Data: 24/07/2022 12:00:00 - Autore: Mariangela Martirani

Crisi familiari e interventi psicogiuridici

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In Calabria è nato un movimento costituito da professionisti di varie di discipline, che si propone di riflettere, confrontarsi e elaborare sui principi e le pratiche che guidano il lavoro di sostegno alle famiglie e ai minorenni per tutelarne il benessere. Un obiettivo che si realizza promuovendo la genitorialità consapevole, attraverso lo sviluppo o il potenziamento delle competenze genitoriali e che, come la buona pratica clinica insegna, non può prescindere da un'accurata valutazione delle stesse. La valutazione delle competenze genitoriali può essere effettuata dallo psicologo in contesto spontaneo, quando la richiesta proviene direttamente dai genitori, che scelgono di fronteggiare la propria crisi predisponendosi al cambiamento in una cornice di aiuto professionale, oppure in un contesto giudiziario. In questo ambito, nei casi di separazione, divorzio e affidamento dei figli, allorquando i genitori non raggiungono un accordo su questi ultimi, interviene il Tribunale Ordinario; nei casi in cui la famiglia manifesti una grave multiproblematicità, esponendo i figli minorenni al rischio di maltrattamento, interviene il Tribunale per i Minorenni. Riflettere sugli aspetti procedurali dei due contesti di osservazione (spontaneo o giudiziario) è un compito specifico degli psicologi, in quanto professionisti della salute che curano le relazioni e in special modo quelle primarie, per lo sviluppo della persona, dei gruppi e della comunità. Nell'ambito spontaneo le marche di contesto e l'analisi della domanda sono definite dal setting psicologico, in una modalità condivisa dall'utenza, che definiamo "alleanza di lavoro". Differentemente, nell'ambito giudiziario civile i limiti e le finalità dell'intervento sono definite dal Giudice che riveste il ruolo di committente e unico decisore, avente il mandato di garantire il diritto dei figli a crescere in un contesto affettivo e relazionale che ne promuova le potenzialità assicurandogli il benessere come recita la legge dell'8 febbraio 2006, n. 54: "il Giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa". L'obiettivo di salvaguardare il benessere psicofisico del minore può essere realizzato attraverso la valutazione delle dinamiche familiari e genitoriali, che il Giudice dispone, coinvolgendo i Servizi Sociosanitari territoriali per prevenire o ridurre, il disagio familiare. Il magistrato ha il dovere di utilizzare tutti gli strumenti di cui dispone lo Stato per garantire la tutela dei diritti del minore, confidando nelle competenze professionali e deontologiche dello psicologo che sottendono la costruzione dell'alleanza di lavoro con le famiglie inviate ai Servizi territoriali.

Quale tutela per minori e famiglie?

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Al riguardo, colpiscono e preoccupano alcune posizioni in seno alla categoria professionale degli psicologi della Calabria che propongono una modalità di intervento, fondata su una visione del tutto inedita e decisamente paradossale degli esiti della conflittualità coniugale sui figli minori coinvolti nel processo separativo. L'esperienza del disagio affettivo intra-familiare viene concettualizzata discriminando tra la situazione di disagio familiare in cui si osserva tutta la fenomenologia del maltrattamento fisico e i comportamenti devianti (disturbo da uso di alcol o altre sostanze, trascuratezza, violenza fisica e verbale, abuso sessuale) e la situazione in cui le dinamiche interpersonali dei coniugi (conflittualità; avvio del processo separativo), inevitabilmente, coinvolgono i figli minori esponendoli al disagio (maltrattamento psicologico). L'aspetto preoccupante è che questa seconda situazione non venga riconosciuta quale specifico fattore di rischio evolutivo su cui è necessario agire con interventi psicologici complessi e integrati. I colleghi dell'Ordine degli Psicologi della Calabria, non ritengono che si debba intervenire sui genitori del minore esposto alla conflittualità coniugale, ignorano l'impatto del disagio familiare sullo sviluppo psicofisico dei figli e prospettano una situazione in cui il Giudice non indichi alla coppia un percorso di sostegno alle competenze genitoriali. Tale posizione rende, a nostro avviso, il diritto del minore una questione marginale o opinabile. Di fatto, disconoscendo il significato e la funzione del lavoro psicologico di valutazione e sostegno delle competenze genitoriali, si sminuiscono pericolosamente gli esiti negativi della conflittualità genitoriale sull'evoluzione del minore. I colleghi dell'Ordine degli Psicologi della Calabria giungono, infine ad affermare che valutare le competenze genitoriali sia una funzione esclusivamente giuridica e diffondono questa loro posizione attraverso un documento ufficiale rivolto alle Istituzioni competenti. Questa visione, se condivisa dalle Istituzioni competenti e agita, rischia di compromettere il lavoro di protezione e lascia spazio al maltrattamento familiare e Istituzionale. Definisce di fatto una prospettiva di valutazione e intervento parziale e confusa, non inclusiva di tutto il lavoro di ricerca e pratica clinica sull'integrazione dei modelli teorici e delle tecniche, svoltasi negli ultimi centocinquant'anni dalla disciplina psicologica. Per gli psicologi che da anni si occupano con serietà e competenza di tutela dei diritti minorili nei servizi, è quantomeno imbarazzante trovarsi di fronte a questa prospettiva: come può uno psicologo posporre il diritto del minore alla tutela a quello di autodeterminazione dell'adulto, non in grado di esercitare la tutela? il conflitto di coppia nei contesti separativi ospita sempre rigidamente il copione relazionale che i genitori hanno sperimentato e che, più o meno inconsapevolmente, nei casi in cui si è incapaci di un'autoriflessione critica e di riconoscere il danno sul figlio, ripetono. È proprio questa inconsapevolezza degli adulti che sostiene il conflitto e lo radicalizza, esponendo il minore al rischio di una forma di maltrattamento psicologico meno esplicita ma, comunque, lesiva. A questo proposito, ricordiamo che il DSM-5 (APA, 2014), oltre ad aver incluso nella propria classificazione i disturbi da stress post-traumatico in campo infantile, per tutta un'altra serie di disturbi 'non PTSD' riconosce una correlazione con Esperienze Sfavorevoli Infantili. Inoltre, ben 32 nuovi disturbi si aggiungono a quelli già in precedenza riconosciuti in questa ipotesi eziologica, aprendo una finestra importante per quanto riguarda i disturbi relazionali all'interno della famiglia e in particolare nell'ambito della relazione fra genitori e figli. Per queste evidenze, è del tutto ragionevole ed auspicabile che un Giudice indichi ai genitori che si stanno separando un percorso di sostegno alle competenze genitoriali e ne monitori l'andamento. Un genitore disfunzionale e, suo malgrado, maltrattante o trascurante, rappresenta, di fatto, un elemento di rischio per la sua famiglia, i suoi figli e per l'intera comunità. È appena il caso di citare tutto il lavoro che da decenni si svolge sull'individuazione dei fattori di rischio e di protezione del maltrattamento infantile e ricordare le raccomandazioni dell'OMS per un approccio di sanità pubblica che diffonda informazioni sull'efficacia delle buone pratiche e sia orientato dal "Modello ecologico" (OMS 2010) definendo su più livelli i problemi, individuali e familiari.

I Servizi Pubblici per il benessere a tutela di minori e famiglie

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Nel Sistema Sanitario Nazionale le relazioni genitori figli e le relazioni di coppia sono da più tempo diventate oggetto di cura grazie alla diffusione della cultura psicologica che ha dato forma ai Servizi Sociali, ai Consultori Familiari e alla Neuropsichiatria Infantile. Servizi che lavorano da sempre, non senza difficoltà, in una prospettiva plurale e integrata nel rispetto della complessità delle persone e delle loro storie di vita. In tal senso è opportuno ricordare il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 febbraio 2001 'Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie' in G.U. n. 129 del 6 giugno 2001, come non si possono dimenticare i principi costituzionali sui diritti dei minori, in primis l'art. 30 Cost. (è dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti …), e poi l'art. 31 Cost. 2 comma (Protegge la maternità e l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo). Quando vi sono due diritti confliggenti, di cui uno relativo ad un minore, è sempre la legge a determinare che questo debba prevalere. Infatti, la convenzione di New York, ratificata dall'Italia con L. n. 176/91 all'art. 3 recita: "in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l'interesse del bambino/adolescente deve avere la priorità" e declina le responsabilità genitoriali e le funzioni di vigilanza e protezione dello Stato agli art. 8, 9, 18, 19[1]. In tal senso occorre informare il lettore dell'esistenza di pronunciamenti di merito (Tribunale di Milano 15.7.2015; Tribunale di Roma 13.11.2015 e decreto Tribunale di Milano sez. IX dell'11.3.2017) e della Suprema Corte (Cassazione Civile n. 11842/2019 e n. 6471/2020), che antepongono il preminente interesse del minore rispetto ai diritti individuali di libertà dei genitori che possono subire limitazioni, contenimenti o restrizioni. La psicologia e il diritto civile più evoluti, pur con limiti e difficoltà, stanno tentando da tempo di integrare intenti e pratiche per la tutela: l'intervento per le famiglie dovrebbe coincidere con una tensione di tipo sociale e professionale consapevole che garantisca la libertà di scelta e colga le dimensioni profonde del malessere, traducendole in chiavi interpretative per la soluzione del disagio. Tutti i professionisti che intervengono a vario titolo in queste specifiche fasi critiche della vita familiare, fanno esperienza del disagio vissuto dai protagonisti e in molti casi osservano l'efficacia di interventi qualificati nel promuovere nuovi e più costruttivi equilibri relazionali, favorire processi intrapsichici, stimolare l'elaborazione e la crescita interpersonale. Tutto ciò è anche dettato dall'art. 337, sul diritto del minore di mantenere equilibrati e stabili i rapporti con entrambe le figure genitoriali, che di fatto delinea una "qualità dinamica delle relazioni genitoriali". Il giudice che indica un intervento di sostegno alle competenze genitoriali, sta, di fatto, riconoscendo ai genitori la possibilità di scegliere per sé stessi e per i figli. Il suo obiettivo non è quello di punirli bensì quello di garantire il diritto del minore ad una bigenitorialità "equilibrata e stabile" (naturale aspirazione del minore). In tal caso, la consulenza specialistica dello psicologo-psicoterapeuta diviene fondamentale per promuovere consapevolezza, benessere, sviluppo di competenze empatiche e interpersonali funzionali al superamento delle difficoltà familiari. Gli strumenti di cui egli dispone consentono di estendere l'intervento anche ai casi in cui gli inviati manifestino scarsa compliance iniziale, trasformando le resistenze soggettive in opportunità per il cambiamento. La Psicologia e il Diritto dovrebbero lavorare insieme per promuovere empowerment individuale e comunitario, in una prospettiva evoluta, plurale e inclusiva che non discrimina tra i cittadini, ma risponde, in modo congruo, ai bisogni emergenti di una comunità sempre più sofferente sul piano emotivo. Piuttosto che una visione della scienza psicologica "per pochi" e al servizio di interessi di parte, dovrebbe affermarsi questa buona pratica psicologica e giuridica, per diffondere sempre più la cultura della condivisione. Per uscire da tanta confusione appare necessario ribadire quanto già espresso in altre sedi dai professionisti che si occupano di tutela e benessere: il principio e la pratica dell'integrazione. È fondamentale che il sistema giudiziario (Magistrati, Avvocati, Consulenti Tecnici) e la rete dei Servizi Sociali e Sanitari, conoscano reciprocamente potenzialità e limiti delle diverse metodologie di azione e presa in carico, interagiscano integrando gli strumenti operativi e gli interventi (consulenze tecniche, indagini sociali, spazi neutri, percorsi terapeutici centrati sulla genitorialità e sulla riparazione) in un progetto coerente, monitorabile e sostenibile. Oggi lo psicologo è essenzialmente un professionista della salute anche quando lavora per istituzioni non sanitarie[2]. In quanto tale si occupa di differenti "diritti di salute" e del fondamentale "dovere di curarsi". Negli ultimi decenni, fortunatamente, nel mondo accademico e negli ambienti di ricerca più evoluti, sta avanzando uno scenario che privilegia la comprensione profonda delle dimensioni caratteristiche della salute e i provvedimenti utili per potenziarla. Ormai, dagli anni ottanta del secolo scorso, il funzionamento umano non è più limitato alla presenza/assenza di patologia, in quanto rappresenta l'esito dell'interazione dinamica e complessa tra individuo e contesto. Tra le attività di prevenzione e promozione della salute che caratterizzano l'intervento psicologico, la ricerca del benessere individuale, collettivo, sociale e lavorativo si compie entro processi di sviluppo della convivenza e della qualità della vita e di modifica dei comportamenti a rischio. In questa visione moderna e attuale, la salute è "più della somma delle responsabilità individuali", il che impone un'azione collettiva, per assicurare una società e un ambiente in cui le persone possano agire "responsabilmente" comportamenti di salute. Come già esplicitato, è lo Stato il garante di tutto questo, attraverso il lavoro dei Servizi. Le pratiche di "offerta attiva" costituiscono nei Servizi un preciso strumento di promozione del benessere comunitario e in tali contesti operativi lo psicologo lavora per coinvolgere e motivare le persone singole, le coppie, i genitori in percorsi di potenziamento personale che offrano la possibilità di "stare bene" con se stessi e con gli altri, imparando a fare scelte consapevoli di benessere che spesso si realizzano solo se disposti ad andare oltre ai copioni familiari che innescano disagio, incuria e maltrattamento. È questa la mission dei Servizi Sanitari Pubblici, dove allo psicologo è richiesto un esercizio costante di autoconsapevolezza personale e alto senso di responsabilità al fine di operare sempre in quello spazio intermedio che consente l'integrazione dei diritti-doveri individuali e comunitari. Oggi più che mai, piuttosto che ridimensionare le funzioni dei servizi pubblici, occorre potenziarli, riqualificarli e dotarli delle necessarie risorse professionali e strumentali. A prescindere dalla differente modalità di invio, spontaneo o giudiziario, la valutazione della situazione all'interno della coppia conflittuale e delle capacità genitoriali reali e potenziali è compito eminentemente multidisciplinare, inerente alla valutazione delle complesse dinamiche di funzionamento nel contesto socio-relazionale e delle problematiche individuali, nonché dei processi psicopatologici individuali, di coppia e familiari. Per questo la valutazione dovrebbe integrare dati clinici, sociali ed educativi. Il ruolo dello psicologo, ponendosi dunque all'interno di un quadro connotato da elevata complessità operativa, deve essere caratterizzato da un preciso confine tecnico-professionale, il cui fondamento sono le competenze psicodiagnostiche e cliniche, che gli sono proprie. Gli psicologi calabresi che si interrogano sulla relazione tra psicologia e tutela intendono riflettere e confrontarsi attivamente su un tema di tale rilevanza, per valorizzare le buone pratiche e prevenire derive regressive. Ritengono necessario rivolgersi a tutti coloro che intervengono a vario titolo nei processi della tutela per dare voce alla complessità dei diritti di benessere. Poiché, precisando l'ovvio, l'esperienza psicologica vissuta dai minori e dagli adulti, che accompagna il disagio intra-familiare, coinvolge sempre l'intera comunità, condizionandone la qualità di vita e il progresso. Pertanto la riflessione avviata sulla relazione tra psicologia e tutela è condivisa con altre categorie di operatori e discipline in un confronto costante e arricchente per tutti. I firmatari di questo contributo rappresentano, infatti, Psicologi Psicoterapeuti, Neuropsichiatri Infantili, Avvocati referenti delle Camere Minorili Calabresi, Magistrati dell'AIMMF.


[1] Art. 8: "…Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile" Art. 9: "Gli Stati parti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo". Art. 18: "Gli Stati parti faranno del loro meglio per garantire il riconoscimento del principio secondo il quale entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l'educazione del fanciullo e il provvedere al suo sviluppo. La responsabilità di allevare il fanciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto ai genitori oppure, se del caso, ai suoi tutori legali i quali devono essere guidati principalmente dall'interesse preminente del fanciullo. Al fine di garantire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Convenzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai genitori e ai tutori legali nell'esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo". Art. 19: "Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all'uno o all'altro, o a entrambi, i genitori, al suo tutore legale (o tutori legali), oppure a ogni altra persona che abbia il suo affidamento. Le suddette misure di protezione comporteranno, in caso di necessità, procedure efficaci per la creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l'appoggio necessario al fanciullo e a coloro ai quali egli è affidato, nonché per altre forme di prevenzione, e ai fini dell'individuazione, del rapporto, dell'arbitrato, dell'inchiesta, della trattazione e dei seguiti da dare ai casi di maltrattamento del fanciullo di cui sopra; esse dovranno altresì includere, se necessario, procedure di intervento giudiziario"

[2] V. Legge 11 gennaio 2018 n. 3


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