso versamento di IVA, indebita compensazione e di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
2.1.) SEGUE. IL REATO DI OCCULTAMENTO O DISTRUZIONE DI DOCUMENTI CONTABILI
Previsto ex art. 10 del d.lgs. 74/2000 - secondo cui "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari" - il reato de quo, presuppone l'istituzione - da parte dell'imprenditore - della documentazione contabile nonché la produzione di un reddito e, pertanto, non contempla anche la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata, come noto, a livello amministrativo ex art. 9 d.lgs. 471/97. In virtù della normativa in esame, le condotte penalmente rilevanti possono consistere, dunque, sia nella distruzione, sia anche nell'occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari dell'impresa.
Sicché ai fini della configurabilità del reato, come prontamente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, non è sufficiente un mero comportamento omissivo, ossia l'omessa tenuta delle scritture contabili, ma è necessario un quid pluris a contenuto commissivo, consistente nell'occultamento o nella distruzione dei documenti contabili, la cui istituzione e tenuta è obbligatoria per Legge (Cfr. Cass. n.11123/21).
3) IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM: BREVI CENNI
Al fine di una maggiore comprensione della sentenza oggetto della trattazione, giova offrire talune precisazioni di carattere generale sul principio del ne bis in idem.
In forza del principio de quo, racchiuso nel perimetro dell'art. 649 c.p.p., si prevede che l'imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale di condanna, o con ordinanza o decreto che abbiano contenuto di sentenza, irrevocabili, o destinatario di sanzione amministrativa definitiva di natura sostanzialmente penale, non può essere nuovamente processato per lo stesso fatto storico, neanche in relazione ad una diversa qualificazione di esso od a diverse circostanze, a meno che si accerti che fu erroneamente dichiarato defunto e per ciò prosciolto oppure che fu prosciolto per difetto di procedibilità quando la condizione di procedibilità è sopravvenuta o non è più richiesta, o ancora che lo stesso fatto violi contemporaneamente più norme incriminatrici tanto da dare luogo a concorso formale di reati, o ancora che sopravvenga la dichiarazione di illegittimità costituzionale di norma diversa da quella incriminatrice ma che abbia concorso alla determinazione della misura della pena (CORDERO).
In tutti i casi in cui un nuovo procedimento penale abbia avuto inizio per il medesimo fatto, nei confronti della persona già processata - ma anche per quella che presso la medesima sede giudiziaria è oggetto di analogo giudizio non ancora in giudicato - il giudice, in ogni stato e grado del giudizio, e fermo restando le eccezioni sopra menzionate, pronuncia sentenza di proscioglimento o, comunque, di non luogo procedere, indicandone, in sede di dispositivo, la causale.
4) I GIUDICI DI LEGITTIMITA' ESCLUDONO IL NE BIS IN IDEM: CASS. PEN., SEZ. V, SENTENZA 2 MARZO 2020 N. 7557
Il tema della violazione del divieto di bis in idem in ordine alle fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale e di occultamento o distruzione di documenti contabili, rispettivamente ex artt. 216, co. 1, n. 2, Legge Fall. e art. 10, d.lgs. n. 74/2000, è stato recentemente oggetto di pronuncia ad opera della giurisprudenza di legittimità. Il riferimento, nella specie, è alla recentissima sentenza n. 7557 del 2022.
La vicenda prende avvio dalla condanna, rivolta a tre amministratori, per bancarotta fraudolenta documentale. In particolare, ad uno degli anzidetti amministratori veniva contestata l'ipotesi di sottrazione delle scritture contabili, mentre gli altri due - precedentemente in carica - venivano ritenuti responsabili di aver tenuto le predette scritture in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Il primo degli amministratori era già stato processato con sentenza definitiva di assoluzione per insussistenza del fatto per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, sempre in riferimento alla medesima società; pertanto, l'imputato ricorreva per cassazione contestando l'improcedibilità del nuovo giudizio, ex art. 649 c.p.p. (ne bis in idem), trattandosi dello stesso fatto per cui era già intervenuta la sentenza assolutoria.
Nel procedere alla disamina della questione sottoposta al suo vaglio, la Corte, anzitutto, prende avvio dalla nota sentenza della Consulta (cfr. Corte Cost. n. 200/2016) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, escludeva che il fatto fosse il medesimo per la sola circostanza che sussistesse un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui era iniziato il nuovo procedimento penale. La pronuncia richiamata ha, infatti, affermato che al fine di rilevare il requisito della medesimezza del fatto, ex art. 649 c.p.p., è d'uopo appurare se si sia in presenza del medesimo fatto storico, inteso quale "accadimento materiale". Per come si evince dal testo della sentenza emessa dalla Consulta, infatti, l'eventuale sussistenza di un concorso formale tra i reati oggetto della res iudicata e della res iudicanda "è un fattore ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 649 c.p.p. […]. Ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul fatto storico".
Sicché - precisa la Corte - la sussistenza di un concorso formale di reati, pur non escludendo alla base la violazione del divieto di bis in idem, non consente, in ogni caso, il prodursi dell'effetto contrario, affermando, in particolare, che il fatto che sussista un concorso formale tra reati non determina, in modo automatico, l'operatività dell'art. 649 c.p.p.
Una precisazione quella opera dalla Corta che riveste, senz'altro, un ruolo importante dal momento che, nonostante la clausola di riserva contenuta nell'art. 10 d.lgs. n. 74/2000 e la dottrina contraria (SALVINI - CAGNOLA), la giurisprudenza appare orientata nel riconoscere l'esistenza di un concorso di reati tra le due fattispecie delittuose in commento (cfr. da ultimo, Cass. Pen., Sez. V, 13 marzo 2018, n. 11049).
Operate tali, seppur brevi premesse, si noti come la Cassazione nella pronuncia in commento ha osservato come, nel caso di specie, vi fossero quanto meno due distinti elementi che permetterebbero di estromettere la ricorrenza dell'idem factum, rilevante ex art. 649 c.p.p.
Il primo degli anzidetti elementi è rappresentato dalla "non sovrapponibile collocazione temporale delle condotte"; invero, per come si legge nel testo della sentenza, mentre nel processo per il reato tributario la sottrazione delle scritture si riferiva a fatti anteriori al 12 novembre 2005, nel processo pendente innanzi alla Corte il riferimento è alla sottrazione di tutte le scritture fino alla data del fallimento (dichiarato in data 23 luglio 2009). Ciò, a mente degli Ermellini, permetterebbe di evidenziare una distinzione sostanziale tra le due condotte oggetto dei rispettivi procedimenti penali.
In secondo luogo, ulteriore elemento di differenziazione, riguarderebbe l'oggetto materiale del reato e, nella specie, la natura delle scritture contabili. Infatti, mentre la bancarotta fraudolenta documentale - come più volte ribadito nel corso della trattazione - ha per oggetto non solo tutte le scritture contabili obbligatorie ma anche quelle meramente facoltative richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa, il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 d.l.gs. n. 74/2000, concerne esclusivamente le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione ai fini fiscali. Sicché, l'oggetto materiale del reato fallimentare appare oltremodo più esteso rispetto a quello relativo al reato tributario.
Ciò posto, evidenzia la Corte, nel caso di specie, la censura risente del difetto di allegazione del ricorrente e, alla luce di tali ragioni, è d'uopo rifarsi alla sola contestazione del pubblico ministero laddove si parla di "documenti contabili e fiscali di cui era obbligatoria la conservazione". E' di palmare evidenza, per come motivato in sentenza, l'assenza di una delimitazione dell'oggetto materiale del reato contestato, la quale scongiurerebbe una sovrapposizione circa la tipologia di scritture contabili oggetto di sottrazione. Di talché, i giudici, alla luce delle motivazioni testé addotte, sono pervenuti al rigetto del ricorso presentato dall'imputato che intendeva fare valere l'improcedibilità del giudizio per bancarotta documentale avviato nei suoi confronti dopo essere stato assolto perché il fatto non sussiste dal reato tributario di occultamento contabile.
Più in particolare, secondo i giudici di legittimità, non vi è automaticamente la medesimezza del fatto con conseguente applicazione del divieto del ne bis in idem, posto che la bancarotta documentale non può essere sovrapposta all'omessa documentazione sanzionata sul piano tributario, essendo, infatti, il perimetro della prima assai più ampio della seconda.
Conclusivamente, dunque, giova in ogni caso evidenziare che i giudici di legittimità, pur rigettando il ricorso, non hanno di fatto precluso in via generale la violazione del principio del "bis in idem" tra le due fattispecie criminose in esame, rilevando solamente l'insussistenza - alla luce delle risultanze istruttorie - di tale violazione nel giudizio sottoposto al loro vaglio.

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