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Data: 04/07/2022 10:00:00 - Autore: Mario Cinitiempo
Mancanza della formula del MTM, nullità dei contratti[Torna su] La Sesta Sezione Civile del Tribunale di Milano, con competenza specifica in rapporti bancari e intermediazione finanziaria, allineandosi all'ormai consolidata giurisprudenza - Sezioni Unite 8770/2020 fino all'ultimo arresto 21830 del 29 luglio 2021 - con la sentenza 918 pubblicata il 3 febbraio 2022 ha accolto la domanda dello scrivente avvocato, difensore di una fiorente società campana nonché autore di una recente pubblicazione scientifica sull'argomento, ed ha condannato la banca alla restituzione dei corposi flussi finanziari generati dai derivati dopo la sottoscrizione dell'accordo quadro avvenuta il 7 gennaio 2019. Benché l'articolato difensivo contenesse plurime doglianze - distribuite tra nullità, annullamento e responsabilità dell'intermediario - il dott. Claudio Antonio Tranquillo della citata Sezione, si è concentrato sulla mancanza della formula del MtM - Mark to Market - per dichiarare la nullità dei 12 derivati conclusi dalla società nel biennio 2019-2020. La domanda, originariamente incardinata con il rito sommario, nonostante il passaggio alla cognizione piena, ha avuto un'accelerazione, bypassando le nutrite richieste istruttorie di parte attrice, verso la precisazione delle conclusioni e decisione a seguito di trattazione orale, disciplinato dall'articolo 281 sexies dello stesso codice. Così disponendo il Tribunale di Milano ha dato prova tangibile di apprezzabile celerità pervenendo alla decisione finale in soli 9 mesi. Definizione del MTM (Mark to Market)[Torna su] Ripercorrendo la puntuale motivazione posta alla base della decisione del Tribunale meneghino, la sentenza incardina l'argomentazione a partire dalla definizione del MtM - letteralmente in marcare il mercato - definendolo come "sommatoria attualizzata dei differenziali futuri attesi sulla base delle condizioni dell'indice di riferimento", e sancisce la necessità di esplicitare la formula matematica di fatto applicata, tra le molteplici esistenti, giacché ciascuna di queste condurrebbe a risultati diversi. Il Giudice ha pertanto sostenuto che, ancorché "le prestazioni inerenti ai flussi finanziari derivanti dai contratti costituiscono l'oggetto per così dire tangibile, nessuno perviene a stipulare un derivato individuando sic et simpliciter i parametri finanziari di riferimento e gli altri elementi quali la 1 durata e le commissioni. Ciò relegherebbe il derivato in una mera scommessa del tutto priva di razionalità" - e prosegue - "al momento della stipula il prezzo da pagare all'intermediario viene basato proprio sull'andamento ipotizzabile del rapporto e l'astratta previsione dell'andamento del mercato, sintetizzata dal MtM, determina il contenuto del contratto. Precisa infine - "se il contratto deve avere una razionalità ne consegue che l'oggetto dello stesso non può prescindere dalla formula del mark to market se non addirittura dalla sua esplicitazione al momento della stipula". Va da sé che l'esplicitazione della formula, cui la banca farà ricorso, all'inizio e prima della stipula, diviene fondamentale anche per la classificazione del derivato cosiddetto "par", tale quando il valore di partenza è nullo, cioè non è né negativo né positivo per entrambe le parti, così come chiarito dalla Consob nell'audizione davanti alla VI Commissione Finanze e Tesoro del Senato del 18 marzo 2009. Se questo non avviene, come nella fattispecie sub iudice, il contratto si definisce "non par", e presenterà, già nel momento iniziale, un valore di mercato negativo per una delle due parti, solitamente per il cliente. Ciò accade poiché uno dei due flussi di pagamento non riflette il livello degli indici del mercato di riferimento. Nei contratti "non par" l'equilibrio contrattuale viene ristabilito attraverso il pagamento di una somma di denaro alla controparte, la quale accetta condizioni più penalizzanti. Tale pagamento, definito up front, parte degli elementi cristallizzati nella domanda, corrisponde al valore di mercato negativo del contratto. Ma il Tribunale ha fatto ancora di più. Formula MTM requisito essenziale del contratto[Torna su] Tra le argomentazioni a fondamento della decisione - che vede la formula per il calcolo del MtM requisito "essenziale" del contratto, la cui mancata esplicitazione comporta la nullità del contratto per indeterminatezza dell'oggetto - è stata centrale l'esegesi dell'art. 2426 del codice civile della sezione IX che si occupa del bilancio delle società di capitali. Attraverso un iter logico argomentativo, cristallino e ben strutturato, anche per quanto riguarda la materia fiscale, il dottor Tranquillo supporta la tesi dell'indeterminatezza dell'oggetto del contratto con la necessità di "valutazioni 2 attendibili" cui il criterio di determinazione del MtM deve condurre. In altre parole, mancando il fair value - locuzione inglese la cui traduzione letterale è "valore o prezzo equo" che unisce due significati distinti: quello etico di giusto prezzo e quello tecnico di prezzo/valore corretto - egli paventa una reale impossibilità di appostare le perdite causate dai derivati secondo i principi contabili nazionali dell'OIC 32. L'articolo 2426 offre inoltre un'ulteriore possibilità al Giudice, cioè quella di cristallizzare anche il principio della meritevolezza dei contratti non tipizzati dal legislatore - proprio come il caso dei derivati finanziari - attraverso un'altra norma, l'art. 2427 bis, che disciplina le attività delle società per la redazione della nota integrativa al bilancio in riferimento al richiamato fair value ai fini di una "corretta rappresentazione economica". Il valore equo, fair value - di cui parla il Giudicante - è "il prezzo che si riceverebbe per vendere un'attività, o che si pagherebbe per trasferire una passività, in una transazione ordinata tra operatori di mercato al momento della misurazione" così definito dalla Financial Reporting Standard nei principi contabili. Non meno interessante, poi, è la determinazione del Giudice in ordine alla richiesta della banca di applicazione dell'art. 1338 del codice civile, norma che prevede il risarcimento del danno dovuto dalla parte che "conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità del contratto non ne ha dato notizia all'altra". Ebbene, la decisione è stata quantomeno suggestiva perché il Tribunale ha di fatto ribaltato sull'intermediario istituzionale la responsabilità in ordine all'esistenza di una causa di invalidità conosciuta - cit. "s'impone a fortiori nei confronti del soggetto convenuto in quanto primaria impresa bancaria". Finalmente - con Giurisprudenza datata e consolidata oramai - si è acclarato che prima dell'esame dei contratti si deve dare risalto al ruolo che ciascuna parte ricopre in essi. E considerato che le maggiori e fondamentali informazioni sono in possesso principalmente di colui che confeziona il derivato - vertendosi perlopiù in competenze di ingegneria finanziaria - 3 maggiore tutela dovrà essere riservata alla controparte che, seppur classificata dalla banca come cliente professionale di diritto in base a criteri oggettivi, non ha un'effettiva conoscenza del prodotto. Non è inusuale infatti che il cliente, pur credendo di accedere a questo mercato per fini di copertura di rischi economici, si ritrovi coinvolto in mere speculazioni, laddove l'alea diviene irrazionale e tutt'altro che bilaterale. Del resto, nella vicenda sottesa alla decisione, la difesa curata dallo scrivente spaziava, oltre sul MtM e sugli scenari probabilistici, proprio sulla mancanza di copertura, il cosiddetto effetto hedging, trattandosi vieppiù di commodities ossia di merci e non di tassi di interessi come disciplinati nei derivati IRS - Interest Rate Swap. La difesa della società lamentava la mancanza della contrattualizzazione a prezzo fisso delle vendite alla clientela, dimostrandola attraverso corposa documentazione, la quale smentiva sedicenti ed inesistenti acquisti programmati della commodity - rappresentata, nel caso in esame, dal gasolio - che avrebbero avuto il fine di tutelare la marginalità generata tra il prezzo contrattuale che la società avrebbe stabilito e il prezzo di riferimento, individuato su base Platt's - ossia il valore, in dollari americani, a cui una tonnellata di benzina o di gasolio può essere venduta dalle raffinerie. La conseguenza è che, alla luce degli obblighi sanciti dagli articoli 21 e 23 del Testo Unico sugli Intermediari Finanziari, i cui adempimenti a carico della banca sono riportati anche nella sentenza delle Sezioni Unite 29107 del 18 dicembre 2020, è innegabile la presenza di mala fede, la quale avrebbe altresì comportato il riconoscimento di interessi moratori, di cui all'articolo 1264 IV codice civile, a far data dai singoli flussi che i derivati avevano generato, nonché la condanna - prevista dall'articolo art. 96 del codice di rito - per responsabilità aggravata della banca. |
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