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Data: 08/07/2022 08:00:00 - Autore: Roberto Paternicò
La responsabilità del proprietario o utilizzatore di un animale[Torna su] Il principio che governa la responsabilità del proprietario di un animale o di chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, si rintraccia nell'art. 2052 c.c. in relazione alla proprietà od utilizzo dell'animale stesso nonché sul nesso causale tra il comportamento dell'animale e l'evento dannoso. (Cass. civ. n. 12392/2016). Per distinguere tra la responsabilità del proprietario e quella di colui che se ne serve per il tempo che lo ha in uso, l'alternatività posta dalla succitata norma, evidenzia come il "tenere in uso" l'animale significa esercitare su di esso un potere effettivo di governo, tipico di quello che normalmente compete al proprietario e derivante da un rapporto giuridico o di fatto. Ne consegue che, di norma, la responsabilità grava sul proprietario perché questi "fa uso" dell'animale, ma affinché tale responsabilità gravi su un altro soggetto, occorre che il proprietario (giuridicamente o di fatto) si sia spogliato di detta facoltà e non continui ad avere ingerenza nel governo dell'animale. (v. Cass. civ. n. 979/2010 e Cass Civ. n. 16023/2010). Da tutto ciò ne deriva la necessaria verifica di un elemento di fatto e cioè il governo dell'animale. L'esimente della responsabilità[Torna su] Come ricordato da Cass. civ. n.5825/2019, per quanto concerne la responsabilità del danneggiante, questi, ".. può andare esente da responsabilità - che è di natura oggettiva e prescinde, quindi, dalla colpa - solo dimostrando il caso fortuito, costituito da un fattore esterno, che può essere anche il fatto del terzo o il fatto addebitabile esclusivamente allo stesso danneggiato…". L'onere della prova[Torna su] In base, quindi, alla disciplina di cui all'art. 2052 cod. civ. grava sul danneggiato l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra l'animale e l'evento lesivo, mentre la prova del fortuito è a carico del danneggiante (tra le tante, Cass. civ. n. 17091/2014). La responsabilità del maneggio[Torna su] Nel caso di un danno a terzi, cagionato dall'animale, avvenuto mentre il maneggio aveva la custodia del cavallo, in base ad un contratto di "scuderizzazione" (pensione e custodia) stipulato con il proprietario del cavallo, la custodia (ovvero la gestione) dell'animale grava su chi lo detiene per conto e nell'interesse del proprietario. In tal caso, è esclusa ogni responsabilità del padrone del cavallo, assente al momento del sinistro. In tema di lezioni di equitazione, Cass. civ. n. 6737/2019 ha affrontato il caso di una principiante che aveva effettuato soltanto andature al "passo" ed al "trotto". Malgrado i timori palesati dalla stessa, l'istruttore, dopo poche lezioni la riteneva pronta per iniziare a galoppare e intimava al cavallo, ad alta voce, l'ordine di partire al galoppo provocando il repentino scatto dell'animale e la caduta a terra dell'allieva, che riportava danni alla persona. Sul caso, la S.C. ha ritenuto che "..l'attività svolta presso un maneggio é da qualificare come pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c., quando si verta in tema di danni conseguenti ad esercitazioni di un principiante non in grado di governare le imprevedibili reazioni dell'animale con applicazione della presunzione di cui all'articolo indicato, che prevede l'obbligo per il gestore dell'attività pericolosa di risarcire il danno a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.". A questo proposito, Cass. civ. n. 12392/2016 ha chiarito che "l'attività di equitazione viene notoriamente annoverata tra le attività pericolose e sussunta nell'art. 2050 c.c. ma se la cavallerizza è esperta, la medesima attività rientra tra i danni cagionati dagli animali ex art. 2052 c.c.". "Le attività pericolose, infatti, non sono solo quelle qualificate come tali dalla legge di pubblica sicurezza e da altre leggi speciali, ma anche quelle che, per la loro stessa natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati comportino, in ragione della loro spiccata potenzialità offensiva, una rilevante possibilità del verificarsi di un danno, con accertamento concreto demandato al giudice di merito.". Il soggetto che doveva esercitare il controllo sulla attività pericolosa, quindi, era il gestore del maneggio, proprio per il fatto che l'allieva non fosse una cavallerizza esperta. In questo quadro, la prova liberatoria per la responsabilità del gestore del maneggio, all'interno del quale un cavallerizzo inesperto abbia riportato un danno, attiene la mancata dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno stesso.
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