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Data: 17/06/2022 08:00:00 - Autore: Annamaria Villafrate
Maltrattamenti compagna davanti al figlio[Torna su]
Il comma 2 dell'art. 572 c.p, che punisce i maltrattamenti commessi nei confronti dei familiari, prevede l'aggravante della pena, consistente nell'aumento della stessa fino alla metà se il reato è commesso in presenza di un minore. Questo perché il minore è un soggetto che, a causa del mancato completamento del proprio sviluppo psico fisico, è più sensibile a livello emotivo. Il trauma che lo stesso riporta quando è piccolo nell'assistere a episodi di maltrattamento commessi dal padre nei confronti della madre può segnarlo profondamente. Tali conseguenze non sono meno gravi rispetto a quelli che può riportare il minore vittima di un reato. L'aggravante quindi non è non è irragionevole, tanto è vero che lo stesso legislatore considera il minore che assiste al reato come persona offesa. Queste le importanti precisazioni contenute nella sentenza della Cassazione n. 21024/2022 (sotto allegata). La vicenda processualeIn sede di appello l'imputato viene condannato alla pena di sei anni di reclusione per diversi reati commessi ai danni della convivente tra i quali figura il reato di maltrattamenti contro i familiari come previsto dall'art. 572 c.p e per altri ancora commessi invece nei confronti del figlio. Incostituzionale l'aggravante prevista se il minore è spettatore?[Torna su]
L'imputato a mezzo difensore rifiuta la condanna inflitta contestando le dichiarazioni rese dalla persona offesa in relazione ai fatti di cui è stato accusato, facendo presente che nella convivenza ci sono stati anche periodi di quiete. L'imputato chiede poi che venga sollevata questione di legittimità costituzionale in relazione all'art. 572 c.p, in quanto il legislatore, per come è formulata la norma, in pratica ha parificato la commissione di un delitto davanti a un minore al reato commesso in danno di un minore, violando in questo modo l'art. 3 della Costituzione. Aggravante per il maltrattamento commesso davanti a un minore[Torna su]
La Cassazione nel rigettare il ricorso ribadisce che la persona offesa è risultata pienamente attendibile perché la stessa ha reso dichiarazioni congrue, mai contraddittorie o inverosimili. Durante le dichiarazione inoltre la donna non ha mai mostrato risentimento e rabbia e in alcuni casi ha anche riconosciute le qualità personali positive dell'imputato, come l'affetto e l'amorevolezza verso il figlio più piccolo. Narrazione che è stata confermata da altri riscontri, anche documentali, che quindi non portano a dubitare sull'attendibilità delle vittima. Nel corso del giudizio è emerso inoltre molto chiaramente che il compagno, per anni, ha sottoposto la compagna a crescenti vessazioni, umiliazioni, percosse e intimidazioni, che contrariamente a quanto affermato dal difensore dell'imputato non si sono manifestati in modo sporadico. Si è infatti trattato "di una prolungata e unitaria sequenza di violenze fisiche e morali, perpetrate dall'imputato nei confronti della compagna" per diversi anni. La Cassazione non rileva inoltre alcuna irragionevolezza nel trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato per il fatto che lo stesso ha commesso il reato di maltrattamenti in presenza del figlio. La Cassazione fa presente infatti che "il fatto commesso in presenza di un minore, soggetto "debole" per definizione, non è certamente privo si un significato offensivo nei confronti del minore medesimo, la cui integrità psichica, nel breve e/o nel lungo periodo, può essere seriamente compromessa dalla diretta percezione di gravi episodi di violenza commessi in ambito familiare. La ratio dell'aggravante si correla, infatti, all'esigenza di elevare la soglia di protezione di soggetti i quali, proprio a cagione della incompletezza del loro sviluppo psico fisico , risultino più sensibili ai riflessi dell'altrui azione aggressiva, specie se commessa da un genitore in danno dell'altro, e possano così rimanere vulnerati (…)." Non è quindi illogica l'equiparazione fatta dal legislatore di reati commessi in presenza o ai danni d un minore. In entrambi i caso la ratio è la tutela di un soggetto debole. La Cassazione ritiene infine di dover far presente che comunque al giudice è rimessa la scelta discrezionale di applicare l'aggravante fino alla metà, modulando in questo modo la punizione in base agli elementi di fatto accertati nel corso del giudizio. Leggi anche Violenza assistita: i minori vittime di contesti familiari violenti |
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