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Data: 25/05/2022 10:00:00 - Autore: Marco PingitoreL'incapacità genitoriale si cura?
Ho letto con grande attenzione ed interesse l'articolo pubblicato il 19 maggio 2022 dal titolo "Il rapporto tra psicologia e giustizia" pubblicato su questa testata a commento del documento "Sulle prescrizioni psico-giudiziarie da parte dei Tribunali nei casi di separazione, divorzio e affidamento dei figli" approvato, all'unanimità, in marzo 2022, dal Consiglio dell'Ordine degli Psicologi della Calabria.
L'articolo concentra il focus delle osservazioni sostanzialmente sull'art. 30 della Costituzione: se è vero che l'art. 32 della Costituzione vieta trattamenti sanitari contro la volontà dei soggetti (adulti) è altresì vero che l'art. 30 della Costituzione prevede un "dovere", da parte dei genitori, di mantenere, istruire, educare i figli. Il diniego di cui all'art. 32 della Costituzione è superabile dal "dovere" di cui all'art. 30?
L'articolo recita «Seguire un invito ad un percorso non è certo un obbligo, poiché nessuno può obbligare un altro a subire un trattamento sanitario o pseudo tale, ma il diritto fin dai tempi di Roma conosce il concetto di onere, intesa come necessità di adempiere ad un dovere a pena della perdita di una facoltà concessa dall'ordinamento». Questo appare lo stralcio più significativamente critico, seguito dall'altro «Il diritto in realtà non viene compresso, il genitore continua ad essere libero di scegliere se aderire o no a percorsi di acquisizione di competenze, ma alla sua libertà conseguono necessarie conseguenze di tutela sociale dei minori».
Lo scrivente si chiede come sia possibile affermare un diritto alla libertà (rectius "all'autodeterminazione") del genitore di aderire al trattamento sanitario di tipo psicologico imposto/suggerito e allo stesso tempo sostenere che «alla sua libertà (di scelta) conseguono necessarie conseguenze di tutela sociale dei minori». In sintesi, questo genitore è realmente libero di autodeterminarsi o è solo libero di aderire all'invito/prescrizione da parte dei Tribunali? Se non aderisse al trattamento psicologico (sostegno psicologico o psicoterapia), il Tribunale potrebbe disporre dei provvedimenti negativi sulla responsabilità genitoriale del genitore inadempiente. Questo paradosso (sei libero di scegliere, ma se scegli male ci saranno conseguenze) costituisce un vizio, nello specifico un condizionamento della libertà individuale della persona e, di conseguenza, un consenso informato non valido.
Il documento dell'Ordine degli Psicologi della Calabria affronta nel dettaglio il tema di consenso informato, sancito dal'art. 32 della Costituzione, che deve essere prestato senza alcun vizio o condizionamento. Questo prevede la legge n. 219/17 all'art. 1. E gli stessi principi sono ben enunciati all'interno del Codice Deontologico degli Psicologi.
L'articolo fa riferimento a delle pronunce di merito dei Tribunali di Milano e di Roma del 2017, in concomitanza della promulgazione della L. 219/17 e prima dell'entrata in vigore della L. 3/18 c.d. "Legge Lorenzin" in cui, finalmente, la Psicologia viene annoverata definitivamente nelle professioni sanitarie con tutte le conseguenze del caso in tema di consenso informato.
L'art. 30 della Costituzione sancisce il "dovere" dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, ma non certo il "dovere" di sottoporsi ad un trattamento sanitario di tipo psicologico (o anche medico) in contrasto con il principio inderogabile del consenso informato (art. 32 della Costituzione), così come illustrato in modo approfondito nel documento dell'Ordine degli Psicologi della Calabria.
Anche il secondo comma dell'art. 30 va in questa direzione «Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». Incapacità di mantenere, istruire ed educare, non "incapacità psicologica", categoria diagnostica inesistente. Inoltre, il suddetto comma prevede che «la legge» sia a provvedere, non i Tribunali per mezzo di improbabili imposizioni di trattamenti sanitari. E come può provvedere la legge? Ad esempio, per mezzo di sussidi economici oppure mettendo a disposizione i LEA - Livelli Essenziali di Assistenza - erogati dal Servizio Sanitario Nazionale che nello specifico caso i Consultori familiari rappresentano un fondamentale punto di riferimento. Tuttavia, per accedere al SSN è necessario un valido e non viziato consenso informato. A nessuno può essere imposto un trattamento sanitario, così come sancito costantemente dalla giurisprudenza di legittimità in tema di consenso informato.
A tal proposito, l'articolo fa riferimento alla recente ordinanza della Cassazione del 2022 n. 9691 in cui verrebbe suggerito un trattamento psicologico in capo alla madre:
«una fase di recupero attraverso una paziente ripresa dell'opera di assistenza psicologica al minore – e con l'auspicabile ausilio dei difensori delle parti – che implichi anche una adeguata attività psicologica di sostegno alla ricorrente (ndr madre) volta a persuaderla dell'inizio di una significativa relazione del padre con il figlio, nell'interesse di quest'ultimo.»
Secondo l'ordinanza degli Ermellini, la madre dovrebbe essere sottoposta ad una «adeguata attività psicologica di sostegno». Ma la Cassazione sembra andare oltre, addirittura stabilendo anche gli obiettivi dell'intervento clinico: «volta a persuaderla dell'inizio di una significativa relazione del padre con il figlio, nell'interesse di quest'ultimo». Potremmo interrogarci ulteriormente su cosa consista nello specifico «un'adeguata attività psicologica persuasiva», ma questo è un altro articolo.
In sintesi, il Collegio (che a pag. 29 dell'ordinanza sferra un ingiustificato e inaccettabile attacco alle Scienze Psicologiche) non solo impone un trattamento psicologico, ma stabilisce anche gli obiettivi dell'intervento clinico, a dimostrazione che il documento dell'Ordine degli Psicologi della Calabria centri l'obiettivo di tutelare le Scienze Psicologiche, le Psicologhe e gli Psicologi, i figli e i genitori coinvolti in questo genere di procedimenti giudiziari. Si immagini una madre costretta ad essere persuasa della importanza per il figlio di avere una «significativa relazione» con il padre. Ogni genitore deve essere libero di pensare ciò che vuole, ma naturalmente subirà delle conseguenze se i suoi comportamenti violano i diritti dei figli ex art. 337-ter comma 1 c.c. Conseguenze che non potranno essere di natura sanitaria, ma giudiziaria: affidamento esclusivo all'altro genitore (art. 337-quater c.c.), decadenza della responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.) ecc. Anche perché intanto che il genitore viene "persuaso", nessuno pensa alle sorti del figlio.
L'articolo poi concede questa affermazione «Non è certo viziato il consenso di un genitore che aderisce al percorso per salvare la relazione con il figlio, anzi è simile a quello che per salvarsi la vita presta il consenso ad una amputazione o ad un trapianto». Il paragone non sembra reggere: l'amputazione o un trapianto non sono certamente prescritte da un Tribunale. Infine, appare doveroso un'ultima osservazione allorquando viene affermato che «Si tratta, in sostanza, di costruire una domanda di intervento insieme alle parti, di stare dentro la relazione, di accompagnare chi abbiamo davanti nel riconoscimento di quanto accaduto nella relazione e che ha portato a richiedere l'intervento di terzi, siano avvocati o giudici. Questo tipo di intervento permetterebbe l'accesso a dimensioni emotive più profonde, abbassando le difese che inevitabilmente si alzano quando si ha di fronte qualcuno che "deve" valutare e giudicare un comportamento pregiudizievole, all'interno di un contesto che chiaramente rende più difficile il riconoscimento dei propri errori. In tal senso, l'obiettivo dell'intervento psicologico può essere quello di attivare risorse nel minore e negli adulti che lo circondano, proprio a partire dall'evento critico che li ha portati nel contesto giudiziario».
Non si comprende come sia possibile costruire una domanda insieme alle parti se queste non sono libere di scegliere, così come non è chiaro chi debba tentare di costruire in modo "spontaneo" una presunta quanto improbabile relazione coatta con i genitori basata essenzialmente su una minaccia percepita: se non aderisco, perdo i miei figli.
Marco Pingitore Psicologo-Psicoterapeuta
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